Swami
Chidprakash Saraswati
Nel gennaio del 1980, non ancora diciottenne,
iniziai a praticare yoga e
nell’ottobre dello stesso anno feci il primo viaggio in India. Fu un viaggio a scopo
turistico della durata di quarantacinque giorni e visitai Mumbai, Goa ed il
Rajasthan.
L’impatto con l’India
non fu dei migliori: la lasciai arrabbiato. Durante la permanenza litigai con
diverse persone, il cibo per me era troppo speziato e la maniera in cui
vivevano gli indiani mi sembrava assurda e incomprensibile. Mi ripromisi che
non sarei mai più tornato in un Paese del genere!
A quei tempi non
conoscevo nulla del mondo dello yoga
e nemmeno m’interessava approfondire l’argomento. Ignoravo, perciò, totalmente
che in quello stesso anno, nel mese di aprile, Swami Satyananda visitò per la prima volta l’Italia e venne nella
cittadina di Numana, in provincia di Ancona, a pochi chilometri dalla mia
abitazione.
L’anno successivo, sempre
per turismo, andai a Sri Lanka e questa volta mi trovai molto bene. Dopo
quindici giorni che mi trovavo là, all’improvviso sentii una grande nostalgia
per l’India, a tal punto che avrei voluto cambiare il biglietto aereo ed
andare. Questo, però, non fu possibile. Rimasi molto stupito di questo evento
interiore che mi trovai a vivere: per quindici giorni mi sono sentito “in
pena”, c’era come un fuoco dentro di me, una smania, che mi spingeva fortemente
a voler tornare là, in India, senza un’apparente e razionale motivazione.La
sensazione che provavo era simile a quando ci si trova vicino alla persona
amata, ma non è possibile raggiungerla.
Tornato in Italia
ripresi la routine quotidiana: vari lavoretti, studio e pratica di yoga. La pratica di yoga divenne costante, quotidiana, e ne ebbi da subito molti benefici,
sia livello fisico sia mentale.
Mi avvicinai allo yoga dopo aver abbandonato il mondo
dell’atletica in cui ero impegnato dall’età di dodici anni. Nel 1979, dopo
quattro anni d’intensa attività sportiva decisi di abbandonare, nonostante
avessi un discreto successo, a causa di troppi impegni quotidiani: studio,
allenamenti e aiuto alla mia famiglia a causa di una malattia di mio padre.
Così, dopo un anno
d’inattività, mi ritrovai con il collo rigido, dolorante e frequenti mal di
testa. Iniziai così a frequentare un corso di yoga e, seguendo i consigli dell’insegnante, iniziai a praticare surya namaskara tutte le mattine. Dopo
un solo mese di pratica, ogni dolore svanì e da allora surya namaskara è diventata una delle mie pratiche quotidiane.
L’anno successivo
cambiai scuola di yoga, ma non mi
trovai bene, così decisi d’interrompere la frequenza ai corsi, ma non la
pratica quotidiana. Via via che praticavo, riscontravo sempre più benefici a livello
fisico e mentale e dopo qualche anno nacque dentro di me una necessità che
andava al di là del piano esteriore: sentii la necessità di trovare una guida,
un maestro, un guru. Quindi, nel
novembre del 1983 partii per l’India per un viaggio di sei mesi, con il
proponimento di trovare il mio guru.
Non racconterò nei
particolari quest’esperienza, che è molto personale; posso solo dire che lo
trovai! Non aveva una forma fisica, era qualcosa d’interiore: era una voce che
mi parlava e mi diceva tutto ciò che dovevo o non dovevo fare. Quando seguivo
la voce, tutto andava bene, anche nelle situazioni più assurde. Mentre quando
non l’ascoltavo, incontravo sempre problemi e difficoltà.
Mi sentivo in una sorta
di “stato di grazia”; ora posso dire che in me era sorto “santosha” (all’epoca non sapevo si chiamasse così): in me vi era
una grande contentezza interiore, senza che vi fosse una motivazione razionale.
Questa voce mi
accompagnò per tutti i sei mesi in India e i sei mesi successivi in Italia poi,
ad un certo punto, svanì.
