Swami Gaurishankara Saraswati
operatore linotipista della B.S.Y.
Sin dall’inizio dei tempi l’uomo ha sempre contemplato i fiori. Tracce
di questo si ritrovano nelle poesie di tutti i tempi. Tutti noi sappiamo quanto
siano belli i fiori e a tutti piace guardarli ma avete mai pensato che
potrebbero esserci delle ragioni più sottili dietro a tutto questo, che vanno
oltre al fatto che con essi appaghiamo la vista e l’olfatto? Dopotutto esistono
molti fiori di plastica che sembrano veri, però piacciono a poche persone. Se
vogliamo rallegrare o aggiungere vita a una stanza di solito mettiamo dei fiori
veri. La maggior parte dei biglietti di auguri hanno dei fiori disegnati. Molti
tessuti, carte da parati e da regalo hanno motivi floreali.
I fiori rappresentano la vita e l’amore. Quando andiamo a fare visita
a un amico malato, di solito, portiamo dei fiori. Fino a non molto tempo fa, un
innamorato portava sempre dei fiori alla sua amata.
Quando si va dal guru è usanza portargli qualcosa. Ci sono cinque tipi
di doni tradizionalmente accettati: fiori, foglie speciali, acqua, frutta e oro
(non denaro). I fiori, comunque, rappresentano l’offerta più comune.
Nel tantra yoga si fa largo uso di fiori. Nel kundalini yoga si passa attraverso a dei fiori: ogni chakra del corpo è rappresentato da un
fior di loto. Per la meditazione molte persone scelgono un fiore come personale
simbolo di visualizzazione. Nei templi dedicati a Shiva, a Krishna e a Rama
sono sempre usati dei fiori per compiere le adorazioni. Nei vari dipinti queste
divinità sono raffigurate con delle ghirlande di fiori, o seduti su un fiore o
con un fiore in mano. Nelle cerimonie religiose, nei matrimoni e nei funerali,
i fiori non mancano mai.
Da un’analisi sui rimedi dei fiori di Bach possiamo ottenere una
conoscenza approfondita circa i poteri contenuti nei fiori. Poi, magari,
potremmo arrivare a vedere un fiore come un mandala vivente.
Tramite l’intuizione, la fede e l’unidirezionalità, il dottor Edward
Bach scoprì e rivelò al mondo il sistema di cura naturale dei rimedi floreali.
Donò liberamente la sua conoscenza. Fama e reputazione non fecero alcuna presa
su di lui perché il suo unico desiderio era di ridare salute agli ammalati. Sin
dall’infanzia Edward Bach aveva l’idea di trovare un modo semplice per guarire
le malattie persistenti e da adulto questo divenne la forza che motivò il
lavoro di tutta la sua vita.
Negli anni durante i quali lavorò come patologo, batteriologo e
omeopata il suo unico scopo era di trovare dei rimedi puri e una forma semplice
di trattamento da usare in sostituzione ai metodi scientifici e complicati che
non danno la certezza di una cura. L’intensità dello scopo combinato all’interesse
per tutte le cose diede forma a un carattere da grande genio destinato, però, a
rimanere solo. Pochi riescono a seguire o comprendere la determinazione di una
persona che conosce lo scopo della propria vita sin dall’inizio e che non
lascia che nulla interferisca con tale scopo.
Come studente di medicina, Edward Bach passava poco tempo sui libri.
Per lui il vero studio delle malattie consisteva nell’osservazione di ogni singolo
paziente. Osservò come ognuno è influenzato dalla propria malattia e vide come
le loro differenti reazioni ne influenzavano il decorso, la gravità e la
durata.
Come medico praticante in Bach cresceva sempre più l’insoddisfazione
dei risultati ottenibili con i trattamenti ortodossi. Infatti, anche se molti
dei suoi pazienti miglioravano e molti apparentemente guarivano, la salute di
tutti, però, non sempre persisteva a lungo. C’erano molti casi cronici e di
lunga degenza che non ricevevano alcun beneficio da nessuno dei vari tipi di
trattamento. Gli sembrava che la medicina moderna stesse fallendo in molti casi
e che le operazioni chirurgiche raramente riuscivano a dare sollievo alle
sofferenze e che davano un piccolo e temporaneo conforto.
