mercoledì 21 marzo 2018
Yoga: ricerca sulle Pratiche
Abbiamo praticato diverse
tecniche spirituali per secoli, ma di tanto in tanto gli intellettuali ci hanno
scoraggiato dal farlo. Hanno inventato così tanti racconti inverosimili che,
alla fine, hanno dissipato l’interesse generale.
Recentemente gli scienziati
hanno svolto un lavoro veramente encomiabile e le loro indagini hanno
verificato scientificamente che certe pratiche producono cambiamenti positivi
nel corpo, nella mente, nel sistema nervoso e nel comportamento.
Il cambiamento del
consenso
Circa trent’anni fa, se avessi
detto a qualcuno che soffriva di pressione alta di sedersi e praticare meditazione,
costui mi avrebbe dato del pazzo. Oggi, quegli strumenti di cui tanto si parla,
come i sistemi di misurazione dei parametri psicofisiologici (biofeedback),
hanno chiaramente indicato che, quando la pratica meditativa va molto in
profondità, nel cervello compaiono schemi alfa. Quando nel cervello predominano
gli schemi alfa, il cuore rilascia la pressione e si ha un grande cambiamento
nel consumo di ossigeno all’interno del sistema. Al giorno d’oggi, se dico di
meditare ad una persona che soffre di pressione alta, e il suo medico ne è al
corrente, non farà nessuna obiezione.
Trent’anni fa, se vi avessero
detto di praticare sirshasana, la
posizione sulla testa, molte persone avrebbero detto: “Non farlo, diventerai
pazzo!” C’erano molte polemiche in riguardo alla posizione sulla testa. Chi ha
seguito le ricerche scientifiche, ora ha le idee chiare.
Circa tredici anni fa, un
gruppo di scienziati ha condotto alcune indagini sugli effetti di sirshasana;
in particolare sull’effetto fisiologico di sirshasana. Queste ricerche non
furono condotte da un singolo individuo ma da un gruppo. Avevano circa un
centinaio di praticanti di diverse fasce d’età e l’esperimento andò avanti per
sei mesi. Quali furono i risultati? Gli stessi che si trovano in un libro di yoga, “Hatha Yoga Pradipika”. Gli strumenti scientifici moderni non hanno
glorificato lo yoga, ma hanno fatto un tentativo nel dissipare l’ignoranza
dalle menti di molte persone riguardo allo yoga.
Scoprire la giusta
asana
Se qualcuno soffre di ernia al
disco o di sciatica, io gli insegno solo tre asana (bhujangasana, shalabhasana
e makarasana), qualche pranayama ed un semplice bhastrika. Ci vorrà al massimo una
settimana affinché si riprenda, anche se ne soffriva da anni. Come sono giunto
a questa conclusione? Ve lo racconterò. Per puro caso andai a trovare un avvocato
di Calcutta e costui era molto interessato allo yoga. Quel giorno, a casa sua,
c’erano alcuni americani. Avevano con loro degli strumenti per fare
l’elettroencefalogramma, l’elettrocardiogramma e delle macchine per misurare la
resistenza della pelle: versioni portatili dei modelli da laboratorio.
Si stavano misurando l’un
l’altro, ma non in modo prettamente scientifico. Testarono un uomo per la
tensione muscolare. Si sedette nella stessa posizione in cui ci troviamo adesso
e gli furono connesse le strumentazioni. I muscoli mostrarono un elevato
livello di tensione. Poi gli chiesero di praticare bhujangasana. Appena si
sdraiò in posizione prona, la macchina indicò una caduta di quella tensione.
Quando assunse bhujangasana, tutti i muscoli della sua schiena erano a zero,
completamente rilassati, fino al sistema sacrale. Non c’era nessuna parte in
tensione. Lo stesso risultato si ebbe per shalabhasana e per makarasana. Così
mi venne in mente che quella sequenza era la migliore per l’ernia al disco e
per la sciatica.
Alla ricerca della
kundalini
Gli strumenti scientifici
hanno rivelato le potenzialità delle pratiche yogiche. Ora sono in molti a
parlare di kundalini. Circa dieci anni
fa, un dottore mi chiese: “Ha mai visto la kundalini?”. Io gli chiesi: “E
lei?”. Mi rispose che aveva sezionato interamente un corpo e che non l’aveva
vista. Gli chiesi: “Cosa intende dicendo questo?”. Lui mi rispose che la kundalini shakti non può esistere,
perché nella sua dissezione lui non l’aveva vista. Gli feci solo un’altra
domanda. “Mentre dissezionava il cervello, ha trovato i pensieri?”. Il dottore
non mi rispose.
C’è un dottore in Giappone, un
caro e grande amico, il Dr. Hiroshi Motoyama. È dottore in medicina e ha messo
a punto un apparecchio che può registrare gli impulsi nei chakra. Ha una macchina di grandi dimensioni. Se voi siete alti sei
piedi, egli allunga la macchina a sei piedi. Se siete bassi e giapponesi,
accorcia la macchina. La adatta perfettamente in corrispondenza dei chakra (muladhara, swadhisthana, manipura, anahata),
e li monitora.
Egli chiede alla persona di
praticare bhastrika pranayama, ad esempio, o qualsiasi altra cosa. Mentre il
soggetto esegue bhastrika e pratica jalandhara
bandha, uddiyana bandha, mula bandha, contemporaneamente si può vedere cosa
accade all’interno dei chakra. Certo, non vi è nessun risveglio di kundalini.
Sono i chakra che iniziano ad attivarsi. Dopo che le sue indagini sono divenute
note, molti medici si sono zittiti, perché ora kundalini shakti deve essere
accettata come una forza.
Il sistema di
monitoraggio
Negli ultimi tredici anni, non
trentun anni, sono state condotte più di mille ricerche sulla meditazione da
scienziati di tutto il mondo. Hanno fatto incredibili ricerche sul kundalini
yoga, lo zen e altre forme di meditazione. Abbiamo molti apparecchi che possono
essere usati per spiegare gli effetti delle varie pratiche yogiche sul corpo e
sulla mente.
Alcuni anni fa in India uno swami fermò il proprio cuore e fu messo
sottoterra per sette giorni. Dottori indiani e non indiani, provenienti
dall’estero, vennero ad investigare. Lo dichiararono clinicamente morto, ma
dopo dieci giorni egli uscì fuori. Ora, questo che cosa ci dimostra? Che anche
dopo un arresto cardiaco, se si conosce lo yoga, si può sopravvivere. Il
sistema di monitoraggio cardiaco è nel cervello, non nel cuore. L’infarto
avviene non perché il cuore fallisce, ma perché il sistema di monitoraggio
fallisce nella regolazione e nel coordinamento. Se si conosce come manipolare
questo sistema di monitoraggio, l’arresto cardiaco può essere evitato.
