sabato 21 dicembre 2024

Parole di un Paramahamsa

 

Paramahamsa Satyananda

Quando parliamo di abbandonarsi ci riferiamo sempre all’abbandono dell’ego. Questo da un lato. Dall’altro lato è l’abbandonarsi alla volontà divina, alle leggi naturali o agli eventi spontanei della vita: questo è il significato di arrendersi. Ci ho pensato a lungo perché, ovviamente, avevo un Guru che parlava di arrendersi. In tutti i suoi libri ha scritto di arrendersi e di fede, e io non l’ho mai messo in discussione perché dopotutto lui era molto più saggio di me.

Quando avevo circa diciotto o diciannove anni incontrai una donna che era una yogini tantrica. Non sapeva molto di libri ma conosceva le pratiche. Continuamente mi diceva: “Arrenditi”, “Sii come un bambino, un neonato. Sii innocente!”. Io le chiedevo: “Come posso farlo? Sono un ragazzo di diciotto anni e penso molto. Non posso arrendermi! Certo, quello che mi dici lo metterò in pratica, ma non posso fare più di questo”. Lei conosceva le pratiche tantriche e mi insegnò molte cose ed io ne ero felice, ma quando mi diceva le parole “arrenditi” o “sii come un bambino” sentivo che per me non era possibile fare quello che mi diceva. Comunque la cosa durò circa sei mesi.

Poi, quando arrivai da Swami Sivananda, quella domanda si ripropose più e più volte. Chiesi informazioni a parecchi swami che erano lì, ma non riuscirono a convincermi. Ma una volta accadde che un giovane servitore dell’ashram si comportò male con uno swami anziano. Diventai furioso e gli dissi: “Vattene da qui!”. Lasciò l’ashram ma in serata, mentre Swami Sivananda stava andando a fare kirtan, si prostrò davanti a lui e lo salutò. Swami Sivananda gli chiese: “Cosa c’è?”. Gli disse che stava andando via. “Perchè?” chiese Swami Sivananda. Egli rispose: “Swami Satyananda mi ha detto di lasciare l’ashram”.

Quindi, ciò che fece Swami Sivananda fu impiegarlo nel suo kutir! Divenne il servitore personale di Swami Sivananda ed io dovevo andare lì e chiedere il permesso a quell’uomo per entrare. Quando quella sera seppi che era stato destinato lì, smisi di andare al kutir. Non volevo essere insultato da quell’uomo, dover bussare al cancello mentre lui diceva: “Sto arrivando!”. (Perché io sono un grande uomo e dovevo vedere la porta aperta). Quindi dissi: “Meglio non andare affatto!”.

Non andai. Ero solito inviare i miei scritti e qualunque rapporto che ci fosse a Swamiji tramite qualcun altro, e Swamiji sapeva cosa stava succedendo. In qualche modo, dopo circa una settimana ci siamo affrontati, io e Swamiji. Diceva sempre che il mio nome non era Satyananda ma ‘Satya se Satyam, maha Satyam’. Era così che si rivolgeva a me. Diceva Swami Chidananda o Swami Paramananda, ma nel mio caso diceva sempre: ‘Satya se Satyam, maha Satyam’. Disse: “Ho composto una canzone: ti piace?”. Allora la cantò:

Rinuncia al raja, abhiman,

Rinuncia al sesso maschile-femminile, abhiman,

Rinuncia al sannyasi-guru, abhiman,

Vedi Brahman in ogni volto.

Abhiman significa ego. Questa canzone potete trovarla nel ‘Canzoni e Kirtan ispiratori’ di Swamiji, e significa:

Abbandona l’ego di un proprietario di casa.

Abbandona l’ego di un re.

Abbandona l’ego di un sannyasi.

Abbandona l’ego di un uomo retto.

Abbandona l’ego di un uomo virtuoso

e vedrai Dio in ogni volto, e contempla:

‘Io sono umile come un filo d’erba’.

