Swami Niranjanananda Saraswati
Potrebbe
spiegare le parole di Sri Swamiji: “Quando la madre si ritira, il guru arriva”?
Durante la Sat Chandi Maha
Yajna del 2003, Sri Swamiji disse che quando arriva la madre cosmica, il ruolo
del guru è terminato. Quando la madre
se ne va, il ruolo del guru riprende.
Questo è molto logico. Lo scopo di un guru
è di portare il discepolo di fronte alla divinità, o alla natura trascendente,
o a Dio, o al Sé supremo.
Il guru non dovrebbe essere visto come una persona con un corpo
fisico, ma come il rappresentante della qualità e dell’energia che ispira e
motiva ognuno di noi nell’arrivare ad avere una visione della natura
trascendentale che è contenuta all’interno di noi e di cui facciamo parte. La
confusione si ha quando ci identifichiamo con il guru a livello fisico. Ci chiediamo, allora, perché il maestro con
il quale ci siamo identificati è fisicamente assente durante un evento. Ma questa,
è una nostra incomprensione perché il guru
non è il corpo fisico.
Dopotutto, quando Sri Swamiji
stesso si presentò nell’ashram del
suo guru Swami Sivananda a Rishikesh,
era una persona ordinaria ma con la grazia del guru insieme alla convinzione, dedizione ed abbandono da parte sua,
divenne luminoso. Il guru tattwa si
manifestò in lui. Quindi, vi connettete con lui per il corpo fisico, oppure per
quella shakti, il guru tattwa, che è in lui? Se vi connettete
per il corpo, perderete tutti i segreti della vita spirituale. Ma se vi
connettete per l’essenza che egli rappresenta, non farà differenza che sia lì
fisicamente oppure no. Per un aspirante spirituale, per una persona che è
sincera nel seguire il percorso spirituale, è necessario identificarsi anche con
la qualità, la natura del guru che
ispira, motiva e guida tutti noi.
Il guru tattwa, la guru shakti,
è responsabile dell’elevazione della mente umana dal piano materiale di base ai
piani spirituali e trascendentali più elevati. Questo è il ruolo del guru. Il ruolo del guru non è sedere davanti a voi fisicamente, benedirvi e darvi la
grazia. Questo è il compito dei pontefici non dei guru. I guru sono
scintille. Swami Sivananda creò una scintilla in Sri Swamiji, la materia era
buona e prese fuoco. Il guru crea
delle scintille all’interno di noi, ma la materia non è buona e noi non
prendiamo fuoco. Qualche volta la nostra materia è molto bagnata a causa delle
frustrazioni, delle tensioni e dell’ansia, quindi c’è molto fumo e niente
fuoco. Qualche volta siamo fatti di una materia che non prende fuoco, come un
sasso. Qualche volta siamo di materia che può prendere fuoco e bruciamo.
Secondo un detto: se Dio e il guru sono entrambi in piedi davanti a
voi, a chi si deve rendere omaggio per primo? La risposta è al guru, perché è tramite lui che avete
raggiunto Dio. Dio è il secondo, non il primo. Dobbiamo capire cosa sta facendo
Sri Swamiji secondo questo spirito. Sta elevando il livello della nostra
consapevolezza, della nostra coscienza, facendoci vivere lo yoga, non praticare yoga.
Ci sono due tradizioni: una è
praticare yoga, l’altra è vivere lo yoga. Entrambe sono molto forti. Il
saggio Patanjali è ritenuto il codificatore
dello yoga. Descrive il processo
dello yoga come l’essere preparati a
ricevere la coscienza più elevata. Ma dopo che vi sarete preparati per ricevere
quell’energia, quella grazia elevata, arriva lo yoga di Swami Sivananda che consiste nel fare esperienza e nel
manifestare quella qualità, quella grazia, quell’abilità, creatività e
chiarezza cha avete sviluppato con la pratica di yoga. Il saggio Patanjali
tratta degli otto stadi dello yoga
come pratica. In seguito, anche Swami Shivananda parla dell’ottuplice sentiero
dello yoga, ma come il vivere
l’esperienza dello yoga. Quando
vivremo l’esperienza dello yoga, la
nostra consapevolezza si eleverà.
Prendiamo come esempio la radio.
Appena l’accendete, sentite molti rumori elettrici e incomprensibili, ma
spostando il sintonizzatore verso una stazione specifica i rumori diminuiranno
sempre di più. Qualche volta, quando andate vicino ad una stazione, c’è un
suono acuto, come se tutti i suoni si fossero fusi e divenuti un unico suono ad
alta frequenza. La frequenza sarà sempre più alta fino a divenire
impercettibile, allora sarete arrivati alla stazione e potrete ascoltare la
musica.
Questo è il processo dello yoga. Quando accendete la radio e
sentite tutti i rumori elettrici ed incomprensibili, quella è la vita normale.
