sabato 11 giugno 2016

Satsang a Ganga Darshan

Swami Niranjanananda Saraswati
Potrebbe spiegare le parole di Sri Swamiji: “Quando la madre si ritira, il guru arriva”?
Durante la Sat Chandi Maha Yajna del 2003, Sri Swamiji disse che quando arriva la madre cosmica, il ruolo del guru è terminato. Quando la madre se ne va, il ruolo del guru riprende. Questo è molto logico. Lo scopo di un guru è di portare il discepolo di fronte alla divinità, o alla natura trascendente, o a Dio, o al Sé supremo.

Il guru non dovrebbe essere visto come una persona con un corpo fisico, ma come il rappresentante della qualità e dell’energia che ispira e motiva ognuno di noi nell’arrivare ad avere una visione della natura trascendentale che è contenuta all’interno di noi e di cui facciamo parte. La confusione si ha quando ci identifichiamo con il guru a livello fisico. Ci chiediamo, allora, perché il maestro con il quale ci siamo identificati è fisicamente assente durante un evento. Ma questa, è una nostra incomprensione perché il guru non è il corpo fisico.

Dopotutto, quando Sri Swamiji stesso si presentò nell’ashram del suo guru Swami Sivananda a Rishikesh, era una persona ordinaria ma con la grazia del guru insieme alla convinzione, dedizione ed abbandono da parte sua, divenne luminoso. Il guru tattwa si manifestò in lui. Quindi, vi connettete con lui per il corpo fisico, oppure per quella shakti, il guru tattwa, che è in lui? Se vi connettete per il corpo, perderete tutti i segreti della vita spirituale. Ma se vi connettete per l’essenza che egli rappresenta, non farà differenza che sia lì fisicamente oppure no. Per un aspirante spirituale, per una persona che è sincera nel seguire il percorso spirituale, è necessario identificarsi anche con la qualità, la natura del guru che ispira, motiva e guida tutti noi.

Il guru tattwa, la guru shakti, è responsabile dell’elevazione della mente umana dal piano materiale di base ai piani spirituali e trascendentali più elevati. Questo è il ruolo del guru. Il ruolo del guru non è sedere davanti a voi fisicamente, benedirvi e darvi la grazia. Questo è il compito dei pontefici non dei guru. I guru sono scintille. Swami Sivananda creò una scintilla in Sri Swamiji, la materia era buona e prese fuoco. Il guru crea delle scintille all’interno di noi, ma la materia non è buona e noi non prendiamo fuoco. Qualche volta la nostra materia è molto bagnata a causa delle frustrazioni, delle tensioni e dell’ansia, quindi c’è molto fumo e niente fuoco. Qualche volta siamo fatti di una materia che non prende fuoco, come un sasso. Qualche volta siamo di materia che può prendere fuoco e bruciamo.

Secondo un detto: se Dio e il guru sono entrambi in piedi davanti a voi, a chi si deve rendere omaggio per primo? La risposta è al guru, perché è tramite lui che avete raggiunto Dio. Dio è il secondo, non il primo. Dobbiamo capire cosa sta facendo Sri Swamiji secondo questo spirito. Sta elevando il livello della nostra consapevolezza, della nostra coscienza, facendoci vivere lo yoga, non praticare yoga.

Ci sono due tradizioni: una è praticare yoga, l’altra è vivere lo yoga. Entrambe sono molto forti. Il saggio Patanjali è ritenuto il codificatore dello yoga. Descrive il processo dello yoga come l’essere preparati a ricevere la coscienza più elevata. Ma dopo che vi sarete preparati per ricevere quell’energia, quella grazia elevata, arriva lo yoga di Swami Sivananda che consiste nel fare esperienza e nel manifestare quella qualità, quella grazia, quell’abilità, creatività e chiarezza cha avete sviluppato con la pratica di yoga. Il saggio Patanjali tratta degli otto stadi dello yoga come pratica. In seguito, anche Swami Shivananda parla dell’ottuplice sentiero dello yoga, ma come il vivere l’esperienza dello yoga. Quando vivremo l’esperienza dello yoga, la nostra consapevolezza si eleverà.

Prendiamo come esempio la radio. Appena l’accendete, sentite molti rumori elettrici e incomprensibili, ma spostando il sintonizzatore verso una stazione specifica i rumori diminuiranno sempre di più. Qualche volta, quando andate vicino ad una stazione, c’è un suono acuto, come se tutti i suoni si fossero fusi e divenuti un unico suono ad alta frequenza. La frequenza sarà sempre più alta fino a divenire impercettibile, allora sarete arrivati alla stazione e potrete ascoltare la musica.