Questo è l’abbandono che bisogna praticare in relazione alla propria vita spirituale.

Tuttavia, qui c’è un problema. Certo, ho ascoltato questa canzone di Swamiji e ho capito che ciò che mi ha detto era giusto, ma in questo mondo complesso se non si ha una propria personalità, se non si ha un proprio ego, si hanno dei problemi. Avrete dei problemi perché verrete sfruttati. Swami Sivananda non ha risposto a questa domanda. Era totalmente di un’opinione che, indipendentemente da chi fosse quell’uomo, anche se è un uomo miserabile, anche se è un assassino, anche se è arrivato per derubarvi, sfruttarvi o farvi del male, dovete arrendervi. Questa era la sua filosofia, e lui l’ha fatto, l’ha praticato per tutta la sua vita!

Alle persone che lo criticavano, lo insultavano o che parlavano male di lui (ovviamente in lui non c’erano tratti negativi, ma c’erano comunque persone che lo criticavano), portava sempre grande rispetto. Anche in ashram c’erano sannyasin che criticavano Swami Sivananda. Quattro o cinque di loro si sedevano e dicevano: “L’inglese di Swami Sivananda è senza speranza. Canta le canzoni così… Ha il viso così...”. E Swami Sivananda era solito mandare loro caffè, tè e anacardi!

Swami Sivananda diceva che quelli che vi fanno tutte queste cose sono mandati da Dio (perché lui credeva in Dio). Quindi, quando le persone mi parlano della questione dell’arrendersi ho due idee a riguardo: una è l’arrendersi di un bhakta, un devoto del calibro di Swami Sivananda o del Cristo o di molti altri santi come Mirabai. Avevano completamente abbandonato l’ego personale e si erano messi nelle mani di Dio. Quindi Dio dovette prendersi cura di loro. Questa è la forma più elevata dell’arrendersi. Mentre fate sadhana e siete collegati con un Guru o con un sistema di pratiche, dovreste praticare e non preoccuparvi delle conseguenze che potreste avere, che arriviate o meno ad un risultato. Questo si chiama arrendersi. Arrendersi significa deporre le armi.

Ho sempre avuto difficoltà in questo, anche a Rishikesh. La sola cosa positiva era che ero così impressionato dalla vita di Swami Sivananda, da ogni sua azione e dal suo comportamento, dai suoi pensieri e dalla sua filosofia, che non avevo nulla contro di lui. Molti discepoli apprezzavano il proprio Guru ma c’erano alcune cose che a loro non piacevano. La maggior parte di voi deve aver sperimentato che ci sono certi punti che non vi piacciono, ma in Swami Sivananda non c’era nulla che non mi piacesse: era tutto così bello! La sua calligrafia era così elegante, il suo modo di parlare così piacevole, il suo viso così bello, così come i suoi modi, le sue abitudini alimentari, il suo sorriso, le sue risposte, il suo comportamento verso le persone e il modo in cui riceveva denaro. Voglio dire che era molto franco. Diceva: “Quanto denaro hai in tasca? Dammelo”. Se lo avessi detto io sarebbe sembrato molto imbarazzante, ma nel suo caso era come se un bambino piccolo chiedesse: “Papà dammi i soldi”. Nessuno poteva mai sentirsi offeso perché la sua voce, il suo atteggiamento, tutti i suoi modi erano come quelli di un bambino piccolo che chiedeva ad un uomo anziano di tirare fuori la penna stilografica: “La devo usare!”. Nessuno l’avrebbe mai potuto fraintendere.