Le chitta vritti sono attive. Non c’è
sintonia, focalizzazione, chiarezza: è lo stato in cui siamo adesso. Ma poi
iniziate a muovere la manopola della radio per sintonizzarla. Lo scopo della
sintonizzazione è di abbassare le frequenze in modo che le parole, i suoni, la
musica possano essere uditi chiaramente. Questo è l’eliminazione, la rimozione
e la focalizzazione. Entrambe avvengono nello stesso momento. Con la pratica di
yoga vi muovete attraverso gli stati
di pratyahara e di dharana e, gradualmente, riducete i
suoni elettrici ed incomprensibili. Poi tutti si fonderanno in un unico suono e
sentirete come un fischio ad alta frequenza. Questa è la meditazione, dhyana, dove tutto è fuso ed emerge in
un suono a frequenza elevata. Quando la frequenza sarà sempre più elevata fino
a diventare impercettibile, lo stato di dhyana
si convertirà in samadhi. Fino a
questo punto c’è lo sforzo umano. Passato questo punto trovate la stazione e
potete iniziare ad ascoltare la musica. Questo è vivere l’esperienza, perché
qui non c’è focalizzazione, concentrazione, meditazione, ma state ascoltando
l’intero spettro dei suoni, della musica, delle parole, in armonia. Questo è
vivere lo yoga.
Questo è il movimento dello yoga. Ad ogni stadio, man mano che
evolviamo, progrediamo sempre più. La mente, le sensazioni, le emozioni e i sentimenti
si raffinano sempre più diventando più nitidi e creativi. Con questo
raffinamento sorge una nuova percezione. Si fa esperienza di una nuova
comprensione, di una nuova visione e di un nuovo stato della mente. Questo
stato della mente è noto come saumyata,
la mente serena. Non c’è un termine inglese che possa tradurre saumyata. Quello che più si avvicina è
serenità, o saggezza equilibrata, stitha
prajna, di cui Krishna parla nella Bhagavad
Gita. È in questo stato di saggezza equilibrata, saumyata o stitha prajna,
che ci si connette con le realtà più elevate.
Così come in samadhi ci si connette con le realtà più
elevate, allo stesso modo con il risveglio, la trasformazione e la
purificazione della mente, si ha la consapevolezza e l’esperienza di quel Sé
supremo. Quest’esperienza del Sé supremo va mantenuta. L’esperienza del Sé supremo
si estende a tutti gli aspetti della vita, ai karma, alle azioni, al comportamento e all’atteggiamento. Crea un
campo energetico intorno ad una persona, ad un luogo e quando si entra in quel
campo ci si sente toccati, ci si sente differenti e allo stesso tempo felici,
in pace e tranquilli. L’esperienza intellettuale che si fa tramite buddhi, di fronte ad un maestro, esperienza
di pace, serenità, controllo, equilibrio ed armonia è solo la comprensione
esterna di un processo sottile che interessa la consapevolezza e la psiche a
livelli profondi. Questo processo sottile deve essere sviluppato per diventare
il recipiente dell’energia cosmica e fare così esperienza della natura
trascendentale interiore.
Il ruolo del guru è di portarvi a quel livello. Una
volta che ci sarà la connessione con il Sé supremo, la funzione, il ruolo del guru sarà terminato. Poi dovrete
diventare quella luce. Dovrete fare esperienza di quella natura elevata. In
seguito, quando tornerete di nuovo al piano materiale a causa della mente e
delle limitazioni del sé, il guru
tornerà e vi dirà: “Ok, ora dovrai fare questo, quello e quest’altro per
superare le tue limitazioni e prendere il volo.” Quindi, quello che Sri Swamiji
ha detto durante la yajna è la
verità. Chi ha orecchi per intendere ascolti e chi ha occhi per vedere guardi.
3
Dicembre 2003
Swamiji,
tu sei il mio guru. Sebbene questa è
solo la seconda volta che ti vedo, sento una profonda attrazione ed è come se
t’avessi conosciuto già in passato. Come può succedere questo?
La vita è un gioco di
emozioni, di affetti e noi siamo legati gli uni agli altri grazie a queste
emozioni ed affetti. Alcuni esprimono delle qualità più di altri e possono
collegarsi con qualcuno a livello emozionale e trovare il supporto che li nutre
e li sostiene emotivamente.
Sono i vostri sentimenti,
sensazioni ed emozioni che creano il legame tra voi e me. La stessa cosa,
naturalmente, accade anche al contrario. La prima volta che mi vedete potrei
non piacervi affatto. Ci sarebbe una reazione differente. Allora, potrebbe
sorgere la domanda: “Perché ti odio a prima vista? Siamo stati nemici in
passato?” Queste domande non hanno nessuna rilevanza, perché tra noi vi è una
relazione attraverso le emozioni e gli affetti. Se si rimuovessero l’emozione e
l’affetto non ci sarebbe nessun collegamento tra voi e me, o tra chiunque altro.
Se avete un’emozione positiva, coltivatela.
