giovedì 21 giugno 2018
Il risveglio della Shakti
Swami Gyanashakti Saraswati
Shakti è ciò che
sostiene l’universo, è il potere della coscienza. Shakti è ovunque e ha
miliardi di forme. È dinamica. È il movimento e la forza dietro ogni aspetto
della natura: a volte è attiva e a volte è dormiente, ma potenzialmente esiste
all’interno di ogni cosa. Shakti è la forza della vita e senza di lei nulla può
esistere. In momenti diversi può trovarsi alla ricerca del suo Signore o in
unione con lui.
Shakti è il mezzo tramite il quale possiamo elevare la consapevolezza
ai livelli più alti; solo lei può portarci alle porte della pura coscienza. Per
questo motivo lo scopo della vita umana è risvegliarla, sviluppare il suo
potere. Quando iniziamo a sentire il suo flusso, dobbiamo sempre fluire con lei
e non contro di lei, perché ella è pura, amorevole e saggia. Purifica ed eleva
il cuore e la mente di quegli aspiranti che la cercano. Il suo bisogno di
servire è eterno, e perfino Shiva, il signore dei signori, non può vivere senza
di lei.
Quando Shakti si risveglia viaggia attraverso molti mondi al fine
di fondersi con il suo amato. Nel suo viaggio vede tutti gli aspetti più
profondi della natura, i colori di ciò che è colorato, la gioia della felicità,
il dolore della tristezza, il volo dell’ispirazione, la difficoltà della
realizzazione, le battaglie tra il bene e il male, la perfezione e
l’imperfezione. Dopo molti va e vieni, Shakti inizia a provare un intenso desiderio
di raggiungere la dimora del suo amato e non vuole più girare intorno alla sua
propria natura.
Poco a poco, come la sua necessità di fare esperienza si
esaurisce, inizia ad esplorare i livelli più elevati del suo essere dove tutto
è più ampio. Il suo bisogno e desiderio di unirsi con il suo amato diventa così
forte che va sempre più veloce al fine d’incontrarsi con lui. Appena si unisce
con il suo amato, lo scopo del suo potere è assolto, la sua natura errante è
consumata dalla coscienza cosmica e lei diventa completa.
L’aspetto saggio di Shakti ci conduce a questo sentiero più elevato.
Se riuscissimo a sviluppare il potere della shakti all’interno di noi stessi,
sarà la gloria della nostra vita. Quando Shakti giunge a noi con i suoi doni di
amore, saggezza e comprensione, una nuova dimensione si manifesta all’interno
di noi stessi. Shakti ci dona il potere del risveglio in pienezza. Pregatela,
sognate il suo darshan. Nel frattempo
continuate a lavorare fino a quando arriverà sotto forma di saggezza e vi mostrerà
la via per morire e vivere di nuovo.
La vera libertà
Swami Santaram Saraswati
È difficile essere sé stessi mentre si vive in una società
moderna. Sono molti i volti dello stesso individuo che danno vita a personalità
divise e a comportamenti nevrotici così comuni nel mondo di oggi. Andando alla
ricerca del nostro sé, ci confrontiamo con il fatto che ognuno di noi si porta
dietro almeno tre sé, o personalità: 1) la persona che gli altri pensano che
noi siamo; 2) la persona che noi pensiamo di essere; 3) la persona che siamo
realmente. Le prime due sono false, mentre la terza è vera.
Inoltre, molte persone non sono contente di ciò che pensano di
essere. Vorrebbero essere qualcos’altro, e nella ricerca di diventare
quell’altra personalità attraversano anni di dura lotta e, in molti casi, di
frustrazioni. Cercare di essere qualcun’altro rispetto a chi siete è una
battaglia persa, come puoi mai diventare ciò che non sei?
In aggiunta a questo, la società ci fa’ il lavaggio del cervello
per spingerci verso un modello imposto dagli standard sociali presenti. Ci
stimolano e ci spingono verso ogni sorta di manierismi, alcuni promettenti e
piacevoli, altri no. La società ci forza a diventare il suo ideale o il suo
modello di ideali, che si basa non sul benessere dell’individuo, ma sul suo
stesso ordine costituito. Questo gioco di potere non è presente solo nella
società in generale, ma anche in quelle chiamate istituzioni spirituali. Fino
ad un certo punto è anche comprensibile, in quanto devono salvaguardare i
propri interessi. Ma lo fanno a spese di persone ingenue, che sono pronte a
credere in qualsiasi cosa.
In una situazione come questa, molte persone penserebbero che non
c’è via d’uscita, invece sicuramente c’è. La via non è rifiutare il mondo o la
fuga dalla società e vivere in clausura, ma vivere in questo apparente caos con
perfetta consapevolezza. In altre parole, vivere nel mondo ma ben al di sopra
di esso, avere a che fare con la società e i suoi strumenti senza esserne
influenzati. In verità, è tutto un gioco. L’unico problema è che le persone
prendono il gioco seriamente fino a salire e cadere insieme agli eventi della
società, e di conseguenza ne soffrono.
La domanda che sorge ora è: “Come fare per avere quella
consapevolezza perfetta?”. Molti metodi sono stati sperimentati, anche da
ricercatori individuali, e molte risposte ne sono uscite. Tra tutti i metodi e
i sistemi testati sia a livello personale sia da gruppi di persone, un sistema
scientifico chiamato yoga è risorto
dal suo apparente sonno e sta mostrando, in modo potente, come la trasformazione
possa realizzarsi nell’uomo, il quale sarà in grado, così, di ottenere questa
consapevolezza.
Lo yoga, nel suo senso vero, non cerca di riempire le teste con
ogni tipo di regole e regolamenti, credi e dogmi, di ciò che si può fare e che non
si può fare. Probabilmente lo yoga è l’unico sistema che dice all’individuo:
“Sii te stesso. Non imitare! Aspira, piuttosto che diventa!”. Ogni individuo
dovrebbe per prima cosa liberarsi dalla società, dalle sue istituzioni, almeno
a livello mentale. Fisicamente, potrebbe apparire legato, ma mentalmente
dovrebbe essere libero. Un grande pensatore, alla domanda cosa fosse la
libertà, replicò: “Libertà è cavalcare facilmente con un’imbracatura”.
Ad un livello preliminare, lo yoga ci mostra la via per compiere
questo rendendoci consapevoli del nostro corpo, dei pensieri e del comportamento,
delle limitazioni e delle potenzialità. C’insegna ad accettare noi stessi così
come siamo, per come pensiamo, sentiamo e reagiamo. La piena accettazione di
noi stessi è il primo passo verso la pace della mente. Da questo punto è
possibile procedere in sicurezza e con progresso nella vita. Una volta che
abbiamo accettato pienamente la nostra situazione, nei vari livelli della
nostra esistenza, non cercheremo di diventare qualcosa di diverso da ciò che
siamo. Al contrario, cercheremo di eliminare dalla nostra personalità tutto ciò
che ci impedisce di essere noi stessi.