Per quanto riguarda il suo comportamento con gli uomini importanti, Swami Sivananda è stata l’unica persona che ho conosciuto in vita mia e che i più grandi uomini al potere in India, politici, musicisti, danzatori, artisti, pittori erano soliti venire a trovarlo. Lui li onorava molto. Quando se ne andavano dall’ashram erano molto grati a lui e molto felici: musicisti, danzatori, artisti, pittori, narratori, oratori, maghi, arcieri, ginnasti, acrobati e persino un madari che faceva danzare scimmie e cobra. Quando vedeva uno di quelli con un cobra, diceva: “Chiamalo” e gli dava quindici rupie dicendo: “Mostrami la danza del cobra. Vedrò il cobra. Questa è la ghirlanda di Shiva”. Forse il mio costante apprezzamento per Swamiji deve aver funzionato in me come un atto di abbandono.

Sono stato da Ramana Maharshi e da Aurobindo. Sono stato da Ananda Mayi Ma, da Ram Das e da vari santi e mi sono piacciuti tutti, ma c’era qualcosa che non accettavo. Ho trovato qualcosa di molto divertente, qualcosa di molto particolare. Non li critico perché in fondo sono grandi uomini e non ho il diritto di dire nulla contro di loro, ma io ho la mia personalità, se non mi piace qualcosa in te non mi piace, tutto qua. Ho vissuto nell’ashram di Aurobindo e con molti altri sannyasin, mi mandò Swamiji. Mi sono piaciuti, mi è piaciuto Aurobindo, mi piaceva il suo stile, mi piaceva Ananda Mayi Ma, ma non mi piacevano le superstizioni perché sono sempre contrario a queste cose. Nel caso di Swami Sivananda è stato divertente. Swami Sivananda era un tipo di persona molto disciplinata e la sua ishta devata era Krishna, il playboy. Io sono sempre stato un uomo molto libero, eppure la mia ishta devata è Shree Rama, l’uomo disciplinato. Rama simboleggia la disciplina, i principi, il dharma e Krishna rappresenta la gioia, l’allegria, anandam (beatitudine).

Quando lasciai l’ashram nel 1956 mi chiamò e mi diede centotto rupie. Finora ancora non le ho spese. Sono sempre nella mia cassetta dei contanti che ho dato a Swami Niranjan. Gli ho detto: “Non spendere questo denaro! Finché avrai questi, avrai molti zeri a destra. Ho tre cose di valore. Una sono le centotto rupie. Un’altra è il ciuffo di capelli del Santo Kabir. Arriva dalla tradizione di Kabir a cui appartiene la famiglia di Swami Atmananda. Era con lei quando era a Munger e l’ha lasciato qui. La terza cosa è una piccola moneta d’oro. Durante il mio mendicantaggio, quando ero a Benares, sedevo a chiedere l’elemosina per le strade con il mio pezzo di stoffa e qualcuno la buttò là! Dopo di chè smisi di mendicare. Dissi: “Se un uomo mi dà una ghinea d’oro, che bisogno c’è di sedermi qui?”. Ho detto a Swami Niranjan: “Conserva questi oggetti il più a lungo possibile”.

Dopo avermi dato le centotto rupie, Swami Sivananda mi insegnò il Kriya Yoga, lo stesso che io insegno a voi. Per insegnarvelo mi ci vuole circa una settimana, mentre Swamiji me lo diede in tre o quattro minuti. Disse: “Pratica in ujjayi pranayama, mula bandha, uddiyana bandha e viparita karani mudra”, in soli tre minuti. Non menzionò arohan, awarohan; me ne occupai in seguito. Mi disse solo di praticare mula bandha, maha mudra, maha bheda mudra e naumukhi mudra mentre inspiri verso l’alto e mentre espiri verso il basso e di fermarmi in due punti: cioè i due punti terminali, bindu e muladhara. Questo è tutto! Poi, ovviamente, ho consultato alcuni testi per perfezionarlo.