Lo Scopo degli Shatkarma
Da “Gheranda Samhita”,
Swami Niranjanananda Saraswati
Tramite gli shatkarma, l’armonizzazione di ida e pingala, i due principali flussi di energia, è stabilizzata;
determinando purezza ed equilibrio fisico e mentale. Gli shatkarma equilibrano
anche vata, il vento; pitta, la bile, e kapha, il muco: i tre disordini che si creano nel corpo. Secondo l’ayurveda e l’hatha yoga, ogni squilibrio in questi tre disordini fa sorgere la
malattia. Gli shatkarma sono utilizzati anche prima del pranayama e altre pratiche elevate di yoga in modo che il corpo sia libero dalle malattie e non crei
alcun ostacolo lungo il sentiero spirituale.
Queste potenti pratiche
non dovrebbero mai essere intraprese dopo la semplice lettura di un libro o
dietro insegnamento da parte di persone inesperte. Secondo la tradizione, una
persona ha il diritto d’insegnare agli altri solo dopo essere stato istruito
dal guru. È essenziale che tali
istruzioni siano date personalmente, compresa la conoscenza di quando e come le
pratiche devono essere fatte, secondo le necessità individuali. Nella Gheranda Samhita (capitolo I, verso 12)
si legge:
Dhautirvastistathaa netih laulikee
traatakam tathaa; Kapaalabhaatishchaitaani shatkarmaani samaacharet.
Eseguire
gli shatkarma (dhauti, basti, neti,
lauliki, trataka e kapalbhati) è
essenziale.
In questo verso sono elencati
i sei tipi di pratiche di pulizia: dhauti, basti, neti, lauliki (anche chiamato
nauli), trataka e kapalbhati. Gli
shatkarma purificano il corpo. Il loro scopo, comunque, non è solo la
purificazione fisica, ma anche la purificazione interiore. Quando il corpo è
purificato, i disordini interni sono rimossi e si ottiene un ottimo stato di
salute. Senza purificazione il corpo non può essere pronto per le pratiche di
yoga più elevate.
Dopo la purificazione, un
essere umano vive più a lungo sulla terra. Nelle Upanishad e nei Veda è
scritto in vari passi che gli esseri umani vivono per cento anni, jeevema sharadam shatam. Questo non è
solo il pensiero dei Veda, delle Upanishad o di antiche filosofie, è la verità.
Se un essere umano rimane sano e libero dai disturbi, vivere per cento anni o
più, è naturale. La replicazione cellulare può continuare per lungo tempo, se
la programmazione non è interrotta da impurità o squilibri.
Trataka
Trataka significa fissare ed è
un’importante pratica di pratyahara.
È l’ultima pratica di pratyahara, che conduce a dharana.
In trataka la mente è
fissata, seguendo proprio il concetto di ‘andare verso’ un oggetto, un oggetto
visivo. Nella pratica di yoga nidra,
si va verso una graduale introversione. Dalla consapevolezza del corpo si passa
alla consapevolezza dei suoni, poi alla rotazione della consapevolezza attraverso
le parti del corpo, al respiro, e via di seguito. Si va gradualmente più in
profondità, ritirando la mente dalle sue associazioni e connessioni esterne. In
trataka si fa centro, si è lì, si deve essere lì; non c’è nessun movimento
graduale di concentrazione. Si deve avere quello stato di concentrazione
proprio del termine ‘andare’.
La padronanza del
saggio Gorakhnath
Trataka coinvolge lo
sguardo e lo sguardo è connesso con ajna
chakra. C’è una storia che narra del saggio Gorakhnath, uno dei principali
propagatori dell’hatha yoga, che perfezionò
l’hatha yoga spontaneamente attraverso trataka.
Una volta si ammalò ed
era costretto a letto. Nel muro della sua stanza venne appesa una lanterna con
un lumicino acceso, come si usava fare nell’antichità. Nella stanza buia la
lampada era accesa continuamente ed egli, disteso nel letto, fissò la lampada.
Facendo così perfezionò trataka. Mentre era malato, osservò la fiamma e
perfezionò il suo trataka. Quella perfezione gli conferì delle speciali capacità
al punto che, quando il suo guru
Matsyendranath arrivò, lo accolse come suo discepolo.
Differenti
metodi di trataka
Trataka è una pratica
visiva e usa lo sguardo per giungere ad uno stato di concentrazione. Usa la
vista per calmare le dissipazioni della mente, e qui sta la sua bellezza.
Vi sono molti modi di
praticare trataka ed ognuno porta ad esperienze differenti. Per scopi
terapeutici vi è un metodo, per ottenere la concentrazione mentale un altro e
per l’esperienza psichica un altro ancora. Trataka non è una pratica unica,
anche se di solito viene insegnato un unico metodo, poichè è il più sicuro. Se
fossero insegnati anche gli altri metodi, si potrebbero avere delle esperienze
che non si è in grado di gestire. Ricordate, questo non è una cosa curiosa o
che con spavalderia potete gestire; dovete lavorare partendo dal punto in cui
siete e gradualmente andare avanti.
Si crede che trataka
apra la psiche umana. Attiva ajna chakra,
e grazie a questo s’iniziano a prevedere le cose; si diventa veggenti degli
eventi. Questo, tuttavia, è il raggiungimento finale di trataka. Alle
elementari della pratica di trataka, lo si esegue per due scopi: terapia degli
occhi e concentrazione. Alla Bihar School of Yoga, trataka non è insegnato per
la scoperta o il risveglio psichico.
In ambito terapeutico,
la pratica migliora la vista. Infatti, qualora sentiste che la vostra vista si
stia deteriorando, forse all’età di quaranta o quarantacinque anni, praticate
trataka. Quando iniziate a vedere un po’ sfocato e notate di avere bisogno di
allontanare il foglio per leggerlo, se praticate regolarmente trataka per sei
mesi, la vostra vista migliorerà. Dopo qualche tempo, quando noterete
nuovamente di avere la vista sfocata e vi sarà l’urgenza di allontanare il
foglio, praticate di nuovo trataka per quindici giorni. Così è come trataka è
usato per scopi terapeutici.
Per lo scopo della
concentrazione, per fermare la dissipazione della mente e migliorare la concentrazione,
si pratica trataka di notte, sulla fiamma di una candela. Questa è la tecnica
usata nel sistema Bihar Yoga, molto più che dagli altri sistemi. Piuttosto che
cercare di praticare ed insegnare venti varianti differenti di trataka, che non
sarebbero usate opportunamente, questa singola pratica aiuta a migliorare la
vista e la concentrazione.
