Se il sistema yogico comprendesse solo le asana, molte persone al mondo sarebbero escluse dal praticarlo. Fortunatamente la tradizione originale dello yoga non riguarda solo l’aspetto fisico dello yoga, ma ha un approccio completo ed integrale sulla vita umana, indirizzandosi a tutti i tipi di personalità, usando tutte le branche dello yoga. È grazie a questo che, anche le persone con disabilità fisica, possono trarre beneficio dallo yoga.
Quella che segue è la
storia di una donna che non è diventata solo un’allieva di yoga, ma anche una
praticante sincera ed impegnata, nonostante le sue difficili condizioni. Quando
la incontrai, viveva già lo yoga. In teoria lei non sapeva nulla di yoga, ma
esprimeva un atteggiamento yogico nelle azioni, nel modo di pensare e nel
comportamento, essendo una delle persone più intelligenti, positive ed
ottimiste che io abbia mai incontrato.
Un giorno, un amico mi
chiese di incontrare una donna paralizzata per aiutarla tramite lo yoga. Io gli
chiesi: “Come pensi che io possa aiutare questa signora?”. “Tu sei un
insegnante di yoga. Vai da lei e trova il modo”, mi rispose. Così andai. Lei mi
aspettava, seduta su una sedia a rotelle. Chiacchierammo e lei mi disse che
aveva sessant’anni e che a causa di un incidente automobilistico avvenuto circa
vent’anni prima, le si erano rotte le vertebre cervicali e la colonna, ed era paralizzata
dal collo in giù.
Mi spiegò che ci sono
differenti gradi di paralisi e che con alcuni tipi si è in grado di muovere la
parte alta del corpo, le braccia e le mani. Lei era paralizzata ad un grado
estremo, in quanto poteva fare solo dei piccoli movimenti con la testa.
Necessitava così di assistenza ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni.
Aggiunse anche che da quando il mio amico le aveva detto che lo yoga l’avrebbe
aiutata, non vedeva l’ora di iniziare le nostre lezioni di yoga. Francamente parlando
in quel momento non avevo nessuna idea di cosa fare con lei, ma mi offrii di tornare
a trovarla due volte a settimana.
Yoga nidra: il
primo dono
Per la nostra prima
sessione l’unica cosa che mi venne in mente fu yoga nidra: il corpo deve rimanere immobile, cosa che era proprio
la condizione del suo corpo. Iniziai ad insegnarle yoga nidra. All’inizio
dovetti rallentare il ritmo, perché a lei occorreva più tempo per ruotare la
consapevolezza lungo il corpo rispetto ad una persona sana. Per la prima volta
dopo molti anni divenne consapevole e sentì le parti del suo corpo. Dopo alcune
settimane, potei aumentare la velocità fino a renderla normale e lei fu in
grado di seguirmi con facilità e gradualmente, progredimmo fino a uno yoga
nidra completo, con sankalpa,
visualizzazioni e sensazioni opposte. Poi registrai un CD, in modo che potesse praticare
anche quando io non fossi lì.
Le settimane ed i mesi
passarono e continuavamo ad incontrarci due volte alla settimana e a fare yoga
nidra. Dopo ogni sessione, rimanevo un po’ con lei a chiacchierare. In una di
quelle occasioni, mi disse che era molto grata del fatto che ci fossimo
incontrati perché yoga nidra la stava aiutando considerevolmente. Disse che
alla fine della pratica tutto il dolore che sentiva se ne andava. Questo
accadeva dalla nostra prima sessione, ma lei non voleva credere che fosse
merito di yoga nidra. Però, siccome questo avveniva ogni volta che
c’incontravamo, capì che era proprio yoga nidra la causa di questo stato di assenza
di dolore, che per lei era un sollievo inimmaginabile.
Mi spiegò che questo
dolore è chiamato ‘dolore neuropatico’ ed è un fenomeno ben noto alle persone
paralizzate. Quando le chiesi di descrivermi il grado di questo dolore, mi
disse: “Immagina di farti, deliberatamente, un taglio molto profondo con una
lametta da barba e cerca di sentire quel dolore simultaneamente in migliaia di
punti del tuo corpo.” Aggiunse che la maggior parte delle volte è
insopportabile, al punto che i dottori normalmente la trattano con la morfina,
che riduce il dolore ma ha diversi effetti negativi. Il primo dono per lei fu
yoga nidra che la aiutò a gestire il dolore. Sin da allora, la pratica ancora
oggi quotidianamente.
Il pranayama
“sniffante”
Il secondo grande cambiamento positivo nella
qualità della sua vita avvenne grazie al pranayama. Notai che era distesa a
letto con almeno due coperte, anche in piena estate, perché la temperatura del
suo corpo era più bassa della norma, a causa della mancanza di movimento e di attività
fisica. Una conseguenza di questo era la pressione bassa che, soprattutto al
mattino, le causava vertigini e scomodità generale. Le occorrevano due ore ogni
giorno per uscire da questo stato estremo e per portarsi al suo stato normale.
Decisi così
d’insegnarle alcune tecniche di respirazione di base, iniziando con la semplice
consapevolezza del respiro, la respirazione addominale e la respirazione yogica
completa. Procedevamo lentamente perché per prima cosa doveva sviluppare uno
schema corretto di respirazione, che era abbastanza difficile per lei. Così un
giorno, mentre stavamo praticando la respirazione addominale, le dissi di
velocizzarla via via un po’ di più. Alla fine divenne una sorta di bhastrika, che la divertì molto e chiamò
‘sniffante’. La volta successiva la trovai già seduta sul letto, sorridente.
Quando le chiesi cosa fosse successo, disse che questa tecnica aveva cambiato
la sua vita.
Ora, la prima cosa che
fa al mattino è bhastrika e questo immediatamente le alza la pressione e la temperatura
del corpo, così invece d’impiegare due ore le ci vogliono solo dieci minuti per
normalizzare la sua condizione.
Fui molto felice di
sentire che tutto questo l’aveva aiutata e la prima cosa che mi venne in mente
fu che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la nostra tradizione ed i
nostri guru. Ciò dimostra la forza dello yoga e che anche le pratiche più
semplici possono avere degli effetti profondi e possono portare veramente un
cambiamento positivo nella vita di ogni individuo.
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Swami Bhaktananda, Ungheria