Quindi, se ci penso, io mi sono abbandonato a lui! Nell’episodio di quel giovane servitore non direi di essermi abbandonato a Swamiji, altrimenti avrei detto: “Okay, se Swamiji lo vuole lì che stia lì! Cosa mi importa? Andrò al Kutir, e lascerò che mi insulti!”. Ma non pensai in quel modo. Dissi: “No, non ci andrò!”. Ma, per il resto, penso di essermi abbandonato, perché il concetto di un ashram, la Bihar School of Yoga, non viene dalla mia mente. No, non l’avevo pianificato. Mi venne in mente perché lui mi ha contattato. Non l’ho contattato io, non so nemmeno come farlo. Se dovessi contattarlo non saprei come farlo. Certo, mi piacerebbe contattarlo per ogni problema, ma non so come si fa. Lui contatta me. Questo significa che il suo volere.

Nel giorno in cui lui lasciò il corpo, nel cuore della notte (mi trovavo in ‘Ananda Bhavan’ a Munger), ricevetti un messaggio molto chiaro. Ebbi un risveglio interiore. Quella notte entrai in meditazione e vidi ogni cosa così chiaramente come se stesse accadendo esternamente. Quando uscii da quel risveglio, forse per uno, due o tre minuti non sapevo se il mio stato presente fosse un sogno o se quel risveglio fosse stato un sogno, perché il risveglio interiore fu così chiaro che per qualche minuto pensai che quella fosse realtà e che ora stavo sognando di trovarmi in Ananda Bhavan. Capii la verità qualche tempo dopo.

Nel 1976 acquistai questo terreno da un ex sovrano a un prezzo di centomila rupie: niente! Dopo l’acquisto ho espletato tutti i doveri e fatto ogni cosa in modo appropriato. Tuttavia ci fu un problema. Accadde che, siccome era un sito storico ci furono una serie di problemi nell’Assemblea, nel Parlamento e nel Dipartimento Archeologico, e questo e quello. Io sono una persona a cui non piacciono tutte queste cose. Combattere per la prosperità materiale e per la proprietà è l’ultima cosa che farei! No, se ho rinunciato ai miei genitori, alla mia famiglia, alle proprietà, al mio futuro e ad ogni cosa, perché dovrei combattere per questa proprietà? Accidenti! Dissi a queste persone: “No, lo lascio! Me ne vado! Questo ashram è troppo per me! Non voglio combattere!”. Ma il Parlamento mi rispose: “Portate un’ingiunzione alla Corte Suprema o all’Alta Corte, fermate il Governo...”. Io risposi: “No, non farò niente!”. Ero assolutamente deciso a ritirare lo swami che si stava occupando di questa faccenda.

Quella stessa notte sognai molto chiaramente che vicino alla cucina, dal cancello sul retro, entrava una mucca con una campana e camminava vicino alla casa delle pompe. C’era una specie di serpente, non ricordo esattamente di che tipo, e la mucca lo scacciò via. Il serpente scomparve immediatamente. Il giorno successivo, o forse due giorni dopo, un importante telegramma partì da Delhi diretto al magistrato distrettuale da parte del Primo Ministro. Indira Gandhi non era al potere nel momento in cui io avevo quei problemi, ma entro ventiquattr’ore dal suo ritorno al potere, inviò un telegramma al magistrato distrettuale: “Libera la proprietà”. Lei aveva saputo che ero in difficoltà, ma non poteva fare nulla perché lei stessa era nei guai. Ovviamente, io non le avevo fatto nessuna richiesta. Nel frattempo, il direttore dell’Archeologia di Delhi (che proveniva dallo stesso villaggio di Swami Sivananda) sgomberò la proprietà. La moglie del direttore archeologico del Bihar era una studiosa di sanscrito e mi conosceva molto bene. Lei disse al marito: “Giusto o sbagliato, sgombera!”. Nel giro di non più di settantadue ore tutto andò a posto.

Quindi, vedete, questo non può accadere a meno che un potere superiore, il potere del Guru, non mi renda medium. Io sono il medium, il canale, e non sono potuto diventare canale finché non mi sono arreso completamente. L’elettricità non può passare attraverso il legno perché non è un buon conduttore. Può passare solo attraverso conduttori in filo di rame o alluminio. Perciò, per poter essere un conduttore di elettricità occorre essere un buon conduttore non uno cattivo. Se un discepolo, un devoto non si è arreso non può essere un buon conduttore. Se è un buon conduttore è la prova che si è arreso. Quindi, ritengo che, sebbene ho fallito molte volte nell’arrendermi, ho capito che l’ho fatto! Si, mi sono arreso.