Swami Satyananda fu la
prima persona ad usare questa particolare tecnica mentre tutti gli altri
facevano trataka su yantra, simboli e
punti neri. Swami Satyananda disse: “No, queste possono essere considerate
pratiche di hatha yoga, ma sono irrilevanti per le necessità di oggi. Ciò che è
importante, in relazione alla salute fisica e mentale, è ciò che stiamo usando
noi.” Così, nel sistema Bihar Yoga, trataka sulla fiamma di una candela è lo
stile introdotto da Sri Swamiji.
Gli stadi di
trataka
Vi sono quattro stadi
nella pratica di trataka. Il primo è bahir
trataka, o trataka esterno. Si usa un oggetto esterno su cui fissare lo
sguardo; si fissa l’oggetto senza battere le palpebre. Questa è la regola di
trataka: mentre si guarda qualcosa, non si devono battere le palpebre. Nel
momento in cui si ha l’urgenza di battere o muovere gli occhi per una ragione
qualsiasi, si deve fermare lo sguardo esterno, chiudere gli occhi, guardare
l’immagine complementare e rimanere con gli occhi chiusi fino a che l’immagine
sparisce.
Inizialmente, quando
non si conosce la pratica, i nervi e i muscoli si stancheranno velocemente e ci
sarà una forte urgenza di chiudere gli occhi e, quando li chiuderete,
inizieranno a scendere le lacrime. I dotti lacrimali si attivano grazie alla
pressione esercitata su di essi dallo sguardo fisso ed è un buon segno: gli
occhi vengono lubrificati. Questo è noto come bahir trataka.
Il secondo stadio è antar trataka, trataka interno, e qui si
usa un simbolo. Ad esempio, all’inizio di una lezione, durante Shanti Path, vi si chiede di
visualizzare la fiamma di una candela nel centro tra le sopracciglia. Questo è
l’inizio di antar trataka, dove ricreate l’immagine di una fiamma nella vostra
mente. Dovete ricreare la fiamma come un’immagine 3D: i colori, l’altezza, la
larghezza, tutto deve essere visto. In antar trataka, lo sforzo è di rendere
reale la forma che visualizzate o che pensate.
Poi c’è il terzo stadio
di trataka, dopo bahir e antar trataka, vi è shunya drishti. Shunya drishti significa fissare nel nulla, nel
vuoto. Capire come praticarlo diverrà semplice se ripensate alla pratica di antar mouna. Avrete notato che in antar
mouna, quando vi viene chiesto di divenire consapevoli dei pensieri, i pensieri
non ci sono, scoprite che si può non pensare. Questo perché, nel momento in cui
iniziate ad osservare qualcosa, quell’attività si ferma. Nel momento in cui
muoverete la mente, di nuovo i pensieri inizieranno ad arrivare. Questo è
applicabile anche a trataka.
Le visioni sono
considerate una delle principali cause di dissipazione nel cervello. Si
ricevono informazioni attraverso tutti i sensi, il tatto, l’olfatto, il gusto e
il suono, ma il volume d’informazioni ricevute tramite gli occhi è molto
maggiore di tutti gli altri quattro sensi messi insieme. Dei due miliardi
d’informazioni che il vostro cervello riceve ogni secondo, molto probabilmente
il sessanta percento è legato alla vista, il quaranta restante è diviso in
dieci percento per ognuno degli altri sensi, udito, tatto, odorato e gusto.
Pertanto è la vista che crea sempre disturbo mentale, e in trataka la vista
deve essere focalizzata.
Se chiudete gli occhi e
rimanete così per cinque minuti, le onde del vostro cervello si modificheranno.
Diverranno onde alpha. Poi, quando aprirete gli occhi e vi riconnetterete con
il mondo, le onde cerebrali si modificheranno di nuovo istantaneamente, non
appena le immagini, le forme ed i colori saranno nuovamente riconosciuti e
assorbiti. In quel momento predomineranno le onde beta.
In bahir trataka state
focalizzando il vostro jnanendriya,
l’organo fisico degli occhi, su un oggetto; in questo modo le agitazioni
connesse con la vista si fermeranno. Il cervello diventerà meno attivo, poiché
l’afflusso d’informazioni è ridotto. Quando praticate antar trataka, vi è una
disconnessione dalle influenze esterne e siete autonomi. Non vi muovete verso
ciò che è esterno. Con l’intensità della concentrazione, tutte le chiacchiere
saranno dimenticate e vi troverete in uno stato di shunya, nel nulla, in uno
stato di vuoto. La mente diventa assolutamente ferma, non c’è un solo pensiero.
Anche se provate a pensare, non sarete in grado di farlo, non saprete da dove
poter prelevare il pensiero. Questa è una condizione di vuoto assoluto.
Il quarto stadio di
trataka è chaitanya trataka o trataka
continuativo. Si riferisce all’abilità di rimanere focalizzati per tutto il
tempo. Una volta chiesi a Sri Swamiji che sarebbe bello avere un ashram in montagna, nell’Himalaya. Lui
mi guardò e mi disse: “L’idea è buona ma pensa a qual è lo scopo. Se stai
pensando alla pace, non troverai la pace nell’Himalaya se la tua mente non è in
pace. Se la tua mente è in pace, anche in un luogo come Munger non sentirai
nemmeno un suono, poiché non sarai distratto da ciò è intorno a te. Sarai Uno
con l’esperienza della pace.”
Questo è chaitanya
trataka, dove la concentrazione e la nitidezza della mente sono così intense
che non c’è deviazione di attenzione o di consapevolezza. Ora la vostra
consapevolezza può fluttuare ad ogni momento. Un forte rumore alle spalle farà
sì che tutti si voltino e chiedano: “Cos’è stato quel rumore?”. In chaitanya
trataka, dove si mantiene lo stato di trataka continuamente, si può essere in
mezzo ad un campo di battaglia e rimanere in pace come Buddha.
Una persona che è in
grado di mantenere equilibrio in tutte le condizioni critiche della vita,
pratica chaitanya trataka. Chi entra nello stato di samadhi, fa esperienza di shunya drishti. Chi si stabilizza in
pratyahara e in dharana, fa esperienza di antar trataka. Chi apprende la
dissociazione e la disconnessione dalle influenze esterne, pratica bahir
trataka.
I benefici di
trataka
I benefici di trataka
divennero evidenti durante un episodio. Una volta stavo facendo una lezione di
yoga ad un violento gruppo di prigionieri, detenuti in carcere di massima
sicurezza a San Francisco, negli USA. Circa in cinquanta erano nella stanza.