Satsang sulla salute mentale
Swami Satyananda
Saraswati
È molto difficile avere una mente libera e, soprattutto, è
molto pericoloso. Se una tigre non fosse tenuta in gabbia potrebbe correre
libera ed uccidere molte persone. Prima di pensare ad avere la mente libera
occorre educarla, allenarla e disciplinarla, altrimenti potrebbe portare
distruzione a te stesso e agli altri.
La mente è molto potente. È la base del bene e del male e
può manifestare ansia o equilibrio. La stessa mente che in un momento vuole
commettere suicidio l’attimo dopo vuole realizzare Dio. Ciò significa che ci
sono due stadi della mente: la mente selvaggia e la mente allenata. Uno yogi ha la mente allenata, mentre un
animale no. Ora, nell’uomo convivono un animale, un uomo e un dio. Una volta
che l’uomo sarà riuscito ad addestrare i propri pensieri e le proprie emozioni,
le sue azioni saranno controllate e, solo allora, potrà pensare a rendere la
propria mente libera.
Se non disciplinate voi stessi prima di rendere la mente
libera, questa vi renderà infelici e depressi. Creerà odio, piaceri e
dispiaceri, attaccamenti e repulsioni, e potrebbe influenzarvi a tal punto da
portarvi all’autodistruzione. Al giorno d’oggi, tutti noi soffriamo a causa
della nostra mente che è indisciplinata. Quindi, quando parliamo di liberare la
mente, non ci dovremmo dimenticare della disciplina. La disciplina della mente
e la liberazione della mente dovrebbero andare insieme, non sono indipendenti
l’una dall’altra.
Da dove viene
l’irrequietezza?
Generalmente, l’irrequietezza è dovuta ad un eccesso di
pensieri e desideri, ed indica che la mente non è sotto controllo. Nel corpo
fisico ci sono due forme di energia. Una è nota come energia mentale e l’altra
come energia vitale o pranica. Quando vi sentite irrequieti, significa che la
vostra energia mentale è elevata e l’energia pranica è bassa. C’è uno squilibrio;
i vostri organi di senso sono molto attivi e gli organi motori sono poco
attivi. Nel linguaggio dell’hatha yoga lo chiamiamo squilibrio tra ida e pingala, mentre in termini scientifici moderni si parla di squilibrio
tra sistema nervoso simpatico e parasimpatico.
Al fine di armonizzare l’eccesso di energia mentale è
necessario praticare maggiore concentrazione del raja yoga. Il metodo migliore è la pratica della ripetizione del mantra. Il mantra può essere ripetuto
mentalmente, con Om e senza l’uso di
un mala. Può anche essere praticato sincronizzandolo con il respiro. Certamente
ci sono molti altri modi di praticare il mantra, ma questi sono i metodi
migliori per controllare la fuoriuscita dell’energia mentale.
Se non siete in grado di fare questo, vi è un altro modo di
approccio al problema. Potete cercare di aumentare il livello del prana nel corpo. O controllate la
quantità di energia mentale o aumentate la quantità di energia pranica. Lo
scopo dell’hatha yoga, del raja yoga, e in effetti di ogni forma di yoga, è di
creare questa situazione di armonia. Ma, contemporaneamente, ci sono delle
secrezioni ormonali nel corpo fisico che contribuiscono all’irrequietezza. Gli
ormoni che maggiormente disturbano sono l’adrenalina ed il testosterone. Se
potete controllare la fuoriuscita di questi ormoni potrete sconfiggere le cause
fisiologiche dell’irrequietezza.
Con la pratica regolare di asana, pranayama e
meditazione si controlla la produzione ormonale, si armonizzano le energie
mentali e praniche, e problemi come ad esempio l’irrequietezza non si
verificano.
Nel corso della
vita, è meglio agire o lasciare che le cose accadano?
Dovete lasciare che le cose accadano, ma allo stesso tempo cercare
di fare qualche sforzo. Non si dovrebbe perdere la speranza ed il coraggio. Si
dovrebbe cercare di agire nel miglior modo possibile e contribuire al successo.
É sempre buono combattere contro le circostanze e gli eventi della vita, ma
bisogna sapere che per combattere bene nella vita, è meglio mantenere un
atteggiamento equilibrato piuttosto che diventare eccitati, nevrotici o
inutilmente sollecitati.
Se volete costruire una casa, una fattoria, un negozio o
una famiglia, dovete fare degli sforzi positivi per realizzare queste cose, ma
a volte capita che le cose non funzionino. Questo si ripercuote negativamente
sulla mente umana. In quel frangente si è fortemente influenzati da problemi
psicologici, mentali e fisici. In quei momenti, dovete lasciare che le cose
accadano. Lasciare che le cose avvengano è una cosa molto buona
filosoficamente, ma dovrebbe essere praticato solo quando le cose sfuggono di
mano. Finché la situazione è sotto il vostro controllo, cercate di risolverla
nel modo più fluido ed intelligente possibile.
Quando marito e moglie vivono insieme, dovrebbero cercare
di essere più felici possibile. Se ci sono problemi occasionali tra loro,
dovrebbero cercare di fare il meglio per risolverli. Se sta per sopraggiungere
una forte divisione, dovrebbero comunque cercare di evitarla. E se si separano,
dovrebbero pensare a fare ammenda e rinnovare la relazione. Ma se la relazione
è definitivamente finita, devono semplicemente accettare la cosa. Questo è il
modo migliore per evitare problemi psicologici, mentali e fisici. Questo è solo
un esempio, ma lo si può applicare a tutte le situazioni della vita.
Perché le emozioni
spesso ci portano alle lacrime? Va bene piangere?
Ci sono certe leggi della natura tramite le quali siamo
controllati. Se qualcuno in famiglia muore tutti piangono. Se i vostri amici vi
vengono a trovare in quel momento, inizieranno a piangere. Perché? In realtà
non piangete perché è morto qualcuno, ma perché la morte ha causato alcune
compressioni nel sistema e, tramite il pianto, vengono liberate.
Quando sentite molto dolore nel corpo, iniziate a piangere
e a gemere. Perché? Perché quando gemete state praticando rechaka, espirazione. Quando praticate rechaka, il dolore è rimosso
dal centro del dolore nel cervello. Quindi se sentite la voglia di piangere non
dovete reprimere le lacrime. Non cercate di lottare con le reazioni naturali,
la natura è un sistema molto organizzato e dovreste avere fede in essa.
Per favore, può
parlare dei diversi livelli di paura e di come si fa ad accettarli e superarli?
Ci sono varie forme di paura e sono così tante che in ogni
fase della nostra vita dobbiamo affrontarle: la paura della malattia, la paura
degli insulti, la paura della morte, la paura di perdere denaro, ecc. La paura
governa la nostra vita. Il modo migliore per rimuovere una paura è risalire
alla sua origine. E ogni volta che fate questo, scoprirete che la sorgente
della paura è l’ignoranza.