A causa dell’insoddisfazione per la medicina ortodossa Bach iniziò a
occuparsi di batteriologia. Dopo mesi di investigazioni e ricerche si convinse
che il vaccino per i batteri intestinali, iniettato nel flusso sanguigno del
paziente, sarebbe potuto servire per ripulire il sistema dai veleni che causano
la malattia cronica. I risultati che ottenne con il suo uso furono oltre ogni
aspettativa ma egli non si sentiva ancora soddisfatto a causa del dolore
arrecato ai pazienti per l’uso degli aghi delle siringhe. Il suo lavoro sulla
tossiemia intestinale è ben noto. I risultati delle sue scoperte furono
pubblicate nelle riviste mediche e il suo metodo adottato da tutta la classe
medica.
Attraverso l’osservazione capì che lo stesso trattamento non cura lo
stesso disturbo in tutti i pazienti. Questo gli fece sorgere l’idea di ricercare
dei rimedi adatti a delle malattie particolari. Pazienti con personalità o
temperamento simili spesso rispondevano allo stesso rimedio, mentre quelli di
tipologia differente, con lo stesso problema, avevano bisogno di un altro
trattamento. Presto nelle sue ricerche scoprì che la personalità è molto più
importante del corpo fisico nel trattamento delle malattie. Il modo d’intendere
la vita da parte del paziente, le sue emozioni e i suoi sentimenti erano per
lui i fattori principali nella decisione del trattamento. Vide che il processo
di guarigione spesso era doloroso, alcune volte più doloroso della malattia
stessa e ciò rafforzò la sua convinzione che la vera guarigione dovrebbe essere
dolce, indolore e benigna.
Nel corso di tutta la sua vita le sue teorie hanno avuto scarsa
utilità fino a che non è riuscito a provarle. Per Bach l’esperienza pratica e
l’osservazione erano l’unica via d’insegnamento. La sua conoscenza e
comprensione derivavano dall’intuizione e dalla sua esperienza personale; i
risultati del suo lavoro furono tutti pratici. Al termine della sua vita lasciò
tutto il suo lavoro in un piccolo libro di trenta pagine, ‘I dodici guaritori e
altri rimedi’, scritto in modo chiaro e semplice in modo che fosse comprensibile
per tutti.
Anche la sua salute non era buona ma il dottor Bach lavorava,
comunque, instancabilmente. Non poteva arrendersi alle proprie disabilità
mentre c’era tanto da fare e tanti necessitavano d’aiuto. Così arrivò ad
ammalarsi in maniera critica e gli fu detto che gli restavano solo tre mesi di
vita. Con la determinazione di portare a termine il proprio lavoro, ritornò in
laboratorio non appena fu in grado di camminare. S’immerse talmente in maniera
totale nel lavoro che i mesi volarono. Dimentico dei suoi malanni, Bach si
scoprì più forte. I tre mesi erano passati da un po’ quando si accorse che la
sua salute era migliore di quanto non fosse stata negli ultimi anni. Per coloro
che lo videro durante il periodo peggiore della sua malattia, il suo recupero
sembrò un miracolo stupefacente. Bach indagò la ragione del suo meraviglioso
recupero e arrivò alla conclusione che un interesse coinvolgente, un grande
amore, uno scopo definitivo nella vita sono fattori decisivi per la felicità
dell’uomo sulla terra. Questi furono per lui degli incentivi che gli fecero
affrontare le difficoltà e lo aiutarono a tornare in salute.
Come patologo e batteriologo dell’Ospedale Omeopatico di Londra, Bach
procedeva alla preparazione dei vaccini dagli organismi intestinali secondo il
metodo omeopatico e li somministrava ai pazienti per via orale. Tali vaccini
per via orale, chiamati ‘I sette nosodi di Bach’, ricevettero un benvenuto
entusiastico dalla classe medica e furono ampiamente utilizzati in Inghilterra,
America, Germania e in altri Stati da medici allopatici e omeopati. La fama di
Bach cresceva sempre più portandogli molto lavoro a cui, ormai, non riusciva
più a far fronte ma lui mantenne la stessa stanzetta dove riceveva i poveri
senza farsi pagare.
Nonostante il successo dei nosodi, Bach era insoddisfatto dalla
tipologia dei rimedi usati. Voleva trovare dei rimedi puri, derivanti da piante
ed erbe. In questo nuovo lavoro l’intuizione lo guidò alle vere scoperte
tramite l’intelletto e la scienza. Era guidato dalla stessa conoscenza
interiore che ispira i musicisti nel suonare melodie e i poeti a comporre
versi.
