lunedì 21 dicembre 2015

Esperienze di Yoga in India, in Ashram, con il Guru

Swami Chidprakash Saraswati
 
Nel gennaio del 1980, non ancora diciottenne, iniziai a praticare yoga e nell’ottobre dello stesso anno feci il primo viaggio in India. Fu un viaggio a scopo turistico della durata di quarantacinque giorni e visitai Mumbai, Goa ed il Rajasthan.

L’impatto con l’India non fu dei migliori: la lasciai arrabbiato. Durante la permanenza litigai con diverse persone, il cibo per me era troppo speziato e la maniera in cui vivevano gli indiani mi sembrava assurda e incomprensibile. Mi ripromisi che non sarei mai più tornato in un Paese del genere! 

A quei tempi non conoscevo nulla del mondo dello yoga e nemmeno m’interessava approfondire l’argomento. Ignoravo, perciò, totalmente che in quello stesso anno, nel mese di aprile, Swami Satyananda visitò per la prima volta l’Italia e venne nella cittadina di Numana, in provincia di Ancona, a pochi chilometri dalla mia abitazione.

L’anno successivo, sempre per turismo, andai a Sri Lanka e questa volta mi trovai molto bene. Dopo quindici giorni che mi trovavo là, all’improvviso sentii una grande nostalgia per l’India, a tal punto che avrei voluto cambiare il biglietto aereo ed andare. Questo, però, non fu possibile. Rimasi molto stupito di questo evento interiore che mi trovai a vivere: per quindici giorni mi sono sentito “in pena”, c’era come un fuoco dentro di me, una smania, che mi spingeva fortemente a voler tornare là, in India, senza un’apparente e razionale motivazione.La sensazione che provavo era simile a quando ci si trova vicino alla persona amata, ma non è possibile raggiungerla.

Tornato in Italia ripresi la routine quotidiana: vari lavoretti, studio e pratica di yoga. La pratica di yoga divenne costante, quotidiana, e ne ebbi da subito molti benefici, sia livello fisico sia mentale.

Mi avvicinai allo yoga dopo aver abbandonato il mondo dell’atletica in cui ero impegnato dall’età di dodici anni. Nel 1979, dopo quattro anni d’intensa attività sportiva decisi di abbandonare, nonostante avessi un discreto successo, a causa di troppi impegni quotidiani: studio, allenamenti e aiuto alla mia famiglia a causa di una malattia di mio padre.

Così, dopo un anno d’inattività, mi ritrovai con il collo rigido, dolorante e frequenti mal di testa. Iniziai così a frequentare un corso di yoga e, seguendo i consigli dell’insegnante, iniziai a praticare surya namaskara tutte le mattine. Dopo un solo mese di pratica, ogni dolore svanì e da allora surya namaskara è diventata una delle mie pratiche quotidiane.

L’anno successivo cambiai scuola di yoga, ma non mi trovai bene, così decisi d’interrompere la frequenza ai corsi, ma non la pratica quotidiana. Via via che praticavo, riscontravo sempre più benefici a livello fisico e mentale e dopo qualche anno nacque dentro di me una necessità che andava al di là del piano esteriore: sentii la necessità di trovare una guida, un maestro, un guru. Quindi, nel novembre del 1983 partii per l’India per un viaggio di sei mesi, con il proponimento di trovare il mio guru.

Non racconterò nei particolari quest’esperienza, che è molto personale; posso solo dire che lo trovai! Non aveva una forma fisica, era qualcosa d’interiore: era una voce che mi parlava e mi diceva tutto ciò che dovevo o non dovevo fare. Quando seguivo la voce, tutto andava bene, anche nelle situazioni più assurde. Mentre quando non l’ascoltavo, incontravo sempre problemi e difficoltà.

Mi sentivo in una sorta di “stato di grazia”; ora posso dire che in me era sorto “santosha” (all’epoca non sapevo si chiamasse così): in me vi era una grande contentezza interiore, senza che vi fosse una motivazione razionale.

Questa voce mi accompagnò per tutti i sei mesi in India e i sei mesi successivi in Italia poi, ad un certo punto, svanì.