Quando la vostra coscienza è incapace di penetrare più in
profondità dello stato attuale della mente, arriva la paura. Un bambino ha le
sue limitazioni mentali, e al di là di esse c’è la paura. Se il bambino va in
bagno di notte è spaventato dal buio, ma se io vado in bagno non sono
spaventato perché so che non c’è nulla là. Se vi chiedessi di dormire accanto
ad un uomo morto voi probabilmente non lo fareste. Anche se foste sicuri che
egli è morto, probabilmente sareste ancora pieni di paura. Mentre io potrei
dormire là perché io so che egli è morto, il suo spirito si è ritirato e non mi
potrebbe succedere nulla.
Perciò la causa principale della paura è la mancanza di
conoscenza. Se si hanno conoscenza e comprensione si diventa impavidi.
Come si può diventare umili?
Di tanto in tanto, dimenticate il vostro potere e la vostra
posizione, abbandonate i vostri valori sociali, finanziari, intellettuali o
spirituali. Andate in un ashram,
visitate i luoghi di pellegrinaggio, i santuari, ecc. e cambiate completamente
lo schema della vostra vita. Rimuovete tutti i prefissi e i suffissi dai vostri
nomi, sapete bene che non è stato Dio a metterveli. Siate semplicemente ciò che
siete, una persona semplice. Se farete questo, nel corso del tempo diverrete
umili.
La via migliore per sradicare l’ego è lo sviluppo
dell’umiltà. Ci sono molti atti di umiltà e se riuscite a praticare anche solo
il più semplice di essi, nel corso del tempo l’umiltà diverrà parte della
vostra natura. Chaitanya era solito dire che ci sono quattro qualità per
distruggere l’egoismo: “Siate umili come un filo d’erba, e tolleranti come un
albero gigante. Abbiate rispetto per coloro che non hanno alcun rispetto, e
ricordate il nome di Hari (Dio) tutto il tempo.”
L’egoismo può essere cancellato con il passare del tempo,
ma è difficile. È un virus ed è più pericoloso di un cancro. Si dice che quando
l’identificazione con il corpo si scioglie e il sé interiore viene rivelato, in
quel momento l’ego cade, proprio come quando la pelle cade dal serpente, al
momento giusto. Allo stesso modo, l’ego non può essere rimosso prematuramente.
Non abbiate fretta.
Io detesto il denaro
e so che non porta la felicità, ma non posso smettere di spenderlo. Cosa dovrei
fare?
Utilizza la tua passione per il denaro per realizzare un
buon lavoro. Non sprecare la tua ricchezza nei pub e nei club. Usala con
moderazione e saggezza. Non lasciarti influenzare dai suggerimenti stravaganti
della tua mente. Conserva un po’ di soldi per la tua famiglia e per la tua vita
quotidiana, poi metti da parte il resto e usalo nel miglior modo che ti è
possibile per aiutare il risveglio dell’umanità.
Sadhana di Shakti
Swami Nirvikalpananda Saraswati
Om è la parola che denota il Se, l’Essere Supremo, il Tutto.
Dovrebbe essere ripetuto soffermandosi mentalmente sul suo significato. Con
questa pratica la consapevolezza si rivolge verso l’interno e gli ostacoli
vengono superati. (Yoga Sutra 1: 27-29)
Una volta un vecchio rishi
e il suo discepolo fecero un lungo pellegrinaggio per visitare dei luoghi sacri
e ricevere le benedizioni di grandi santi. Spesso le persone si riunivano
intorno a loro per ascoltare il rishi, le cui parole semplici e sagge andavano
direttamente ai loro cuori. Questo accadeva perché il rishi era davvero un
santo e un grande guru, sebbene fosse
vestito come un mendicante e non sembrava avere molti discepoli. Egli non
parlava molto e, a volte, passavano diversi giorni senza che dicesse nulla a
nessuno e la gente, spesso, si chiedeva il perché.
“Il silenzio è potere”, disse una volta il rishi. “A cosa serve
parlare? Si apprende tramite il silenzio, non per mezzo delle parole”.
Ma, qualche volta, raccontava vecchie storie e se c’erano persone
lì intorno, andavano ad ascoltarle. Il discepolo amava le sue storie e, spesso,
gli chiedeva di raccontargliene una.
Un giorno, avendo attraversato tutto il continente indiano, il
rishi ed il suo discepolo arrivarono al mare. Il discepolo non aveva mai visto
il mare prima di allora e fu immediatamente affascinato dall’acqua senza fine,
da tutti i gabbiani e soprattutto dalle onde.
“Le onde vanno e vengono, vanno e vengono, vanno e vengono; ogni
volta spariscono e poi tornano di nuovo. Perché è così? Ha qualcosa a che fare
con il suono che producono?”
“Se vuoi, posso raccontarti una storia a riguardo”, iniziò il
rishi.
“Si!”, rispose il discepolo con entusiasmo.
“Bene. Allora, una volta, prima che esistesse il mare, non c’era nulla
in vita, tranne Shiva e Shakti. Conosci Shiva e Shakti? Shakti è la più bella
di tutte le divinità e Shiva è suo marito e suo amante. Si amavano così tanto
che anche un solo attimo di separazione era terribile per entrambi. Così la
separazione divenne parte della loro pratica spirituale, del loro sadhana.
Shiva andò via dal monte Kailash per vivere come eremita per un
po’ di tempo, e Shakti non fu autorizzata ad andare con lui. Rimase da sola, in
mezzo alle montagne, e si sentì molto triste. Il suo desiderio di Shiva era
così forte che non sapeva più cosa fare. Tutto ciò che era intorno a lei le
sembrava noioso e senza senso, e si sentiva veramente molto irrequieta.
Così Shakti andò da tutti gli dei per avere un consiglio e loro
non poterono aiutarla. Quando divenne veramente disperata, andò addirittura da
Yama, il dio della morte. Ma egli si rifiutò di riceverla in quanto ella non
era nella sua lista dei visitatori attesi.
Alla fine andò da Indra e gli raccontò le sue difficoltà. Egli
ascoltò ed alla fine disse: “Incontrerai nuovamente Shiva. Nel frattempo dovrai
praticare sadhana; questo servirà a due scopi. Per prima cosa ti aiuterà a
progredire spiritualmente, e ridurrà il tempo in cui devi vivere senza Shiva.
Sentirai anche un certo contatto spirituale con lui via via che praticherai
sadhana. Come seconda cosa, la tua irrequietezza scomparirà. La pratica è
meditare su Om, il suono senza inizio. Questa pratica ti porterà molto lontano
nel sentiero spirituale. Siedi semplicemente in meditazione, chiudi gli occhi e
ripeti Om ad alta voce ogni volta che espiri.”