Prima di entrare, il direttore del carcere mi disse: “Tutti loro fanno molta difficoltà
a dormire la notte. Esiste qualcosa in yoga che possa aiutarli a dormire
meglio?”. Io risposi: “Fammi pensare.”
Mentre stavo facendo la
lezione mi venne un’idea: ‘Potrebbero fare trataka nelle loro celle durante la
notte!’ Così dissi loro: “Vi andrebbe di fare un esperimento yogico stanotte? È
qualcosa che potete fare tranquillamente nella vostra cella.” Mi risposero.
“Certo”. Chiesi al direttore di procurare loro delle candele. Mi disse: “Beh,
Swami, ci sono dei problemi di sicurezza. Potrebbero dare fuoco a tutto.”
Dissi: “Ci lasci provare per una notte. Se necessario, può mettere una guardia
davanti ad ogni cella per controllare che nessuno bruci nulla.” Così, provammo
trataka.
Le mie istruzioni
furono mandate attraverso il sistema degli altoparlanti. Io non li vedevo
direttamente, ma li potevo guardare sugli schermi a circuito chiuso. Li guidai
nella pratica di trataka per mezz’ora, poi terminammo. Io tornai nel mio
alloggio con il direttore.
Circa venti minuti più
tardi, mentre stavo prendendo una tazza di tè con lui, ricevette una
telefonata: “Tutte le persone che hanno fatto quel divertente esercizio per gli
occhi stanno dormendo.” Dormirono come bambini e il giorno dopo si svegliarono
tardi. Questo episodio lasciò un’impressione e, in seguito, quando altre
persone mi dicono: “Swamiji, non riusciamo a dormire alla notte.” Io dico loro
di praticare trataka e funziona sempre.
Il motivo per cui
trataka aiuta a dormire è perché si fa esperienza di profondo rilassamento
durante la pratica. Oltre a questo, quando vi svegliate la mattina successiva,
la freschezza ed il rilassamento di cui si fa esperienza nel corpo, è unica.
Trataka ringiovanisce totalmente la mente, disconnettendola dalle fonti di
distrazione. Questo è il segreto di trataka.
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27 Settembre 2016, Ganga Darshan, Munger,
Hatha Yoga Training – Modulo 1
(estratto)
Paschimottanasana
Swami
Niranjanananda Saraswati
Esistono diverse
apparecchiature che misurano il livello di stress dei muscoli. Non sono l’EMR (registratore clinico
elettronico) o l’EMG (elettromiografo), ma altri tipi di elettrodi
che vengono messi sul corpo e che misurano il livello di stress quando si fa
un’azione. Quest’esperimento, una volta è stato fatto con le asana. Il corpo
delle persone che presero parte all’esperimento era coperto da elettrodi e fu
chiesto loro di assumere delle asana, per misurare il livello di stress. Le
misurazioni erano espresse in unità, quindi si ottennero molte unità di stress.
Facemmo paschimottanasana, afferrando le dita
dei piedi. Mentre praticavamo paschimottanasana lo stress muscolare, lo stress
fisico, diminuì di novanta unità. Visivamente è un’asana difficile, in quanto
allunga ogni parte, ogni muscolo, mentre si cerca di afferrare le dita dei
piedi. Tutto il corpo è in uno stato di tensione cronica, ma ciò che è
percepito come tensione cronica o difficoltà e dolore alla schiena, allungando
ed afferrando le dita dei piedi, in realtà sta rilassando il sistema muscolare
del corpo. Quando poi ci si rilassa sdraiandosi in shavasana, tutto il corpo immediatamente si abbandona e si rilassa,
molto più di quello a cui si è abituati: come quando si allunga una gomma e poi
la si lascia.
Il collegamento
con l’intenzione e con lo spirito
Si allungano, quindi, i
muscoli e poi si rilasciano. Se si usa questa conoscenza per creare una
specifica condizione nel corpo che possa contrastare le situazioni stressanti, indipendentemente
dal tipo di vita si fa, professionale o di rinuncia, è possibile gestire gli
effetti psicologici dello stress e dell’ansia in modo decisamente migliore.
Questa è un’indicazione
di comprensione e di applicazione delle pratiche yogiche per creare un
cambiamento definitivo nello schema corporeo e psicologico. In questo modo lo
yoga non rimane solamente una sequenza meccanica che per abitudine si pratica
al mattino o alla sera, ma diventa un procedimento consapevole per creare e
modificare qualcosa nella vita e questo è ciò che abbiamo imparato.
È questo l’insegnamento
di Sri Swamiji che, ancora una volta, stiamo presentando; poiché negli ultimi
cinquant’anni c’è stato un marcato indebolimento dell’insegnamento dello yoga,
a seconda dell’insegnante che trasmette l’insegnamento. Le pratiche sono
ricordate, ma non l’intenzione originale e nemmeno l’istruzione che Sri Swami
Satyandanda diede.
Noi stiamo
rivitalizzando e riconnettendoci con lo spirito con cui egli ci ha insegnato le
pratiche: non per diventare insegnanti, ma sperimentatori di yoga.
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30
Settembre 2016, Ganga Darshan, Munger,
Hatha Yoga Training – Modulo 1 (Estratto)
La Cura Diventa Possibile
Al giorno d’oggi le
persone associano le asana con il corpo e i disturbi. Affermano che, se si fa
quest’asana, quel particolare disturbo sarà curato. Queste sono parole
pronunciate dalle persone, non dallo yoga. Alcuni insegnanti affermano di poter
curare una particolare malattia con l’aiuto dello yoga, eppure lo yoga non dice
questo. Secondo lo yoga le malattie non sono curabili, e non si dovrebbe
nemmeno cercare di curarle. Tutto ciò che si deve fare è gestire e disciplinare
la propria vita, in questo modo le malattie, automaticamente, saranno curate.
Io non sono
malato
Sri Swami Satyananda
diceva che le persone, generalmente, credono che lo yoga curi le malattie. Sicuramente,
se una persona malata pensa sempre alla sua malattia e crede di essere ammalato,
nessun tipo di pratica medica può essere di aiuto. Per cui, la prima terapia
per un malato è rimuovere il pensiero di essere malato dalla sua mente. Finché
non si rimuove questo pensiero, non ci sarà libertà dalla malattia. Il primo
pensiero che deve avere una persona ammalata è: “Io non sono malato, io non
sono malato”.
Quando l’individuo
pensa ‘Io non sono malato’, la mente inizia ad influenzare il corpo. Se si
pensa costantemente ai malesseri e ai disturbi fisici, anche una persona sana
si ammalerà a causa del costante pensiero negativo. Il primo principio è ‘Io
non sono malato’ ed il secondo sono le pratiche appropriate. Per ogni
problematica non ci sono più di quattro o sei pratiche. Le pratiche generali
sono per il miglioramento dello stato di salute e non per la cura.