In quel periodo, in Italia, frequentavo delle persone di Ancona che di tanto in tanto partecipavano a dei seminari di yoga a Torino presso un’associazione di yoga tradizionale ed un giorno mi mostrarono la foto di Swami Satyananda.

All’epoca vivevo in campagna a pochi chilometri da Ancona ed una notte, la donna che a quel tempo era mia moglie, fece un sogno: vide Paramahansa Satyananda vestito con l’abito tradizionale, dothi e kurta di colore gheru, in cima alla salita della stradina che portava alla nostra abitazione che, sorridendole, le disse: “Good morning!”. Il pomeriggio del giorno dopo, con somma sorpresa e senza alcun preavviso, i due amici vennero a casa da noi insieme a Swami Anandananda. Era fine agosto o inizio settembre del 1985…e la storia ebbe inizio da quel giorno…

Iniziai a frequentare Satyananda Ashram Italia a Torino, a Montebello di Bertona (PE) e poi a Montescudo dove contribuii, nei momenti liberi, alla sua costruzione.     

Nel 1987 conobbi Swami Satyananda a Munger e poi lo rividi nel 1993, nel 2001 e nel 2004. Nel 2009 arrivai troppo tardi…era già partito o, meglio, era già entrato in ognuno di noi…

Seppure fisicamente l’abbia incontrato pochissime volte, la mia percezione è d’essere stato in contatto con lui per molto tempo; molto di più di quello che effettivamente è stato!

Difatti, anni fa, per rispondere ad una persona che mi chiese quante volte avessi visto Swami Satyananda, ho dovuto fare uno sforzo enorme per risalire all’esatto numero degl’incontri.

Nonostante la mia permanenza in ashram sia stata sempre breve, una o al massimo tre settimane consecutive e i darshan di Paramahansaji fugaci, l’effetto che tutto ciò ha avuto su di me è stato, ed è tutt’ora, quello di una profonda e radicale trasformazione.  

Trasformazione interiore con ripercussioni anche sul piano fisico, mentale ed emozionale che si sono manifestate nel corso degli anni con vari avvenimenti e situazioni che hanno modificato profondamente il mio modo di essere e di sentirmi in questo mondo.

Alla fine del 2009 tornai in India, da dove mancavo dal 2004, e visitai gli ashram di Rikhia e di Munger. Da quell’anno in poi, a tutt’oggi, sono tornato in India praticamente ogni anno.

Dalla mia personale esperienza posso affermare che l’India è un luogo in cui tutto va più lento: i treni, le auto, la burocrazia… Questo è ciò che si percepisce attraverso i sensi, ciò che si può vedere dall’esterno. Mentre interiormente tutto va almeno dieci volte più veloce: i samskara, i desideri sopiti, la consapevolezza, tutto subisce un’accelerazione.

Io definisco l’India come il laboratorio della razza umana: un luogo dove presente, passato e futuro convivono e un darshan di questo Paese ha la potenza di risvegliare nel DNA memorie dell’antico modo di essere, creando un ponte che riunisce l’intera personalità umana, il conscio e l’inconscio. È grazie all’India, che non ha distrutto le conoscenze com’è accaduto in gran parte del resto del mondo e ha mantenuto vive tutte le tradizioni lasciandole fluire ed evolvere naturalmente, se chi la visita percepisce sensazioni particolari, uniche, che mettono in movimento qualcosa nella propria anima. 

Ogni volta che sono stato in India ho visitato luoghi spirituali: l’ashram del nostro Param Guru Swami Shivananda a Rishikesh, diversi Jotyrlingam: tutti luoghi particolari, pieni di energia e molto intensi. Ognuno di questi luoghi ha contribuito a sciogliere, purificare e trasformare in positivo la mia personalità e tutta la mia vita.

I luoghi dove ciò è avvenuto in modo più intenso e totale sono stati, e sono tutt’ora, gli ashram di Munger e di Rikhia dove ciò che rende il tutto più intenso è la presenza del Guru, tangibile e reale e i darshan di Swami Satyananda, Swami Niranjan e di Swami Satsangi.
Fine prima parte