Anche l’andare all’estero: non avevo mai pensato di andare fuori dall’India nel 1968! È stata un’idea che mi è stata data. Non mi lascio mai confondere dai problemi perché penso: “Perchè dovrei preoccuparmi?”. Ma a volte i pensieri arrivano alla mia mente: “Cosa dovrei fare?”. E non trovo una risposta. Non voglio trovare una risposta mentalmente o intellettualmente: lascio andare! Dico: “Se devo avere una risposta, arriverà, non me ne preoccupo!”. Le risposte arrivano molto chiaramente, non spesso, non tutti i giorni e nemmeno ogni anno, ma una volta ogni due o tre anni. Allora sento chiaramente la voce di Swamiji, a volte in inglese, a volte in hindi, a volte in tamil: le tre lingue in cui ero solito conversare con Swamiji.

È molto difficile per me spiegare esattamente cosa dovrebbe essere l’abbandono perché sono sempre stato un individuo molto difficile, anche in ashram. Ci fu un altro incidente molto brutto che posso raccontarvi. Erano circa le dieci del mattino. La regola in ashram era che prima il cibo veniva raccolto in un portavivande. Uno swami lo portava al Vishwanath Mandir (tempio). Il cibo veniva prima offerto lì alla divinità poi avveniva la puja, bhog (offerta), come viene chiamata. Poi vi si ponevano le foglie di tulsi e vi si spruzzava Ganga jal (acqua del Gange) prima di portarlo in cucina dove veniva unito al resto del cibo. Solo allora veniva suonata la campana. Questa era la tradizione, la regola, la disciplina dell’ashram.

Un giorno arrivò in ashram un professore, Ganga Sharan Sheel, che piaceva molto a Swamiji perché durante i giorni del suo mendicandaggio l’aveva accompagnato cantando kirtan e bhajan. Mi disse: “Swami Satyananda, dagli del cibo”. Io risposi: “Swamiji, la puja non è finita!”. Egli mi rispose: “Anche lui è Dio, servi prima lui!”. Replicai: “Ma allora perché hai messo questa regola? Se lui è Dio, allora anch’io sono Dio e chiunque assuma cibo alle dieci del mattino è Dio! Perché hai messo la regola secondo cui prima il cibo deve essere offerto al Signore Vishwanath, santificato e riportato in cucina prima che qualcuno venga servito? Dov’è la regola oggi?”. Presi il mazzo di chiavi e continuai: “Occupati tu della cucina!”. Swamiji era a circa dieci o quindici metri da me e io gli lanciai il mazzo di chiavi dicendo: “Occupati tu della cucina!”.

Immediatamente andai nella mia stanza e mi chiusi dentro per tre o quattro giorni. Non aprii mai. Ero così arrabbiato, così soffocato, così frustrato. Non sapevo cosa fare! Era il mio Guru! Non potevo picchiarlo! Non potevo maltrattarlo né lamentarmi con nessuno! E non potevo nemmeno inchinarmi e fare pace con lui. Vedete, a volte diventa molto difficile fare pace anche se lo volete. Essendo un uomo egoista, non uscii per tre, quattro o cinque giorni. Poi, finalmente, il mio corpo cedette. Scesi in cucina e presi un po’ di cibo! Tutti gli swami erano silenziosi e non mi disturbarono. Quando stavo tornando indietro lo incontrai lungo il percorso. Mi disse: “Om Namo Narayanaya. Come stai?”. Risposi: “Sto bene”. “Vuoi una tazza di caffè?”, mi disse. “Si” risposi. Pensai che alla fine quello poteva essere un punto di riconciliazione: Swami Sivananda non prendeva mai caffè. Mai! Ma era solito avere del caffè, in particolare per me. Ogni volta che andavo da lui per qualche lavoro mi preparava il caffè. Quindi presi il caffè. Non parlò mai di quest’incidente con nessuno, nè mi ammonì con moralismi tipo: ‘Guarda qui, Dio in ogni volto!’. Sapeva che soffrivo di una malattia chiamata EGO e che sarebbe stato molto difficile per lui fare un’egodectomia su di me. Così pensò: “È meglio tacere”.