I tre aspetti
per il mantenimento del corpo
Quando si collega il
corpo con lo yoga in hatha yoga, si notano tre effetti. Il primo effetto è che
se c’è una malattia, o se la salute è cattiva, è possibile eliminare tale
condizione con lo yoga. Poi occorrerà sforzarsi per migliorare la salute, per
liberarsi dalle malattie, e per rendere la condizione di guarigione ancora più
potente. Segue quindi la prevenzione. Se una qualsiasi condizione, tensione,
germi, batteri o inquinamento, affligge il corpo, il corpo stesso deve avere
immunità, potere e forza per combatterla. Se prima si fosse ammalato per una
decina di giorni, ora solo per due.
Considerando il corpo,
lo yoga ha tre aspetti: è curativo, preventivo e promotore. Generalmente, le
persone dovrebbero praticare per l’aspetto promotore. Dovrebbero fare le
pratiche per promuovere la salute e permettere alla regolazione, alla
disciplina e all’organizzazione di entrare nella propria vita.
Invece le persone
dormono fino alle otto, mangiano alle undici e telefonano all’insegnante di
yoga alle dieci. Si lamentano del dolore e chiedono di essere istruiti nelle
asana. Fanno colazione alle dodici, pranzo alle tre, vanno a dormire alle
undici e vogliono mantenersi in forma. Si trovano nel fango e vogliono
mantenere i vestiti puliti. Questo è impossibile. Entrano in una miniera di
carbone e vogliono mantenere i vestiti puliti. Questo è impossibile. Ovunque
andranno, i vestiti si macchieranno.
Se si è nel mondo, si
deve sopportare la sofferenza del mondo, con discriminazione, non con paura ed
ansia. Quando avete paura della malattia e della tensione, non potete curarvi
da soli. Tuttavia, se agirete con discriminazione, allora ogni tipo di cura
diverrà possibile.
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29
luglio 2014, Netaji Subhash Stadio, Calcutta
Migliorare la Qualità della Vita di Ognuno
Se il sistema yogico comprendesse solo le asana, molte persone al mondo sarebbero escluse dal praticarlo. Fortunatamente la tradizione originale dello yoga non riguarda solo l’aspetto fisico dello yoga, ma ha un approccio completo ed integrale sulla vita umana, indirizzandosi a tutti i tipi di personalità, usando tutte le branche dello yoga. È grazie a questo che, anche le persone con disabilità fisica, possono trarre beneficio dallo yoga.
Quella che segue è la
storia di una donna che non è diventata solo un’allieva di yoga, ma anche una
praticante sincera ed impegnata, nonostante le sue difficili condizioni. Quando
la incontrai, viveva già lo yoga. In teoria lei non sapeva nulla di yoga, ma
esprimeva un atteggiamento yogico nelle azioni, nel modo di pensare e nel
comportamento, essendo una delle persone più intelligenti, positive ed
ottimiste che io abbia mai incontrato.
Un giorno, un amico mi
chiese di incontrare una donna paralizzata per aiutarla tramite lo yoga. Io gli
chiesi: “Come pensi che io possa aiutare questa signora?”. “Tu sei un
insegnante di yoga. Vai da lei e trova il modo”, mi rispose. Così andai. Lei mi
aspettava, seduta su una sedia a rotelle. Chiacchierammo e lei mi disse che
aveva sessant’anni e che a causa di un incidente automobilistico avvenuto circa
vent’anni prima, le si erano rotte le vertebre cervicali e la colonna, ed era paralizzata
dal collo in giù.
Mi spiegò che ci sono
differenti gradi di paralisi e che con alcuni tipi si è in grado di muovere la
parte alta del corpo, le braccia e le mani. Lei era paralizzata ad un grado
estremo, in quanto poteva fare solo dei piccoli movimenti con la testa.
Necessitava così di assistenza ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni.
Aggiunse anche che da quando il mio amico le aveva detto che lo yoga l’avrebbe
aiutata, non vedeva l’ora di iniziare le nostre lezioni di yoga. Francamente parlando
in quel momento non avevo nessuna idea di cosa fare con lei, ma mi offrii di tornare
a trovarla due volte a settimana.
Yoga nidra: il
primo dono
Per la nostra prima
sessione l’unica cosa che mi venne in mente fu yoga nidra: il corpo deve rimanere immobile, cosa che era proprio
la condizione del suo corpo. Iniziai ad insegnarle yoga nidra. All’inizio
dovetti rallentare il ritmo, perché a lei occorreva più tempo per ruotare la
consapevolezza lungo il corpo rispetto ad una persona sana. Per la prima volta
dopo molti anni divenne consapevole e sentì le parti del suo corpo. Dopo alcune
settimane, potei aumentare la velocità fino a renderla normale e lei fu in
grado di seguirmi con facilità e gradualmente, progredimmo fino a uno yoga
nidra completo, con sankalpa,
visualizzazioni e sensazioni opposte. Poi registrai un CD, in modo che potesse praticare
anche quando io non fossi lì.
Le settimane ed i mesi
passarono e continuavamo ad incontrarci due volte alla settimana e a fare yoga
nidra. Dopo ogni sessione, rimanevo un po’ con lei a chiacchierare. In una di
quelle occasioni, mi disse che era molto grata del fatto che ci fossimo
incontrati perché yoga nidra la stava aiutando considerevolmente. Disse che
alla fine della pratica tutto il dolore che sentiva se ne andava. Questo
accadeva dalla nostra prima sessione, ma lei non voleva credere che fosse
merito di yoga nidra. Però, siccome questo avveniva ogni volta che
c’incontravamo, capì che era proprio yoga nidra la causa di questo stato di assenza
di dolore, che per lei era un sollievo inimmaginabile.
Mi spiegò che questo
dolore è chiamato ‘dolore neuropatico’ ed è un fenomeno ben noto alle persone
paralizzate. Quando le chiesi di descrivermi il grado di questo dolore, mi
disse: “Immagina di farti, deliberatamente, un taglio molto profondo con una
lametta da barba e cerca di sentire quel dolore simultaneamente in migliaia di
punti del tuo corpo.” Aggiunse che la maggior parte delle volte è
insopportabile, al punto che i dottori normalmente la trattano con la morfina,
che riduce il dolore ma ha diversi effetti negativi. Il primo dono per lei fu
yoga nidra che la aiutò a gestire il dolore. Sin da allora, la pratica ancora
oggi quotidianamente.