Così, quando arrivò la sera, Shakti si sedette in padmasana ed
iniziò a ripetere Om ad alta voce. Trovò così tanta pace in questa semplice
pratica che era impossibile per lei fermarsi. Sedette in profonda meditazione
per giorni, mesi ed anni. Delle piogge molto forti caddero su Shakti, ma la sua
meditazione era così profonda che nemmeno se ne accorse. In poco tempo la terra
intorno a lei fu ricoperta da acqua. Presto il livello dell’acqua raggiunse il
suo girovita. Piovve e piovve, e Shakti ancora non notava nulla. Alla fine
tutto il suo corpo venne coperto dall’acqua, ma la sua meditazione era senza
interruzione. Ancora ripeteva Om, Om, Om... E questo è il suono del mare,
ancora oggi. Al centro dell’oceano, Shakti è ancora seduta in profonda
meditazione e ripete il suo mantra. Ogni volta che lei inspira, le onde tornano
indietro; ogni volta che espira, vengono di nuovo in avanti. Quindi Om,
l’eterno suono mistico che ascoltiamo nell’oceano, è la voce di Dio. E così
l’oceano continuerà ad emettere Om, Om, Om... fino a quando Shiva e Shakti non
saranno di nuovo uniti. Ed il mare è il miglior cantastorie del mondo. Basta
ascoltarlo. Puoi imparare tutto da esso, perché tutto è il suono di Om. Questa
è la parola che è potente nel silenzio.
Shiva è
la coscienza. Shakti è l’energia, nell’aspetto più basso è materia, e in quello
più elevato è prana. L’unione della coscienza con l’aspetto più basso
dell’energia porta avanti la creazione. La più elevata è, tuttavia, l’unione
tra l’aspetto pranico di Shakti con Shiva. Questo è il samadhi. Quindi, nel senso più elevato, Shiva e Shakti sono
separati durante la creazione, ed ogni aspirante spirituale cerca di riunirli.
Vyaghra Kriya
Dr.
Swami Shankardevananda Saraswati
Vyaghra kriya è una variante di kunjal. È la tecnica ideale per disturbi digestivi come la
dispepsia cronica o l’acidità di stomaco, che affliggono molti occidentali.
Le tecniche di kunjal e di vyaghra kriya sono note sotto il titolo
comune di vaman dhauti. Vyaghra è noto con il nome di vaman anna dhauti. ‘Anna’
significa cibo e ‘vaman’ vomito. È anche conosciuto come baghi kriya e vyagra
karma kriya. Entrambi ‘vyagra’ e ‘baghi’ significano tigre. Questa tecnica è
conosciuta anche come l’atto della regurgitazione della tigre. È differente
rispetto a kunjan perché si fa tre ore dopo avere mangiato invece che a stomaco
vuoto. L’acqua espulsa dallo stomaco si porta via, quindi, molto cibo non
digerito o semi-digerito.
La tigre, così come la mucca, il cane, la scimmia e altri animali
sono stati visti vomitare. La tigre si rimpinza della sua preda, mangiando
anche le ossa, e poi rigurgita i resti del cibo dallo stomaco tre o quattro ore
dopo. I cani e i gatti usano questa tecnica quando hanno mangiato qualcosa che
non è stato di loro gradimento. Mangiano erba come emetico e poi vomitano i
veleni che sono entrati nel loro sistema. Quindi, questo è un metodo naturale,
e come molte pratiche yogiche, è stata copiata direttamente dagli animali.
Gli yogi antichi osservarono questa sana abitudine della tigre ed
iniziarono ad utilizzarla a proprio vantaggio. Assumevano il loro cibo in modo
normale e poi tre ore dopo espellevano le porzioni che rimanevano indigeste.
Ciò li preservava da molti disturbi e disagi intestinali e permetteva che la
loro energia fosse indirizzata verso scopi più utili.
Vyaghra kriya fu praticata anche dagli imperatori del Sacro Romano
Impero che la usarono per evitare l’indigestione dopo le loro famose orge. In
questo modo, potevano anche mangiare di più.
La tecnica
Quando sentite lo stomaco a disagio, fate esattamente la stessa
procedura per kunjal kriya. Bevete sei bicchieri (o quanti riuscite) di acqua
tiepida salata uno dopo l’altro il più rapidamente possibile. Inclinatevi
immediatamente in avanti e mettete il medio e l’indice della mano destra in
gola, più giù possibile. Le unghie dovrebbero essere corte e pulite. Sfregate e
premete la parte posteriore della lingua. Questo induce una forte urgenza di
vomitare.
Fatelo due o tre volte in modo che l’ultima volta esca solo acqua
pura e lo stomaco sia perfettamente pulito. Tradizionalmente vyaghra kriya
viene fatto tre o sei ore dopo aver ingerito cibo nello stomaco. Quarantacinque
minuti dopo si può assumere khir (budino di riso al latte), anche se questo non
è essenziale.
Mentre si pratica vyaghra kriya cercate di evitare che particelle
di cibo entrino nel naso. È consigliabile fare neti subito dopo in modo da pulire completamente i passaggi nasali,
nel caso che fluidi o solidi irritanti siano entrati.
Non raccomandiamo a persone che soffrono di ulcere allo stomaco,
ernia, problemi cardiaci o ipertensione di tentare di eseguire questa pratica.
Notate bene: kunjal kriya può essere fatto quotidianamente, anche quando si è
malati o nel pieno della salute, mentre vyaghra kriya si deve fare solo quando
necessario.
Benefici fisici
Dopo aver assunto un pasto che non è stato gradito al sistema digestivo,
ci si sente a disagio e pesanti. Eseguendo vyaghra kriya si ripristina la
sensazione di leggerezza ed energia.
Vyaghra rimuove il peso degli alimenti indigesti che creano nausea
o fastidio; rimuove le condizioni croniche di acidità di stomaco ed indigestione
che sono molto comuni nel mondo al giorno d’oggi. Rimuove i veleni che abbiamo
inconsapevolmente ingerito prima che abbiano la possibilità di danneggiare il
corpo. La pratica giornaliera di vyaghra
rimuove i problemi polmonari come la tosse. Come kunjal, vyaghra kriya è ottimo
per gli asmatici e per chi ha malattie del torace. Questo perché uno stomaco
pesante rende difficile la respirazione e può causare un attacco acuto di asma.
Aiuta anche a pulire i polmoni dal muco. È utile in caso di reflusso biliare,
quando la bile entra nello stomaco e crea nausea.
Vyaghra permette ai principali elementi nutritivi del pasto di
essere assorbiti, senza essere diluiti dagli elementi meno puri e
occasionalmente velenosi che stanno diventando sempre più diffusi nei prodotti
adulterati di oggi.
Benefici mentali
Sapere che una tecnica come vyaghra kriya è disponibile e che è
praticata da molti secoli da yogi ed animali, ci dà fiducia per affrontare
qualsiasi emergenza. Vyaghra kriya permette a coloro che soffrono di
indigestione cronica e acidità di stomaco di mangiare con la mente rilassata e
godere del proprio cibo. Quando si elimina l’indigestione, il mondo intero
appare più luminoso e la vita assume nuovi significati e scopi.