Questo è il processo dello yoga. Quando accendete la radio e sentite tutti i rumori elettrici ed incomprensibili, quella è la vita normale. Le chitta vritti sono attive. Non c’è sintonia, focalizzazione, chiarezza: è lo stato in cui siamo adesso. Ma poi iniziate a muovere la manopola della radio per sintonizzarla. Lo scopo della sintonizzazione è di abbassare le frequenze in modo che le parole, i suoni, la musica possano essere uditi chiaramente. Questo è l’eliminazione, la rimozione e la focalizzazione. Entrambe avvengono nello stesso momento. Con la pratica di yoga vi muovete attraverso gli stati di pratyahara e di dharana e, gradualmente, riducete i suoni elettrici ed incomprensibili. Poi tutti si fonderanno in un unico suono e sentirete come un fischio ad alta frequenza. Questa è la meditazione, dhyana, dove tutto è fuso ed emerge in un suono a frequenza elevata. Quando la frequenza sarà sempre più elevata fino a diventare impercettibile, lo stato di dhyana si convertirà in samadhi. Fino a questo punto c’è lo sforzo umano. Passato questo punto trovate la stazione e potete iniziare ad ascoltare la musica. Questo è vivere l’esperienza, perché qui non c’è focalizzazione, concentrazione, meditazione, ma state ascoltando l’intero spettro dei suoni, della musica, delle parole, in armonia. Questo è vivere lo yoga.

Questo è il movimento dello yoga. Ad ogni stadio, man mano che evolviamo, progrediamo sempre più. La mente, le sensazioni, le emozioni e i sentimenti si raffinano sempre più diventando più nitidi e creativi. Con questo raffinamento sorge una nuova percezione. Si fa esperienza di una nuova comprensione, di una nuova visione e di un nuovo stato della mente. Questo stato della mente è noto come saumyata, la mente serena. Non c’è un termine inglese che possa tradurre saumyata. Quello che più si avvicina è serenità, o saggezza equilibrata, stitha prajna, di cui Krishna parla nella Bhagavad Gita. È in questo stato di saggezza equilibrata, saumyata o stitha prajna, che ci si connette con le realtà più elevate.

Così come in samadhi ci si connette con le realtà più elevate, allo stesso modo con il risveglio, la trasformazione e la purificazione della mente, si ha la consapevolezza e l’esperienza di quel Sé supremo. Quest’esperienza del Sé supremo va mantenuta. L’esperienza del Sé supremo si estende a tutti gli aspetti della vita, ai karma, alle azioni, al comportamento e all’atteggiamento. Crea un campo energetico intorno ad una persona, ad un luogo e quando si entra in quel campo ci si sente toccati, ci si sente differenti e allo stesso tempo felici, in pace e tranquilli. L’esperienza intellettuale che si fa tramite buddhi, di fronte ad un maestro, esperienza di pace, serenità, controllo, equilibrio ed armonia è solo la comprensione esterna di un processo sottile che interessa la consapevolezza e la psiche a livelli profondi. Questo processo sottile deve essere sviluppato per diventare il recipiente dell’energia cosmica e fare così esperienza della natura trascendentale interiore.

Il ruolo del guru è di portarvi a quel livello. Una volta che ci sarà la connessione con il Sé supremo, la funzione, il ruolo del guru sarà terminato. Poi dovrete diventare quella luce. Dovrete fare esperienza di quella natura elevata. In seguito, quando tornerete di nuovo al piano materiale a causa della mente e delle limitazioni del sé, il guru tornerà e vi dirà: “Ok, ora dovrai fare questo, quello e quest’altro per superare le tue limitazioni e prendere il volo.” Quindi, quello che Sri Swamiji ha detto durante la yajna è la verità. Chi ha orecchi per intendere ascolti e chi ha occhi per vedere guardi.
3 Dicembre 2003

Swamiji, tu sei il mio guru. Sebbene questa è solo la seconda volta che ti vedo, sento una profonda attrazione ed è come se t’avessi conosciuto già in passato. Come può succedere questo?
La vita è un gioco di emozioni, di affetti e noi siamo legati gli uni agli altri grazie a queste emozioni ed affetti. Alcuni esprimono delle qualità più di altri e possono collegarsi con qualcuno a livello emozionale e trovare il supporto che li nutre e li sostiene emotivamente.

Sono i vostri sentimenti, sensazioni ed emozioni che creano il legame tra voi e me. La stessa cosa, naturalmente, accade anche al contrario. La prima volta che mi vedete potrei non piacervi affatto. Ci sarebbe una reazione differente. Allora, potrebbe sorgere la domanda: “Perché ti odio a prima vista? Siamo stati nemici in passato?” Queste domande non hanno nessuna rilevanza, perché tra noi vi è una relazione attraverso le emozioni e gli affetti. Se si rimuovessero l’emozione e l’affetto non ci sarebbe nessun collegamento tra voi e me, o tra chiunque altro. Se avete un’emozione positiva, coltivatela.
C’è un’applicazione positiva e una negativa, dannosa, dei sentimenti, delle emozioni e delle forze che tutti noi abbiamo. Dobbiamo coltivare ciò che è positivo ed elevante. Invece di rimuginare su ciò che è restrittivo, negativo e cattivo, coltivate quello che è positivo, buono e cercate di pensare di più a queste cose. Perché pensare a fare del bene, a sentirsi bene e a fare esperienza del bene?