Il pranayama
“sniffante”
Il secondo grande cambiamento positivo nella
qualità della sua vita avvenne grazie al pranayama. Notai che era distesa a
letto con almeno due coperte, anche in piena estate, perché la temperatura del
suo corpo era più bassa della norma, a causa della mancanza di movimento e di attività
fisica. Una conseguenza di questo era la pressione bassa che, soprattutto al
mattino, le causava vertigini e scomodità generale. Le occorrevano due ore ogni
giorno per uscire da questo stato estremo e per portarsi al suo stato normale.
Decisi così
d’insegnarle alcune tecniche di respirazione di base, iniziando con la semplice
consapevolezza del respiro, la respirazione addominale e la respirazione yogica
completa. Procedevamo lentamente perché per prima cosa doveva sviluppare uno
schema corretto di respirazione, che era abbastanza difficile per lei. Così un
giorno, mentre stavamo praticando la respirazione addominale, le dissi di
velocizzarla via via un po’ di più. Alla fine divenne una sorta di bhastrika, che la divertì molto e chiamò
‘sniffante’. La volta successiva la trovai già seduta sul letto, sorridente.
Quando le chiesi cosa fosse successo, disse che questa tecnica aveva cambiato
la sua vita.
Ora, la prima cosa che
fa al mattino è bhastrika e questo immediatamente le alza la pressione e la temperatura
del corpo, così invece d’impiegare due ore le ci vogliono solo dieci minuti per
normalizzare la sua condizione.
Fui molto felice di
sentire che tutto questo l’aveva aiutata e la prima cosa che mi venne in mente
fu che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la nostra tradizione ed i
nostri guru. Ciò dimostra la forza dello yoga e che anche le pratiche più
semplici possono avere degli effetti profondi e possono portare veramente un
cambiamento positivo nella vita di ogni individuo.
-
Swami Bhaktananda, Ungheria
Hatha Yoga e Raja Yoga
Hatha
yoga è
una parte del Raja yoga. Lasciatemi
spiegare il termine ‘hatha yoga’. Hatha significa ‘vitale’, riferito sia al
prana che alla mente, manas. Yoga significa unione ed armonia. Per Hatha yoga s’intende mente ed energia vitale.
Questo nostro corpo è
composto da energia fisica, o prana, ed energia mentale, o mente. All’interno
del corpo deve esserci totale equilibrio ed armonia tra queste due forze
gemelle. In hatha yoga l’equilibrio
mantenuto è tra due forze, quella vitale e quella mentale. Se l’energia vitale
è predominante, si diventa molto aggressivi e violenti, mentre se le forze
mentali prevalgono su quelle vitali, si avranno così tanti pensieri astratti e sogni
ad occhi aperti che si potrebbe arrivare alla pazzia. L’individuo potrebbe
diventare ‘matto’. L’equilibrio tra le due parti è molto importante. Perciò,
personalmente non considero l’hatha yoga come
qualcosa di puramente fisico.
La nostra
consapevolezza vive nel corpo fisico e, quindi, per prima cosa noi siamo
consapevoli del corpo fisico. Per questo motivo dobbiamo iniziare con la
consapevolezza fisica. Ma se non siete particolarmente consapevoli del corpo
fisico, se vi siete evoluti nel corpo mentale, allora dovrete partire da lì.
Hatha
yoga
in sé ha a che fare con la perfezione, la purificazione delle varie parti del
corpo fisico, mentre raja yoga
riguarda la mente. Ricordate che se vi sedete per la meditazione con un corpo
impuro, una mente vacillante e un sistema nervoso squilibrato, non potrete
veramente progredire spiritualmente. In questo senso hatha yoga è una parte del raja
yoga.
-
1977
Verso Pratyahara
L’Hatha yoga inizia con
le pratiche di purificazione, gli shatkarma,
per disintossicare il corpo. Dopo la purificazione, si passa alla pratica delle
asana e poi al pranayama. Le asana dell’hatha yoga sono dinamiche ed i
pranayama dell’hatha yoga sviluppano il controllo del respiro e della
respirazione. Mudra e bandha sono anch’essi parti dell’hatha
yoga, e tramite questi si sviluppano le capacità necessarie per dirigere il
flusso energetico. Ciò è seguito dalle pratiche di concentrazione per
focalizzare la mente. Tutto questo costituisce l’hatha yoga.
Quando tutte queste
pratiche saranno perfezionate, si passerà al raja yoga. È come portare a
termine la scuola primaria prima di accedere a quella secondaria. Così come ci
sono varie classi nella scuola primaria, ci sono vari stadi in hatha yoga. Se
uno studente di prima elementare dice: “Voglio andare alle medie”, l’insegnante
lo asseconda? No. Ma gli ipocriti nella vita spirituale lo fanno. Quindi, chi è
sincero nella vita spirituale deve comprendere che per prima cosa bisogna
perfezionare l’hatha yoga e poi passare al raja yoga.
In hatha yoga s’inizia
con gli shatkarma per purificare il corpo, poi si passa ad una sequenza
progressiva di asana, pranayama, mudra, bandha ed a specifiche tecniche di
concentrazione e di meditazione. Preparate, così una dimensione della vostra
esistenza: annamaya e pranamaya kosha. In raja yoga avete a
che fare con manomaya e vijnanamaya kosha; per questo il raja
yoga inizia con yama e niyama.
Il primo gradino del
raja yoga non sono le asana, come tutti pensano. È yama e niyama. Yama e niyama
sono praticate per armonizzare manomaya e vijnanamaya kosha, non annamaya o
pranamaya. Sono per la mente, cambiano lo stato della mente. Yama crea un condizionamento
positivo, uno stato d’animo, e nyama rinforza questa condizione. Le persone ignorano
yama e niyama: questo è l’errore principale che si fa lungo il percorso che
porta ad avere una mente disciplinata. Quando meditate, ad esempio, cercate di
svuotare la mente e di rimuovere tutto ciò che in quel momento la disturba.
Quindi cosa fate? Aprite gli occhi. La meditazione termina quando la mente è
stata svuotata. Il problema è che, nel momento in cui aprite gli occhi, la
mente si riempie nuovamente con tutto ciò che l’ha disturbata, e ciò indica che
non avete creato una condizione mentale nella vostra meditazione che possa
esservi di supporto quando gli occhi sono aperti. Svuotate la mente ma non la
riempite con qualcosa di positivo quando è vuota, perciò il risultato della
meditazione è ‘nessuna esperienza’. Dite solo: “Oh, mi sento bene! Sono
rilassato, in pace e calmo.” Oltre a queste sensazioni fugaci, non c’è nessuna
esperienza più profonda durante la meditazione.