Benefici pranici
La digestione di un cibo puro richiede molta poca energia, o
prana. Il processo è un flusso regolare e continuo con ogni parte del sistema
digestivo che agisce correttamente, rispettando una sequenza e delle giuste
proporzioni quantitative e qualitative. A differenza del cibo puro che dà
energia, la digestione di un cibo impuro consuma molta energia. Vyaghra elimina
questo dispendio inutile di energia, in modo che il prana possa energizzare il
cervello e gli altri sistemi corporei. Vyaghra, quindi, rimuove la tendenza a
dormire dopo il pasto e la letargia che si ha durante le nostre attività
quotidiane intorno alla metà della giornata. Come kunjal, il riflesso del
vomito produce prana che stimola il corpo.
Conclusioni
I disturbi più comuni della nostra epoca sono l’indigestione e il
bruciore di stomaco, causate dal mangiare troppo o troppo velocemente, o
dall’ingerire cibo non nutriente che agisce come un veleno. Il corpo reagisce a
questo rimescolando il cibo nello stomaco, permettendo ai fluidi e alle parti
più facilmente digeribili di muoversi rapidamente verso l’intestino. Molta
energia viene consumata dallo stomaco per digerire il cibo rimanente. Questo,
spesso, produce un eccesso di acidi che causa il bruciore.
Se mangiamo qualcosa di velenoso, lo stomaco lo trattiene finché
il cervello non segnala la sua presenza indesiderata inducendo una sensazione
di nausea. Ma molte persone non vomitano finché i veleni non sono entrati nella
circolazione sanguigna in quantità sufficiente per farli ammalare
completamente. Allora vomitano copiosamente e continuano a farlo anche dopo che
lo stomaco si sarà svuotato.
Nel normale processo della digestione, il cibo viene completamente
rimescolato fino a che i vari nutrienti ed elementi non siano assorbiti nella
circolazione sanguigna. Alla fine tutto ciò che è buono viene estratto,
lasciando solo i residui di scarto da espellere. Ma quando ingeriamo qualcosa
di velenoso, o se riduciamo il livello energetico a causa di un eccesso di
cibo, la digestione rallenta. Di conseguenza non prendiamo la corretta quantità
ed equilibrio di nutrienti dal cibo. Vyaghra kriya ci aiuterà a risolvere
questo problema. Se dopo tre ore c’è ancora pesantezza, disagio, eruttazione o
si sente lo stomaco pieno di cibo, occorre fare vyaghra kriya. Ciò darà energia
a tutto il corpo liberando l’energia che è impegnata nella digestione del cibo
non necessario.
Un altro uso di vyaghra kriya è illustrato nella storia seguente:
Swamiji venne invitato ad essere il principale oratore ospite in un convegno.
Il banchetto preparato in suo onore consisteva in carne, pollo, scorpioni,
serpenti, lumache, cervelli ed altre prelibatezze di quel Paese che per la
dieta yogica sono ripugnanti. Naturalmente, come sannyasin ed ospite
principale, Swamiji dovette mangiare le “prelibatezze” in modo che i suoi
ospiti non si offendessero. Questa è una parte della rinuncia, dato che Swamiji
rinunciò alla sua rinuncia al consumo di carne.
Quando tornò nella sua stanza d’albergo, Swamiji semplicemente
eseguì vyaghra kriya e tutti furono felici.
Yama
I cinque yama
sono ahimsa (non-violenza), satya (veridicità), asteya (astinenza dal furto, onestà), brahmacharya (essere stabiliti nella coscienza divina), e ultimo,
ma non per importanza, aparigraha
(non-possessività). Gli yama sono le principali qualità che un aspirante
spirituale dovrebbe avere al fine di comunicare ed interagire con il mondo
esterno e con le persone presenti in esso. Sono anche delle auto-restrizioni
dall’eseguire azioni per la mente inferiore più debole. I niyama sono delle qualità di auto-disciplina interamente destinati
ad aiutare l’aspirante nel suo percorso spirituale. Sono anche delle regole
fissate che dovrebbero essere seguite per poter eseguire le pratiche di
meditazione (dhyana) e per
raggiungere il samadhi. Praticare yama e niyama è molto fruttuoso in sé, ma gli
obiettivi e le conseguenze principali sono la crescita e l’evoluzione
spirituale.
Ahimsa
Ahimsa, non-violenza, non significa solo non causare danno
o dolore alle altre creature in pensieri, parole ed azioni, ma non avere
nemmeno un briciolo di aggressività all’interno del proprio essere. Non
dovremmo saltare questo yama: che uso potremmo fare della veridicità, della
non-possessività, dell’astinenza dal furto e così via, senza esserci prima stabiliti
in ahimsa, nei pensieri e nelle azioni? Swami Sivananda afferma che uno degli
scopi degli altri yama è perfezionare ahimsa.
Anche rinunciare alla carne o a qualsiasi altro tipo di
cibo o bevanda la cui acquisizione causa dolore ad altri esseri (essere vegani)
è considerato ahimsa. A volte compiamo delle azioni che in sé stesse sono violente, sebbene i nostri
scopi non lo siano affatto. Quando una madre schiaffeggia un bambino, lo fa
perché vuole impartirgli una lezione. È fatto con amore, non con odio.
Pertanto, è lo scopo che conta, non l’azione.
Incoraggiare un’altra persona ad essere violenti o esserlo
noi stessi è ugualmente sbagliato. Himsa (violenza) non è solo la violenza
fisica ma include anche la manipolazione, il ferire i sentimenti di qualcuno,
l’influenza psichica, ecc. La cosa più importante è non denigrare direttamente
le persone, anche se diventano violente, cioè non litigare, discutere,
polemizzare o bisticciare. Himsa non è considerata violenza se vi salva la vita,
o se si uccide una persona per salvarne molte. Si dice che quando una persona
perfeziona ahimsa, una sorta di magnete agirà intorno ad essa, impedendo a
chiunque di farle del male o essere violento. Le persone inizieranno a gioire
della sua presenza e a non sentire alcun disagio finché saranno in sua
presenza.
Nella Bibbia dei Cristiani, Cristo afferma: “Se qualcuno ti
dà uno schiaffo, tu porgi l’altra guancia”. Cristo, Krishna, Rama, Maometto,
Buddha e altri santi, profeti e messia furono grandi seguaci di ahimsa e dharma. Grandi santi come San Francesco
d’Assisi e Ramana Maharshi, che potevano comunicare con gli animali, erano
anche grandi seguaci di ahimsa. L’aggressività è una reazione alla paura e,
quindi, se vinciamo le nostre paure (tramite brahmacharya), possiamo praticare
ahimsa.