La bontà deve essere compresa in modo pratico. È nella natura umana essere cattivi, non buoni. Ogni attore vi dirà che è molto facile interpretare un criminale. Interpretare il ruolo di un buono non viene spontaneo, occorre prepararsi. Diventare buoni ed essere buoni può creare molte difficoltà pratiche e, quindi, bisogna essere molto attenti ed imparare a gestire la bontà.

La bontà può essere gestita solo se la struttura della mente è stata sviluppata nella misura in cui risulta allineata con le qualità positive e creative. Ciò si ha con la pratica di yama e niyama. Praticando yama e niyama, impariamo come comprendere, applicare e fare esperienza della bontà nella nostra vita.

Applicare e fare esperienza della bontà nella nostra vita è noto come tapasya. Tapasya non è l’austerità o l’autopunizione. Tapasya è la trasformazione del sé interiore per fare esperienza e vivere la qualità della bontà. Quando saremo in grado di esprimere creativamente questa bontà interiormente, avremo una connessione con chiunque ci circonda, che sarà di supporto e ci eleverà interiormente. Se questa connessione non c’è, niente attrarrà la nostra attenzione. Le nostre motivazioni ed ispirazioni saranno dissipate e perderemo interesse.

Quindi, la domanda non riguarda voi o me. Riguarda come poter sviluppare e mantenere quella buona sensazione ed energia che lega fortemente guru e discepolo, e che può agire anche come trampolino di lancio per scoprire dimensioni nuove e più elevate nella vita. Questo è sambandh, la connessione, l’interazione armonica.
3 Dicembre 2003

Quando un discepolo fallisce un obiettivo e chiede al guru cosa fare e il guru dice che la decisione è la sua, cosa dovrebbe fare, visto che si sente troppo perplesso e confuso per prendere una qualsiasi decisione?
La faccenda è molto semplice ma la risposta non lo è. Quando le persone domandano qualcosa al guru, chiedono come poter fare questo o quello. Fino ad un certo punto va bene, ma arriva un momento in cui i propri sadhana e pratiche dovrebbero portare ad una fase in cui s’inizia a manifestare la propria saggezza, discriminazione, viveka e vairagya. Quando la discriminazione e la saggezza diverranno fulgidi, troverete le soluzioni ad ogni problema. Il problema è che gli esseri umani pensano solo con una parte della mente che confronta ed analizza sempre le situazioni, i bisogni e le interazioni con l’idea o il pensiero sottile di ‘cosa ottengo in questo modo?

La nostra natura, la nostra personalità, è oggetto di piaceri e dispiaceri. Le cose che piacciono ci danno l’esperienza di felicità, piacere, gioia, soddisfazione ed appagamento. Ciò che non piace è doloroso. Verso ciò che non piace c’è il rifiuto. Il piacere ed il dispiacere, noti nella terminologia yogica come raga e dwesha, attrazione e repulsione, rappresentano la natura che controlla la mente umana. Quando raga e dwesha controllano l’espressione della mente umana, ogni cosa che pensiamo, pianifichiamo o desideriamo sarà sotto l’influenza del piacere e del dispiacere. In questa condizione mentale, né il guru e né Dio può darvi saggezza. Se i vostri piaceri e dispiaceri sono predeterminati, nemmeno le parole di Dio possono fare la differenza, perché non siete in uno stato di accettazione. Quindi, in casi come questo, il guru vi dice di decidere da soli quale dev’essere lo scopo e la focalizzazione nella vostra vita, perché sa che il suo suggerimento non verrebbe accettato.

Questo è applicabile a tutti. Il guru guiderà solo quelle persone che hanno una fede implicita; quelle persone sono sotto la mia responsabilità. Perciò, le qualità del discepolo sono molto più importanti delle istruzioni del guru. Non è importante che il guru vi dica qual è lo scopo della vostra vita, o volere dal guru le soluzioni ai problemi. Questo è secondario. È importante coltivare le qualità di un discepolo nella vita.

Se una persona è un vero discepolo, riceverà la guida del guru ad ogni passo lungo la via: a volte sarà fisica, a volte mentale, a volte psichica e a volte solo delle parole che si sentono in meditazione. Ma se questa consapevolezza, questo livello di accettazione e di abbandono non ci sono, se la relazione con il guru è intellettuale e orientata all’appagamento, allora è meglio trovarsele da soli le soluzioni nella vita.
5 Agosto, 2002