Quando avete a che fare
con la mente, dopo aver rimosso le scorie, dovrete immettere qualcosa di
positivo. Quando dentro ci sarà il vuoto; quando avrete svuotato il recipiente
mentale dall’ansia, dallo stress, dalle preoccupazioni, dalle distrazioni e dalle
dissipazioni, dovrete riempirvi con qualche contenuto positivo che possa
rimanere con voi per un po’ di tempo. Qui è dove entrano in gioco yama e
niyama. Quando vi focalizzate su uno yama durante lo stato meditativo, la
vostra mente si colorerà con quello yama e, nel corso del tempo, esso diverrà
un’espressione naturale. Diverrà una condizione della mente, non un’imposizione
etica o morale. Lo yoga non parla di etica e di morale; vi porta all’interno
dello stato di percezione, purificazione, esperienza ed espressione nel senso
più positivo.
Il fulcro del raja yoga
è di creare uno stato positivo nella mente. Anche le asana ed i pranayama del
raja yoga servono per rendere più profondo lo stato meditativo, lo stato della
mente unidirezionale. Quando praticate asana, la vostra priorità è di
raggiungere sthirata, stabilità nella
posizione. In hatha yoga sviluppate questo sthirata. Quando giungete al raja
yoga, la stabilità dovrebbe già essere presente. Quindi, quando un raja yogi definisce
un’asana, dice che essa è una posizione in cui si è fermi, stabili e comodi.
Non state cercando stabilità con il raja yoga, questo l’avete già ottenuto con
l’hatha yoga. In raja yoga, semplicemente continuate a mantenere quello stato
di stabilità e comodità per rendere più profonda la vostra esperienza mentale,
non fisica.
Le asana in raja yoga
sono definite come sthiram e sukham. ‘Sthiram’ significa ‘stabile,
fisso’ e ‘sukham’ ‘comodo’. La comodità è un prodotto dello stato di felicità
della mente. Se non siete felici, non potete essere comodi. Non è un semplice
stato fisico; la felicità mentale e la stabilità fisica vanno insieme per
creare l’esperienza della comodità. La mente deve essere sempre positiva per
arrivare a quel livello di comodità. Per questo le asana del raja yoga sono
posizione statiche che aiutano ad interiorizzare la mente.
La stessa cosa vale
anche per il pranayama. L’hatha yoga descrive molti tipi differenti di pranayama,
mentre Patanjali dice: “Inspirare, espirare, trattenere: questo è pranayama”.
Questa descrizione del pranayama è citata spesso dalle persone. Mentre
praticano il pranayama dell’hatha yoga, parlano del concetto del pranayama
secondo il raja yoga. Alcuni insegnanti di yoga spiegano bhastrika o kapalbhati ai
loro studenti e poi dicono: “Il saggio Patanjali dice che pranayama è
inspirazione, espirazione e ritenzione del respiro.” Quelli non sono dei
pranayama del raja yoga, sono dei pranayama praticati per un altro scopo.
Con la pratica di yama,
niyama o delle asana e dei pranayama del raja yoga, ad un certo punto si arriva
a ‘chitta vritti nirodhah’, il
controllo delle modificazioni interiori, uno stadio importante del raja yoga
che deve essere raggiunto: pratyahara.
Pertanto, tenete a mente chitta vritti nirodhah e pratyahara. Queste due sono
le direzioni del raja yoga.
Pratyahara inizia con
la comprensione di “Sto lavorando con la mia mente; sto iniziando a vedere me
stesso. Sto eliminando lo stress da me stesso; sto osservando lo schiamazzo che
giunge alla mia mente sotto forma di pensieri, visioni ed esperienze’.
Pratyahara è la condizione che dovete raggiungere quando praticate raja yoga;
non dharana, dhyana o samadhi.
L’intero argomento del raja yoga verte su pratyahara.
22
Ottobre 2016, Ganga Darshan, Munger, Raja Yoga Training–Mod.1 (Estratto)
Tratto da: http://www.biharyoga.net/bihar-school-of-yoga/feb-2017La Mente
Da:
‘Teachings of Swami Satyananda Saraswati,
vol I’
Cos’è
la mente e come se ne può divenire consapevoli?
Lasciatemi chiamare la
mente ‘consapevolezza’. Per mezzo di questo strumento siamo consapevoli del
tempo, dello spazio e degli oggetti. Questa forma di consapevolezza è un
insieme di vari elementi, compresi i cinque elementi della natura, le cinque
funzioni del prana, i cinque organi di senso e i cinque organi motori. Quando
tutti questi si muovono insieme, la consapevolezza inizia a funzionare. Sia la
moderna psicologia sia la filosofia indiana sono d’accordo su questo punto.
Gli archetipi
profondamente radicati nella coscienza umana, in numero di miliardi, sono
responsabili delle esperienze dell’uomo. Come possiamo entrare in contatto con
questi archetipi ed esporli all’area conscia della mente? La natura,
ovviamente, li ha relegati nella mente subconscia o in fondo a quella conscia,
sviluppando visioni o sogni. Ma se potete stimolare questi livelli della mente
tramite il suono o in altri modi, potrete rendervi conto sempre di più di
questi archetipi. Questo è un argomento importante in yoga, spesso ignorato da
chi lo insegna. La scienza degli archetipi è importante quanto lo studio degli
elementi del corpo fisico. Abbiamo analizzato il corpo ampiamente, in termini
di carne, ossa e sangue, ma se siamo d’accordo che l’uomo è molto più di
questo, dobbiamo investigare ulteriormente.
La malattia è
un’esperienza, che sia a livello fisico o mentale. Un mal di testa, il raffreddore,
la tosse, la tubercolosi, il cancro o qualsiasi altra malattia è semplicemente
un’esperienza. Anche la sclerosi multipla è un’esperienza. Se andate nel vostro
prato ed estirpate ogni filo d’erba, l’erba spunterà nuovamente dopo pochi
giorni perché i semi sono ancora lì. Allo stesso modo, le esperienze nella vita
sono tutte conservate in forma simbolica nella coscienza dell’uomo. E queste
esperienze escono fuori sotto forma di vita, eventi, attività, malattie, sogni,
visioni e, a volte, pazzia.
Se potere riuscire a
trovare un modo per portare questi samskara
o archetipi in superficie, molti problemi, paure e fobie potrebbero essere
sradicati immediatamente. Pratiche specifiche di yoga, soprattutto yoga nidra,
rendono questo possibile.
La
consapevolezza è qualcosa che giunge molto gradualmente, o si sveglia un giorno
all’improvviso?
La consapevolezza può
crescere gradualmente o anche esplodere all’improvviso. Comunque, è meglio se
cresce gradualmente, perché le persone non sempre riescono a fronteggiare
l’esperienza di un’esplosione improvvisa.