Sarà più facile osservare ahimsa se pensiamo che tutto ciò
che facciamo, di buono o di cattivo, ci tornerà indietro in questa vita o nella
prossima, sia che crediamo nella reincarnazione o no. Le buone azioni producono
buoni risultati, mentre le cattive azioni producono risultati cattivi. Ciò è
chiamato ‘la legge del karma’, e non
potete sfuggirgli. Qualcuno vi sta guardando, sempre.
Un buon esempio è la storia del santo sufi che, chiamati i
suoi discepoli, disse: “ho cinque uccellini, uno per ognuno di voi. Prendeteli
ed uccideteli in luoghi differenti, ma nessuno dovrà vedervi mentre lo fate.
Quando li riporterete qui, faremo una festa.” Chi prima chi dopo tutti tornarono e diedero
spiegazioni su dove avevano ucciso gli uccellini e di come nessuno li avesse
visti, tranne uno. Quando questi arrivò, disse: “Mi dispiace Guruji, ti ho
deluso. Non ho potuto ucciderlo. Ovunque andassi, sentivo come se qualcuno mi
stesse guardando.” Costui risultò essere il discepolo migliore.
Satya
Satya, la verità, è il secondo yama ed è anche la
qualificazione più importante. Prendete Galileo come esempio di satya. Fu
catturato dall’Inquisizione due volte a causa delle sue scoperte ma, nonostante
il pericolo, continuò a scrivere, insegnare e fare ricerche finché non poté
usare più gli occhi e le orecchie. Rimase aderente alla verità delle sue
scoperte fino alla fine, perché sapeva che erano reali e non fu nemmeno
processato. Swami Sivananda dice: “Dio è verità, e può essere realizzato osservando
la verità in pensieri, parole ed azioni.” Secondo il suo pensiero, le tredici
forme di verità sono: veridicità, uguaglianza, autocontrollo, assenza di
gelosia, assenza di emulazione invidiosa, perdono, modestia, resistenza,
carità, premura, filantropia disinteressata (avere molto spirito sociale o
educazione civica), padronanza di sé ed innocuità incondizionata e
compassionevole. In determinate circostanze, dire una bugia (bianca) per
produrre un bene immenso è considerato come verità.
Swami Sivananda dice che vak siddhi (vak significa
parola e siddhi è un potere speciale
che uno yogi riceve tramite la pratica di sadhana
e tapasya) può essere padroneggiato
osservando la verità sempre ed in ogni momento. Vak siddhi ti dà il potere di
rendere vero tutto ciò che dici o che pensi, anche se prima che lo dicessi non
lo era. In altre parole, si ottiene il potere di realizzare cose con il
semplice pensiero. Ciò è noto anche come linguaggio psichico. Praticando la
verità in ogni momento, si ottiene anche il potere di pesare le proprie parole
durante una conversazione, dirigendo così il risultato delle proprie parole
secondo la propria volontà.
Una bugia non è solo una bugia se pronunciate parole
scorrette o disoneste. Se agite scioccamente e in seguito accecate voi stessi
con la convinzione di aver fatto la cosa giusta, anche questo è considerato una
bugia, anche se tutto è avvenuto nella vostra mente. La stessa cosa si ha se
esagerate, o vi vantate, per aumentare il vostro ego. Satya non è solamente
astinenza nel dire bugie, ma anche l’abilità di vedere la verità, di essere
consapevoli della verità dietro tutte le cose. Se dite alle persone cosa
dovrebbero o non dovrebbero fare e poi voi fate quello che volete, siete degli
ipocriti. Dite una cosa e ne fate un’altra, quindi non siete sinceri nemmeno
con voi stessi. Perché si mente? Si mente per sfuggire alla conseguenza delle
proprie azioni o di quelli vicino a noi. Questa è una manifestazione della
mente meschina. Perciò, satya aiuta anche a prevalere sulla mente meschina.
Asteya
Asteya, il terzo yama, è comunemente noto come onestà (nel
senso di ‘assenza di furto’). Per essere in grado di seguire asteya, dobbiamo
essere soddisfatti di ciò che abbiamo, dei nostri oggetti personali, del nostro
modo di pensare, di cosa facciamo, di dove siamo, di chi siamo, ecc. In altre
parole, non dobbiamo essere avidi e cercare di essere contenti. Rubiamo oggetti
perché li desideriamo. Essere capaci o essere forti di resistere alla
tentazione di rubare l’oggetto che desideriamo, renderà la mente molto forte.
Perciò, tramite la padronanza di asteya, si purifica la mente dai desideri e
dalle vritti.
Asteya rende la mente pura come uno specchio in cui la
mente divina si riflette. Il solo pensiero del guadagno derivante dal furto non
dovrebbe sorgere nella mente, perché anche il costante desiderio di oggetti che
non ci appartengono è un vero e proprio furto. A volte le persone sentono che
state desiderando qualcosa che appartiene loro, e se sono di buon cuore, ve lo
daranno. Questo non va bene, perché probabilmente non lo meritavate, in primo
luogo, e soprattutto perché così state privando quella persona di qualcosa a
cui potrebbe tenere. I desideri non espressi per cose che non sono vostre sono
una forma mite di manipolazione mentale nei confronti dei proprietari di ciò
che desiderate.
Rubiamo delle cose perché le desideriamo, e ciò non
significa necessariamente che rubiamo oggetti fisici. Ci sono persone che
rubato le idee degli altri. Questa è la forma peggiore di furto. Cercate di
moderare i vostri desideri. Se non riuscite a liberare completamente la mente
da essi, non provate a dimenticarli, a sopprimerli o a metterli da parte,
perché quando torneranno in superficie saranno ancora più forti. E se i
desideri diventano troppo intensi e non siete in grado di sopprimerli
totalmente, dovrebbero essere soddisfatti il prima possibile, altrimenti
peseranno ancora di più sulla vostra mente finché non vi porteranno al furto o
a qualcosa di simile.
Questi desideri o pensieri che disturbano la mente sono
chiamati vritti. Se siete troppo buoni o di cuore troppo gentile per rubare, i
desideri/vritti probabilmente potrebbero guadagnare più potere se non siete
forti mentalmente; e presto non sarete in grado di pensare rettamente o di
dormire bene. Questa è la forza delle vritti e dei desideri. Se riuscite a
controllare la mente con tutti i suoi desideri o vritti, potrete osservare
asteya. E se osserverete completamente asteya, si dice che le cose per le quali
avete anche il minimo desiderio verranno semplicemente verso di voi con ogni
mezzo, come foste una calamita. Un altro frutto materiale che si ottiene
tramite il perfezionamento di asteya è che si ha anche il potere intuitivo di
sapere dove cercare e trovare la ricchezza.
Brahmacharya
Brahmacharya è spesso spiegato nei libri, nei discorsi,
nelle scritture, ecc. come celibato. Ma Brahma
letteralmente significa la ‘coscienza divina’ e acharya, in questo caso, ‘vivere’ o ‘uno che è stabilizzato in’.
Quindi, brahmacharya realmente significa ‘essere stabilizzati nella coscienza
divina’, o ‘essere stabilizzati nella (forma) più elevata della mente’.
