Abbiamo praticato diverse
tecniche spirituali per secoli, ma di tanto in tanto gli intellettuali ci hanno
scoraggiato dal farlo. Hanno inventato così tanti racconti inverosimili che,
alla fine, hanno dissipato l’interesse generale.
Recentemente gli scienziati
hanno svolto un lavoro veramente encomiabile e le loro indagini hanno
verificato scientificamente che certe pratiche producono cambiamenti positivi
nel corpo, nella mente, nel sistema nervoso e nel comportamento.
Il cambiamento del
consenso
Circa trent’anni fa, se avessi
detto a qualcuno che soffriva di pressione alta di sedersi e praticare meditazione,
costui mi avrebbe dato del pazzo. Oggi, quegli strumenti di cui tanto si parla,
come i sistemi di misurazione dei parametri psicofisiologici (biofeedback),
hanno chiaramente indicato che, quando la pratica meditativa va molto in
profondità, nel cervello compaiono schemi alfa. Quando nel cervello predominano
gli schemi alfa, il cuore rilascia la pressione e si ha un grande cambiamento
nel consumo di ossigeno all’interno del sistema. Al giorno d’oggi, se dico di
meditare ad una persona che soffre di pressione alta, e il suo medico ne è al
corrente, non farà nessuna obiezione.
Trent’anni fa, se vi avessero
detto di praticare sirshasana, la
posizione sulla testa, molte persone avrebbero detto: “Non farlo, diventerai
pazzo!” C’erano molte polemiche in riguardo alla posizione sulla testa. Chi ha
seguito le ricerche scientifiche, ora ha le idee chiare.
Circa tredici anni fa, un
gruppo di scienziati ha condotto alcune indagini sugli effetti di sirshasana;
in particolare sull’effetto fisiologico di sirshasana. Queste ricerche non
furono condotte da un singolo individuo ma da un gruppo. Avevano circa un
centinaio di praticanti di diverse fasce d’età e l’esperimento andò avanti per
sei mesi. Quali furono i risultati? Gli stessi che si trovano in un libro di yoga, “Hatha Yoga Pradipika”. Gli strumenti scientifici moderni non hanno
glorificato lo yoga, ma hanno fatto un tentativo nel dissipare l’ignoranza
dalle menti di molte persone riguardo allo yoga.
Scoprire la giusta
asana
Se qualcuno soffre di ernia al
disco o di sciatica, io gli insegno solo tre asana (bhujangasana, shalabhasana
e makarasana), qualche pranayama ed un semplice bhastrika. Ci vorrà al massimo una
settimana affinché si riprenda, anche se ne soffriva da anni. Come sono giunto
a questa conclusione? Ve lo racconterò. Per puro caso andai a trovare un avvocato
di Calcutta e costui era molto interessato allo yoga. Quel giorno, a casa sua,
c’erano alcuni americani. Avevano con loro degli strumenti per fare
l’elettroencefalogramma, l’elettrocardiogramma e delle macchine per misurare la
resistenza della pelle: versioni portatili dei modelli da laboratorio.
Si stavano misurando l’un
l’altro, ma non in modo prettamente scientifico. Testarono un uomo per la
tensione muscolare. Si sedette nella stessa posizione in cui ci troviamo adesso
e gli furono connesse le strumentazioni. I muscoli mostrarono un elevato
livello di tensione. Poi gli chiesero di praticare bhujangasana. Appena si
sdraiò in posizione prona, la macchina indicò una caduta di quella tensione.
Quando assunse bhujangasana, tutti i muscoli della sua schiena erano a zero,
completamente rilassati, fino al sistema sacrale. Non c’era nessuna parte in
tensione. Lo stesso risultato si ebbe per shalabhasana e per makarasana. Così
mi venne in mente che quella sequenza era la migliore per l’ernia al disco e
per la sciatica.
Alla ricerca della
kundalini
Gli strumenti scientifici
hanno rivelato le potenzialità delle pratiche yogiche. Ora sono in molti a
parlare di kundalini. Circa dieci anni
fa, un dottore mi chiese: “Ha mai visto la kundalini?”. Io gli chiesi: “E
lei?”. Mi rispose che aveva sezionato interamente un corpo e che non l’aveva
vista. Gli chiesi: “Cosa intende dicendo questo?”. Lui mi rispose che la kundalini shakti non può esistere,
perché nella sua dissezione lui non l’aveva vista. Gli feci solo un’altra
domanda. “Mentre dissezionava il cervello, ha trovato i pensieri?”. Il dottore
non mi rispose.
C’è un dottore in Giappone, un
caro e grande amico, il Dr. Hiroshi Motoyama. È dottore in medicina e ha messo
a punto un apparecchio che può registrare gli impulsi nei chakra. Ha una macchina di grandi dimensioni. Se voi siete alti sei
piedi, egli allunga la macchina a sei piedi. Se siete bassi e giapponesi,
accorcia la macchina. La adatta perfettamente in corrispondenza dei chakra (muladhara, swadhisthana, manipura, anahata),
e li monitora.
Egli chiede alla persona di
praticare bhastrika pranayama, ad esempio, o qualsiasi altra cosa. Mentre il
soggetto esegue bhastrika e pratica jalandhara
bandha, uddiyana bandha, mula bandha, contemporaneamente si può vedere cosa
accade all’interno dei chakra. Certo, non vi è nessun risveglio di kundalini.
Sono i chakra che iniziano ad attivarsi. Dopo che le sue indagini sono divenute
note, molti medici si sono zittiti, perché ora kundalini shakti deve essere
accettata come una forza.
Il sistema di
monitoraggio
Negli ultimi tredici anni, non
trentun anni, sono state condotte più di mille ricerche sulla meditazione da
scienziati di tutto il mondo. Hanno fatto incredibili ricerche sul kundalini
yoga, lo zen e altre forme di meditazione. Abbiamo molti apparecchi che possono
essere usati per spiegare gli effetti delle varie pratiche yogiche sul corpo e
sulla mente.
Alcuni anni fa in India uno swami fermò il proprio cuore e fu messo
sottoterra per sette giorni. Dottori indiani e non indiani, provenienti
dall’estero, vennero ad investigare. Lo dichiararono clinicamente morto, ma
dopo dieci giorni egli uscì fuori. Ora, questo che cosa ci dimostra? Che anche
dopo un arresto cardiaco, se si conosce lo yoga, si può sopravvivere. Il
sistema di monitoraggio cardiaco è nel cervello, non nel cuore. L’infarto
avviene non perché il cuore fallisce, ma perché il sistema di monitoraggio
fallisce nella regolazione e nel coordinamento. Se si conosce come manipolare
questo sistema di monitoraggio, l’arresto cardiaco può essere evitato.