Una sera, durante un grande ricevimento svogliatamente guardò le
persone intorno a lui. Immediatamente realizzò che l’umanità intera consiste in
un numero definito di gruppi di tipologie e che ogni individuo appartiene ad
una di esse. Guardò le persone accanto a lui, osservò come mangiavano,
sorridevano e si muovevano. Studiò le loro espressioni facciali e ascoltò il
tono delle loro voci. Li raggruppò in categorie e li comparò con i vari gruppi
di batteri. Ogni paziente che andava da lui da quel momento in poi fu
attentamente osservato: ogni caratteristica, umore, reazione alla malattia e
ogni piccola abitudine fu annotata. Sulla base di queste indicazioni
prescriveva loro i rimedi che aveva.
Ogni momento libero che aveva dallo svolgimento della professione
medica e dal laboratorio lo trascorreva nei campi alla ricerca di piante ed
erbe che sperava di poter usare al posto dei vari nosodi batterici. Obbedendo a
un improvviso impulso di andare in Galles, venne gratificato nel trovare due
bellissime piante: il tenue Impatients color malva e il dorato Mimulus. Li
portò con sé a Londra e li preparò nella maniera omeopatica. Li prescrisse in
accordo alla personalità del paziente e con sua grande gioia ebbe subito degli
ottimi risultati. In seguito trovò Clematis e con soli questi tre rimedi
abbandonò tutte le altre forme di trattamento.
Così grande era l’urgenza di Bach per la ricerca dei rimedi floreali
che non si riposava un istante e non portava avanti il suo lavoro sui nosodi.
Alla fine decise di abbandonare tutto ciò che possedeva a Londra e lasciò il
lavoro sui nosodi nelle mani dei dottori che lo avevano assistito. Chiuse il
laboratorio, bruciò tutte le dispense e i fogli che aveva scritto sul lavoro
precedente e distrusse tutte le siringhe e i flaconi di vaccini. All’età di
quarantatré anni diede il via alla sua grande avventura senza nessun rimpianto
per la salute e la fama perse. Era sicuro che i rimedi che aveva selezionato
fossero perfettamente preparati dalla natura stessa e stessero aspettando solo
di essere scoperti. Scoprì anche di possedere il dono divino della guarigione
con le proprie mani.
Edward Bach ritenne sempre che la capacità di guarire non dovesse
essere vista come una professione ma come un’arte divina. Da quando lasciò
Londra alla fine della propria vita non ricevette nessun compenso per i
consigli e gli aiuti che diede. Negli anni di ricerca che seguirono, soffrì di
gravi disagi fisici e di privazioni per la mancanza di denaro, ma questo lo
condizionò molto poco e non interferì affatto con il suo lavoro. Aveva sempre
tutto ciò di cui aveva bisogno e anche qualcosa da poter condividere con chi
era più bisognoso di lui. Ciò fu per lui la conferma che era nella direzione
giusta e che tutto quello che doveva fare era di andare avanti con fiducia
completa nella fonte divina.
Divenne consapevole che tutti i suoi organi di senso stavano
diventando sempre più acuti e sviluppati. Scoprì di essere capace di percepire,
sentire e vedere cose di cui prima non era assolutamente consapevole. Grazie
allo sviluppo sottile del senso del tatto fu in grado di sentire le vibrazioni
e il potere emesso da ogni pianta e volle testarle. Se prendeva in mano la
parte di una pianta o se la portava alla lingua poteva sentirne gli effetti e
le proprietà nel suo corpo. A volte ebbe effetti rafforzanti e rivitalizzanti
nella mente e nel corpo. Altri gli procuravano dolori, vomito, febbre, eruzioni
cutanee, ecc.
L’ultimo anno della sua vita lo trascorse camminando per centinaia di
miglia, esaminando e annotando tutte le caratteristiche di moltissime varietà
di piante. Giunse alla conclusione che le piante da lui studiate potevano
fiorire quando le giornate si allungavano e il sole era forte. Per le proprietà
medicinali complete aveva necessità di usare solo la corolla del fiore in
quanto la vita della pianta e il suo seme potenziale erano concentrate nel
fiore.
Tratto da: Yoga Magazine