Gli scienziati hanno dimostrato che solo il dieci percento
del cervello medio è attivo e liberamente accessibile durante le attività
quotidiane. Le persone spiritualmente evolute hanno affermato tempo fa che la
mente umana ha un’enorme capacità. Sfortunatamente, una larga parte di quel
dieci percento è guidata da istinti e indulge in attività voluttuose e
meschine. I quattro istinti di base che guidano sono: ahara (cibo), nidra
(sonno), bhaya (paura) e maithuna (sessualità). Queste sono
dominanti nella nostra mente per una semplice ragione: la sopravvivenza. Poiché
la sopravvivenza non è un problema così grande nella società odierna come lo
era nei tempi antichi, si crea una sorta di vuoto. Il cibo è in abbondanza, la
paura diventa un ostacolo nella vita quotidiana, il mondo è sovrappopolato, e
via dicendo. La maggior parte delle persone riempie questo vuoto amplificando
il soddisfacimento di quei desideri che portano al piacere dei sensi.
Brahmacharya si occupa di riempire questo vuoto di spiritualità.
Molti potrebbero dire che la spinta principale è ahara, ma
non è così. Brahmacharya è essere liberi dal piacere del soddisfacimento degli
istinti della mente inferiore, ed è più comunemente conosciuto come ‘celibato’
perché maithuna è l’istinto più potente. Maithuna è la spinta principale perché
senza saremmo morti come specie molto tempo fa.
Per la maggior parte delle persone, seguire brahmacharya significa
sopprimere i desideri. Brahmacharya non dovrebbe essere soppressione, e la
soppressione non è il rimedio per gestire la mente inferiore o per controllare
nessuna delle sue spinte istintive. A meno che una persona non sia stabilita
nella mente superiore, la soppressione non è di alcuna utilità.
Una persona potrebbe essere in grado di impedirsi di
soddisfare qualcuno di questi istinti, ma non può impedire alla mente di
soffermarsi su di essi continuamente. Questo non è brahmacharya, essere
stabiliti nella mente più elevata, e la mente più elevata non perde tempo a
soffermarsi su questi argomenti.
C’è una storia di due monaci che vanno in pellegrinaggio
(presumibilmente) in rigoroso brahmacharya. Ad un certo punto del loro cammino
incontrarono una signora incapace di attraversare una grande pozzanghera. Il
monaco più anziano se la prende sulle spalle e la porta in salvo. Scioccato,
dopo un po’ di tempo il monaco più giovane fece le sue rimostranze al monaco
più anziano, che replicò: “Tu la stai ancora portando sulla tua testa mentre io
l’ho lasciata alle rive della pozzanghera!”. Il monaco giovane è un esempio
perfetto del contrario di brahmacharya. Swami Satyananda dice: “Quando è
fermamente stabilito in brahmacharya, lo yogi ottiene vigore, energia e
coraggio, per cui diventa libero dalla paura della morte. Perciò, brahmacharya
è una via importante per superare il klesha
chiamato abhinivesha, che è la paura
della morte.” E poiché quasi tutte le paure hanno le loro radici nel concetto
di morte, brahmacharya è un utile strumento per superare la paura in generale.
Aparigraha
Aparigraha, il quinto ed ultimo yama, è la non possessività
(noto anche come astinenza dall’avidità). È in realtà completa libertà
dall’avidità o cupidigia. Dovreste cercare di non possedere più del minimo che
vi possa servire. Come Swami Satyananda Saraswati cita in ‘Quattro capitoli
sulla libertà’: “Ciò mantiene la mente libera e anche lui (l’aspirante) non
deve preoccuparsi di nulla perché non c’è nulla (nessun possedimento) da proteggere.”
Quando si diventa non-possessivi, o non-attaccati, si diventa imparziali e in
questo modo l’amore condizionato, l’affetto, la compassione e via di seguito
diventano incondizionati, e non ristretti solamente alla famiglia, agli amici, alle
relazioni, ecc.
I doni ricevuti dagli altri ci influenzano e ci rendono più
avidi. Una conseguenza di questo è che s’inizia a fare regali perché ci si
aspetta qualcosa in cambio, che non va bene perché ci si sente offesi se non si
riceve nulla. Un sannyasin dovrebbe,
perciò, evitare i regali. L’avidità porta anche attaccamento, e ansia che
accompagna l’attaccamento. Questi sono tutti ostacoli per acquisire la
conoscenza spirituale. Swami Sivananda dice: “La libertà dall’attaccamento
porterà alla conoscenza dell’intero corso del nostro viaggio.” Inoltre, sarà
facile osservare asteya, l’astinenza dal furto, se si padroneggia aparigraha.
I ricordi e le abitudini del possedere oggetti sono le
prime cose che devono essere eliminati dalla mente, e solo dopo sarà possibile
iniziare una nuova vita. Seguendo aparigraha la mente diverrà anche pura, e si
dice che quando si osserva totalmente aparigraha, si ottiene il siddhi di poter
ricordare le vite passate, se credete nella reincarnazione. Ma non dovete
portare aparigraha oltre i vostri limiti, altrimenti darà origine a
vulnerabilità e possessività. In altre parole, se aparigraha è portato troppo
oltre, potrebbe avere l’effetto opposto.
L’Ashtanga Yoga di Swami Sivananda
Swami Yogatirthananda Saraswati
(Svizzera)
L’ashtanga yoga del saggio Patanjali si occupa dell’esplorazione
della mente. L’ashtanga yoga di Swami Sivananda si occupa dell’espressione di
quella mente.
-Swami Niranjanananda Saraswati
Gli otto passi del sentiero di Swami Sivananda (servi, ama, dona,
purifica, sii buono, fai del bene, medita e realizza) è un sadhana, una tabella
di marcia per la pace e l’armonia. I diciotto ITIES di Swami Sivananda
(serenità, regolarità, assenza di vanità, sincerità, semplicità, veridicità,
equanimità, fissità, non irritabilità, adattabilità, umiltà, tenacità,
integrità, nobiltà, magnanimità, carità, generosità e purezza) sono strumenti
pratici, che ci aiutano a vivere e a completare la tabella di marcia al fine di
far diventare la nostra vita un’espressione continua e spontanea di tutti e gli
otto passi.
Servi
“Il servizio inizia con la connessione con le altre persone. È
l’abilità di mettere sé stessi nei panni dell’altro, non diventando il
riformatore, ma lo sperimentatore della sofferenza del sofferente. Dopo aver
sperimentato la sua sofferenza, con la vostra saggezza e realizzazione potrete
trovare un modo per aiutare quella persona. Allora inizia il servizio, che è
espressione ed esternalizzazione di ciò che avete ottenuto aiutando gli altri a
crescere.” (Swami Niranjanananda)
La meditazione SWAN c’insegna che abbiamo differenti e sempre mutevoli
SWAN. Quando la barriera tra le persone si romperà ci relazioneremo senza
pregiudizi. Allora sapremo che le debolezze che oggi causano sofferenza a lui o
a lei, domani potrebbero essere le nostre debolezze. Con gli ITIES modifichiamo
ogni situazione in meglio. Comprenderemo la divina onnipresenza. Vorremmo
condividere le nostre conoscenze ed usarle per elevare gli altri. Gli ITIES
trasformano tutte le nostre attività in dovere e servizio.