Come
funziona la consapevolezza?
Nel tantra e nel vedanta abbiamo quattro strumenti di consapevolezza: manas, pensiero e contro-pensiero; buddhi, le decisioni, la
discriminazione, il discernimento; chitta,
la consapevolezza, i ricordi, le sensazioni; e ahamkara, l’ego o l’io. Queste quattro divisioni appartengono
all’area della mente che è conosciuta. Esse elaborano anche il materiale che
viene fuori dalle aree sottili della mente che sono sconosciute.
Le aree della mente che
si conoscono, noi le chiamiamo manomaya
kosha. Le aree sconosciute costituiscono vijnanamaya kosha, il campo psichico della coscienza, e anandamaya kosha, la coscienza dinamica,
dove tutte le manifestazioni esistono nello stato potenziale. Questa è un’area
sotterranea della coscienza e l’uomo non sarà mai in grado di conoscerla. A
volte, quando entrate in profonda meditazione, passate attraverso anandamaya
kosha, dove c’è omogeneità ma non consapevolezza. Anandamaya kosha può essere
raggiunto (‘toccato’) tramite il laya
yoga.
Manomaya, vijnanamaya e
anandamaya kosha hanno i loro equivalenti nella psicologia occidentale.
Manomaya kosha è equiparato con la mente conscia, vijnanamaya kosha con il
subconscio e anandamaya kosha con l’inconscio.
Tutto
ciò che vediamo e percepiamo è solo una proiezione della nostra mente?
Ognuno vede solo sé
stesso negli altri. Io vedo te come una gran bella persona perché io sono una
bella persona. Tu sei solo un fattore stimolante per l’amore e l’odio che sono
dentro di me. Tutti i comportamenti di un essere umano sono espressioni della
sua personalità. Nelle Upanishad è scritto: “Non per amor della moglie, la
moglie ti è cara; ma per l’amore per te stesso. Non per il bene dell’amico,
l’amico ti è caro; ma per il tuo proprio bene.”
Le Upanishad citano
molti esempi simili che, alla fine, portano alla conclusione che ogni cosa è
centrata sul proprio sé. Anche nel buddismo troviamo la stessa teoria. Tutte le
esperienze e le percezioni si originano all’interno dell’individuo; la
conoscenza raccolta dall’esterno, ha luogo all’interno della mente. Ciò
significa che tutto l’universo che stai conoscendo non è esterno, ma
all’interno di te. Se tutto il tempo e lo spazio possono essere dentro di te,
perché non possono esserlo anche l’amore e l’odio, l’orgoglio ed il
pregiudizio?
Sembra che l’essere
umano stia facendo esperienza di una grande allucinazione. Un mago può lanciare
un incantesimo e tu vedi un bellissimo giardino o una donzella radiosa, poi un
altro incantesimo e sparisce tutto. Cos’è successo? L’hai visto. Da dove è
venuto fuori e dov’è andato? Il mago ha solo rivelato te stesso; la natura sta
esprimendo te stesso; tu stai proiettando te stesso fuori. In ultima analisi,
questa è la verità.
Come
fa la mente a creare la materia?
Per la maggior parte di
noi la mente è il veicolo del pensiero, uno strumento per il processo del
pensiero, ma in yoga la mente è molto più di questo. Quando la mente è in uno
stato di dissipazione, crea problemi ad essa stessa e quando è in uno stato
d’infelicità, crea disastri per se stessa. Ma quando la stessa mente è
addomesticata tramite la pratica di yoga, diventa un solido creatore. Come
quando nel suo stato dissipato crea infelicità e disastri, in questo stato
elevato può creare la materia, può creare oggetti.
In yoga la mente non è
solo uno strumento del pensiero, è coscienza omogenea. Quando la mente è
unificata e portata ad uno stato di concentrazione diventa potente. Quando
prendete della materia e la disintegrate, alla fine si produrrà dell’energia
nucleare. Allo stesso modo, quando la mente è purificata attraverso la
meditazione e quando tutto ciò che rimane è la mente e non i desideri mondani e
le associazioni, allora la mente diverrà shakti
o potere, potenziale. Questo è come la mente diventa creativa.
C’è
un detto: ‘La mente è al di sopra del corpo, i pensieri sono al di sopra della
mente e la shakti è al di sopra dei pensieri.’ Potrebbe spiegarlo?
Questo può essere
espresso in un altro modo: la mente è molto più potente del corpo, i pensieri
sono molto più potenti della mente e la shakti
è molto più potente dei pensieri. Può anche essere espresso come: la mente è
più sottile del corpo, i pensieri sono più sottili della mente e la shakti è
più sottile dei pensieri. Quest’espressione può anche essere invertita: shakti
controlla i pensieri; tramite il controllo dei pensieri la mente è controllata
e, tramite il controllo della mente, il corpo è controllato.
Come
si addestra la mente?
Proprio come si
addestra un bambino piccolo. Non iniziate ad educare un bambino insegnandogli
matematica o geografia. La sua mente deve essere allenata, gradualmente e
sistematicamente. Qualsiasi cosa gli insegnate, è una preparazione per uno
stadio successivo. In questo modo, l’intero programma di yoga è inteso per
allenare la mente in modo molto sistematico e completo.
L’immaginazione è una buona cosa?
Si, credo di si.
Immaginazione e fantasia sono le basi della creatività umana. Le persone che
sono in grado di fantasticare e immaginare si sforzano di perfezionare
quell’immaginazione e diventano creatori, inventori, musicisti ed artisti. Una
persona senza immaginazione, senza kalpana
shakti, è come un animale in forma umana.
Qual è il ruolo dell’intelletto?
Bene, per rispondere a
questa domanda, citerò le parole di Sri Aurobindo:
“L’intelletto un tempo era un facilitatore. Oggi è una barriera.” Ad un livello
dovete accettare ed utilizzare l’intelletto, ma allo stadio finale dovete
trascenderlo per poter sviluppare la consapevolezza spirituale interiore, che
vi porterà agli stadi più elevati di illuminazione.
Cos’è l’intuizione?
L’intuizione è un tipo
di cognizione. È una forma di conoscenza, ma non ha nessuna prova o sorgente.
Quando percepite tramite gli occhi, il naso o le orecchie, è chiamata
conoscenza sensoriale. Quando la percezione ha luogo tramite un processo
logico, è chiamata conoscenza intellettuale. E quando la conoscenza ha luogo
indipendentemente da tutte queste cose, è chiamata conoscenza intuitiva.
L’intuizione si sviluppa tramite il procedimento della meditazione e di altre
pratiche spirituali.
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