C’è un’applicazione positiva e
una negativa, dannosa, dei sentimenti, delle emozioni e delle forze che tutti
noi abbiamo. Dobbiamo coltivare ciò che è positivo ed elevante. Invece di
rimuginare su ciò che è restrittivo, negativo e cattivo, coltivate quello che è
positivo, buono e cercate di pensare di più a queste cose. Perché pensare a
fare del bene, a sentirsi bene e a fare esperienza del bene?
La bontà deve essere compresa
in modo pratico. È nella natura umana essere cattivi, non buoni. Ogni attore vi
dirà che è molto facile interpretare un criminale. Interpretare il ruolo di un
buono non viene spontaneo, occorre prepararsi. Diventare buoni ed essere buoni
può creare molte difficoltà pratiche e, quindi, bisogna essere molto attenti ed
imparare a gestire la bontà.
La bontà può essere gestita
solo se la struttura della mente è stata sviluppata nella misura in cui risulta
allineata con le qualità positive e creative. Ciò si ha con la pratica di yama e niyama. Praticando yama e
niyama, impariamo come comprendere,
applicare e fare esperienza della bontà nella nostra vita.
Applicare e fare esperienza
della bontà nella nostra vita è noto come tapasya.
Tapasya non è l’austerità o
l’autopunizione. Tapasya è la
trasformazione del sé interiore per fare esperienza e vivere la qualità della
bontà. Quando saremo in grado di esprimere creativamente questa bontà
interiormente, avremo una connessione con chiunque ci circonda, che sarà di
supporto e ci eleverà interiormente. Se questa connessione non c’è, niente
attrarrà la nostra attenzione. Le nostre motivazioni ed ispirazioni saranno
dissipate e perderemo interesse.
Quindi, la domanda non
riguarda voi o me. Riguarda come poter sviluppare e mantenere quella buona
sensazione ed energia che lega fortemente guru
e discepolo, e che può agire anche come trampolino di lancio per scoprire
dimensioni nuove e più elevate nella vita. Questo è sambandh, la connessione, l’interazione armonica.
3
Dicembre 2003
Quando
un discepolo fallisce un obiettivo e chiede al guru cosa fare e il guru dice
che la decisione è la sua, cosa dovrebbe fare, visto che si sente troppo
perplesso e confuso per prendere una qualsiasi decisione?
La faccenda è molto semplice
ma la risposta non lo è. Quando le persone domandano qualcosa al guru, chiedono come poter fare questo o
quello. Fino ad un certo punto va bene, ma arriva un momento in cui i propri sadhana e pratiche dovrebbero portare ad
una fase in cui s’inizia a manifestare la propria saggezza, discriminazione, viveka e vairagya. Quando la discriminazione e la saggezza diverranno
fulgidi, troverete le soluzioni ad ogni problema. Il problema è che gli esseri
umani pensano solo con una parte della mente che confronta ed analizza sempre
le situazioni, i bisogni e le interazioni con l’idea o il pensiero sottile di ‘cosa ottengo in questo modo?’
La nostra natura, la nostra
personalità, è oggetto di piaceri e dispiaceri. Le cose che piacciono ci danno
l’esperienza di felicità, piacere, gioia, soddisfazione ed appagamento. Ciò che
non piace è doloroso. Verso ciò che non piace c’è il rifiuto. Il piacere ed il
dispiacere, noti nella terminologia yogica come raga e dwesha, attrazione
e repulsione, rappresentano la natura che controlla la mente umana. Quando raga e dwesha controllano l’espressione della mente umana, ogni cosa che
pensiamo, pianifichiamo o desideriamo sarà sotto l’influenza del piacere e del
dispiacere. In questa condizione mentale, né il guru e né Dio può darvi saggezza. Se i vostri piaceri e dispiaceri
sono predeterminati, nemmeno le parole di Dio possono fare la differenza,
perché non siete in uno stato di accettazione. Quindi, in casi come questo, il guru vi dice di decidere da soli quale
dev’essere lo scopo e la focalizzazione nella vostra vita, perché sa che il suo
suggerimento non verrebbe accettato.
Questo è applicabile a tutti.
Il guru guiderà solo quelle persone
che hanno una fede implicita; quelle persone sono sotto la mia responsabilità.
Perciò, le qualità del discepolo sono molto più importanti delle istruzioni del
guru. Non è importante che il guru vi dica qual è lo scopo della
vostra vita, o volere dal guru le
soluzioni ai problemi. Questo è secondario. È importante coltivare le qualità
di un discepolo nella vita.
Se una persona è un vero
discepolo, riceverà la guida del guru
ad ogni passo lungo la via: a volte sarà fisica, a volte mentale, a volte
psichica e a volte solo delle parole che si sentono in meditazione. Ma se
questa consapevolezza, questo livello di accettazione e di abbandono non ci
sono, se la relazione con il guru è
intellettuale e orientata all’appagamento, allora è meglio trovarsele da soli
le soluzioni nella vita.
5
Agosto, 2002