Certamente, nell’ashram di Swamiji c’erano discepoli come Swami Chidanandji. Qualunque cosa Swami Sivananda diceva, lui lo faceva, qualunque! Nessuna domanda! Ma questi non sono diventati i medium. Vedete il punto? Io sono diventato un buon conduttore! Quindi è molto difficile definire cosa sia l’abbandono e cosa sia l’involucro dell’ego: cos’è l’ego? Significa forse che se ho una personalità, delle opinioni, dei principi e sono arrogante, non sono un discepolo? Anch’io sono un discepolo perché ho accettato Swami Sivananda come mio Guru, al cento per cento, forse anche al centodieci per cento, non al novantanove virgola nove, nove, nove per cento! No, al cento per cento! Non c’è dubbio! Anche se ha impiegato quel ragazzo nel suo kutir, sapendo molto bene che io l’avevo mandato via e che per me sarebbe stato un grande insulto, lui è il mio Guru e lo ha fatto con uno scopo, al fine di fare un’operazione di egodectomia su di me. Non lo ha fatto con una motivazione cattiva, ma con una buona motivazione. Un sadhak o aspirante deve essere molto umile. Non dovrebbe essere offensivo. Non dovrebbe essere amareggiato e non dovrebbe essere vendicativo. Lo sapevo, intellettualmente capivo tutto, ma ancora non riuscivo ad accettarlo!

Questo è stato, tra tutti, l’insegnamento centrale. Cristo, Maometto, Swami Sivananda e tutte le scritture indiane parlano di abbandonarsi: atma samarpan o sharanagati. A questo punto sorgono molte domande. Se vi abbandonate al vostro guru e lui vi chiede di uccidere qualcuno, lo fate? Se vi chiedessi di fare un pessimo lavoro per me, di prendere un po' di eroina e consegnarla a qualcuno a Londra, lo fate? Quando dovete applicare l’abbandono e quando mantenete la vostra personalità? Dovete tracciare una linea di demarcazione da qualche parte.

A volte il guru può chiedere delle cose. C’è la storia di uno dei maggiori eroi in India, un giovane proveniente dal Maharashtra, vicino a Goa e Konkan. Il suo nome era Shivaji. Un giorno il suo guru, Ramdas, lo chiamò e gli disse: “Il mio stomaco è dolorante! Portami del latte di tigre!”. Il latte di una tigre! Non si riesce a prendere nemmeno il latte di asina senza ricevere un calcio! Ma lui accettò e andò. Naturalmente, poiché aveva una grande fede e convinzione nel suo guru, sviluppò il potere di ipnotizzare la tigre, mungerla e portare il latte al suo guru. Questo è considerato essere il potere dell’abbandono, della fede.

Anche nella Bibbia, nella vita del Cristo, se ne trova traccia. Conoscete il termine “Tommaso il dubbioso”. Quando Cristo venne da lui dopo la resurrezione, Tommaso si rifiutò di credere che fosse veramente il suo Maestro. In un’altra occasione, quando un gruppo di discepoli del Cristo iniziarono a camminare sulle acque, non appena iniziarono a dubitare cominciarono ad affondare. Quindi, se si hanno dei dubbi, il potere della mente viene meno. Alcuni discepoli del Cristo avevano una forte fede in lui, altri dubitavano. Per poter superare questi dubbi dovete essere un discepolo con una fede assoluta, incorruttibile e incontestabile!

Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1993/9311/9311say.html