In quel periodo, in
Italia, frequentavo delle persone di Ancona che di tanto in tanto partecipavano
a dei seminari di yoga a Torino
presso un’associazione di yoga
tradizionale ed un giorno mi mostrarono la foto di Swami Satyananda.
All’epoca vivevo in
campagna a pochi chilometri da Ancona ed una notte, la donna che a quel tempo
era mia moglie, fece un sogno: vide Paramahansa
Satyananda vestito con l’abito tradizionale, dothi e kurta di colore gheru, in cima alla salita della
stradina che portava alla nostra abitazione che, sorridendole, le disse: “Good
morning!”. Il pomeriggio del giorno dopo, con somma sorpresa e senza alcun
preavviso, i due amici vennero a casa da noi insieme a Swami Anandananda. Era
fine agosto o inizio settembre del 1985…e la storia ebbe inizio da quel giorno…
Iniziai a frequentare
Satyananda Ashram Italia a Torino, a Montebello di Bertona (PE) e poi a
Montescudo dove contribuii, nei momenti liberi, alla sua costruzione.
Nel 1987 conobbi Swami
Satyananda a Munger e poi lo rividi nel 1993, nel 2001 e nel 2004. Nel 2009
arrivai troppo tardi…era già partito o, meglio, era già entrato in ognuno di
noi…
Seppure fisicamente
l’abbia incontrato pochissime volte, la mia percezione è d’essere stato in
contatto con lui per molto tempo; molto di più di quello che effettivamente è
stato!
Difatti, anni fa, per
rispondere ad una persona che mi chiese quante volte avessi visto Swami
Satyananda, ho dovuto fare uno sforzo enorme per risalire all’esatto numero
degl’incontri.
Nonostante la mia
permanenza in ashram sia stata sempre
breve, una o al massimo tre settimane consecutive e i darshan di Paramahansaji fugaci, l’effetto che tutto ciò ha avuto
su di me è stato, ed è tutt’ora, quello di una profonda e radicale
trasformazione.
Trasformazione
interiore con ripercussioni anche sul piano fisico, mentale ed emozionale che
si sono manifestate nel corso degli anni con vari avvenimenti e situazioni che
hanno modificato profondamente il mio modo di essere e di sentirmi in questo mondo.
Alla fine del 2009
tornai in India, da dove mancavo dal 2004, e visitai gli ashram di Rikhia e di Munger. Da quell’anno in poi, a tutt’oggi,
sono tornato in India praticamente ogni anno.
Dalla mia personale
esperienza posso affermare che l’India è un luogo in cui tutto va più lento: i
treni, le auto, la burocrazia… Questo è ciò che si percepisce attraverso i
sensi, ciò che si può vedere dall’esterno. Mentre interiormente tutto va almeno
dieci volte più veloce: i samskara, i
desideri sopiti, la consapevolezza, tutto subisce un’accelerazione.
Io definisco l’India
come il laboratorio della razza umana: un luogo dove presente, passato e futuro
convivono e un darshan di questo
Paese ha la potenza di risvegliare nel DNA memorie dell’antico modo di essere,
creando un ponte che riunisce l’intera personalità umana, il conscio e
l’inconscio. È grazie all’India, che non ha distrutto le conoscenze com’è
accaduto in gran parte del resto del mondo e ha mantenuto vive tutte le
tradizioni lasciandole fluire ed evolvere naturalmente, se chi la visita
percepisce sensazioni particolari, uniche, che mettono in movimento qualcosa
nella propria anima.
Ogni volta che sono
stato in India ho visitato luoghi spirituali: l’ashram del nostro Param Guru Swami Shivananda a Rishikesh, diversi Jotyrlingam: tutti luoghi particolari,
pieni di energia e molto intensi. Ognuno di questi luoghi ha contribuito a
sciogliere, purificare e trasformare in positivo la mia personalità e tutta la
mia vita.
I luoghi dove ciò è
avvenuto in modo più intenso e totale sono stati, e sono tutt’ora, gli ashram di Munger e di Rikhia dove ciò
che rende il tutto più intenso è la presenza del Guru, tangibile e reale e i darshan di Swami Satyananda, Swami
Niranjan e di Swami Satsangi.
Fine prima parte