Amore
“Come iniziamo ad identificarci sempre più con gli altri, e come
iniziamo ad aiutare sempre più gli altri, si svilupperà una bellissima qualità
dentro di noi che è conosciuta come amore. Il vero amore è la capacità di
capire, apprezzare ed essere uno con gli altri, e di provare per loro quello
che si prova per sé stessi. Questa capacità arriva dopo aver imparato ad
esprimerci in forma di servizio. Quest’amore trascende tutti i sentimenti, le
emozioni, le aspettative e i desideri.” (Swami Niranjanananda).
La pratica degli ITIES si basa sull’idea dell’osservatore che non
reagisce a nessuna situazione, ma è in grado di agire con piena consapevolezza.
Soltanto un osservatore, libero dall’interesse personale, può agire senza
aspettative. Con gli ITIES perdiamo la falsa identità ed il coinvolgimento
emozionale. Gli ITIES sono le diciotto facce dell’amore.
Dare
“Dopo l’aver amato, cosa rimane? Il dare. Ci sarà solo il dare, dare e
dare, senza desiderare nulla in cambio.” (Swami
Niranjanananda)
Lo sforzo che si fa nel praticare i diciotto ITIES è il
dono più grande. Sforzarsi lungo il percorso degli ITIES con la volontà di
perfezionarsi è un tentativo disinteressato, ed il risultato gioverà a tutti.
Il dono degli ITIES genera ulteriori donazioni.
Purificare
“La purificazione avviene naturalmente e spontaneamente quando si
ottiene la capacità di condividere, di dare la bellezza di cui si è avuta
esperienza. Tale purificazione non significa assenza delle qualità interiori negative,
ma una sensazione di soddisfazione o integrità che non consente a nulla di
negativo di influenzarvi, cosicché rimarrete in uno stato puro dell’essere
continuamente.” (Swami Niranjanananda)
La pratica degli ITIES è un processo di purificazione. Noi
scegliamo consapevolmente un punto di vista positivo e gli ITIES sono la nostra
armatura contro le scelte negative, limitanti o persino distruttive. La purezza
degli ITIES si basa sulla comprensione, l’armonia ed il coraggio di rendere il
mondo un luogo migliore per tutti. La purezza degli ITIES è la purezza del sattwa.
Essere buoni
“Quando sarete purificati e liberi dalle influenze del mondo
sensoriale e materiale giungeranno tutte le cose buone, al solo vostro comando.
Diverrete buoni.” (Swami Niranjanananda)
Diverremo persone buone perché gli ITIES sono buone qualità e,
ogni volta che agiremo nello spirito degli ITIES, vinceremo insensibilità ed
ignoranza. Gli ITIES ci fanno desiderare di essere persone migliori.
Fare del bene
“Quando si diventa buoni, si fa del bene.” (Swami Niranjanananda)
Quando testa e cuore sono buoni, l’azione che segue deve essere
buona. Gli ITIES ci fanno agire in modo organizzato, con buone intenzioni e
costruttivamente. Ogni ITIES applicato avvia un atto di bontà.
Meditare
“Quando si fa del bene, ci si muove nuovamente all’interno di un
naturale processo meditativo. Qui la meditazione non è uno sforzo personale, ma
una connessione universale con ogni cosa.” (Swami Niranjanananda).
I cosiddetti ostacoli sono una sfida per gli ITIES; la vita cessa
di essere una lotta e diventa una continua applicazione degli ITIES e questi
diventano la materia di cui sarà fatta la mente. In ultima analisi, gli ITIES
vivono la loro vita tramite noi.
Realizzare
“Quando si ha una connessione universale con ogni cosa, si ha la
realizzazione di ‘Io sono uno’.” (Swami Niranjanananda).
O secondo le parole di Swami Sivananda nella seconda parte della
‘Canzone dei diciotto ITIES”:
“Praticate giornalmente questi diciotto ITIES. Raggiungerete
presto l’immortalità. Il Brahman è la sola unica realtà. Il Signor tal dei tali
è una falsa identità. Rimarrete nell’eternità e nell’infinito, vedrete l’unità
nella diversità. Non potete conseguire questo all’università.”
L’abbassamento della pressione sanguigna
Dr. Swami Shankardevananda Saraswati
Il Dr. H. Benson e i suoi associati hanno scoperto che il mantra
japa aiuta nel ridurre la pressione sanguigna sistolica in un gruppo di trenta
persone di età media di 53 anni *1. Un periodo di controllo di sei
settimane ha mostrato che la pressione sistolica media era approssimativamente
di 150 mm di mercurio (mm Hg). Dopo solo tre settimane questo valore è sceso a
135 mm Hg, un livello normale, ma non si è avuto nessun cambiamento nella
pressione diastolica. Questi risultati indicano che il mantra japa può aiutare
il cuore ad affrontare l’ipertensione, ma per una riduzione più profonda ed
efficace della pressione sanguigna, sono necessarie tecniche più forti. Nove
delle trenta persone che hanno smesso con la meditazione sono tornate ai loro
valori originari dopo solo quattro settimane. Quindi, la pratica della
meditazione ha, in definitiva, qualcosa da offrire a chi soffre di pressione
sanguigna elevata.
In un secondo esperimento effettuato l’anno successivo su ipertesi
lievi (sulla soglia di rischio), usando la stessa tecnica di mantra, Benson
ebbe dei risultati migliori *2. Ventidue persone (di età media 43
anni) presero parte, e nove erano sotto terapia farmacologica. Il periodo di
controllo di sei settimane mostrò una pressione media di 146,5 mm Hg sistolica
e 94,6 mm Hg diastolica. Dopo venticinque settimane di meditazione la pressione
si era ridotta a 139,5 la sistolica e 90,8 la diastolica. Questi valori sono
statisticamente significativi e abbastanza normali. Il lungo periodo di
meditazione rilassò il sistema nervoso autonomo, aumentando il rilassamento
generale del corpo. Sembra che se si inizia a meditare presto, appena si sa che
la pressione sta aumentando, mentre è ancora ad un livello basso, si hanno
delle buone probabilità di prevenire l’ipertensione permanente e le sue
potenziali conseguenze letali.
*1.
H. Benson et al., "Decreased systolic blood pressure in hypertensive
patients who practised meditation", J. Clin. Invest., 52 : 8a, 1973.
*2.
H. Benson et al., "Decreased blood pressure in borderline hypertensive
subjects who practised meditation", J. Chron. Dis.,27: 163-9, 1974
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