sabato 20 giugno 2015
Il messaggio dello yoga
Swami Niranjanananda Saraswati
Satsang a Rocklyn Ashram,
Australia, Aprile 1995
Vorrei parlarvi di alcune cose
riguardanti la pratica, la comprensione e l’approccio allo yoga. Noi crediamo che lo yoga
sia un insieme di pratiche, limitate ad asana,
pranayama, mudra, bandha, shatkarma e tecniche di meditazione.
Oltre a questi aspetti pratici, crediamo che il resto dello yoga sia puramente filosofico, che si
tratti di bhakti yoga, karma yoga, jnana yoga o qualsiasi altra
forma di yoga. Tendiamo a fare delle
analisi mentali di questi diversi tipi di yoga.
Se il karma yoga dice questo, come
posso io, con il mio attuale modo di pensare, assimilarlo? Se il bhakti yoga significa questo, allora
come posso, nel mio ambiente, cercare di comprenderlo? La nostra osservazione
manca di un punto molto importante.
Lo yoga non è una filosofia, né una pratica. C'è una parte dello yoga che è pratica, ma gli altri aspetti
danno solo il messaggio di pensare, vivere e agire correttamente. È nella
natura degli esseri umani pensare sempre a come trarre il massimo beneficio da
qualcosa. Molte volte, quando cerchiamo di modificare ed adattare le pratiche
di yoga secondo la nostra natura e
personalità, le alteriamo così tanto che perdiamo la direzione principale dello
yoga. Questa è la nostra natura.
Vi farò un esempio. Noi crediamo
che il bhakti yoga sia lo yoga della devozione, così la devozione
diventa un’attività esteriore. Crediamo che il karma yoga sia lo yoga
dell'azione e l’azione diventa un’attività esteriore. Crediamo che jnana yoga sia lo yoga della conoscenza e questo diventa un processo di ginnastica
intellettuale. Sappiamo che il kundalini
yoga è il risveglio dell'energia sotto forma di kundalini allo scopo di sperimentare l’evoluzione della consapevolezza
umana. Ma, siamo così intrappolati nelle nostre esperienze psicologiche,
mentali ed emotive che non sperimenteremo mai il risveglio reale. Quando
tentiamo di modificare ed adattare le pratiche yogiche in base al nostro modo
di pensare, deviamo dalla direzione dello yoga.
Karma
yoga: azione, aspettativa e perfezione
Questo è un problema che ho
incontrato molte volte nei rapporti e nelle relazioni con le altre persone.
Sovrapponiamo le nostre idee ed aspirazioni alle pratiche di yoga che stiamo eseguendo. Se sentiamo
qualcuno dire che il karma yoga è lo
yoga dell'azione, senza avere alcuna aspettativa e cercando di fare ogni azione
con totale perfezione, immediatamente l’aspetto dell’Io della nostra personalità, l'identità dell’Io, inizia ad analizzare ciò che è stato detto. Iniziamo ad
analizzare come l'Io possa
comprendere l'idea di fare un'azione senza aspettativa e con perfezione.
Quindi, inizio a pensare in
tre modi diversi. Il primo aspetto è l'azione. Sviluppo la mia comprensione
dell'azione. Se sono una persona estroversa, considererò come azione il lavorare
in un settore, in cucina o in ufficio. Se sono una persona introversa,
considererò azioni il mio comportamento, le mie espressioni, come tratto le
persone o come mi relaziono con gli altri. E questo diventa il nostro concetto
di azione.
Ora arriva il secondo aspetto
che è quello di non avere aspettative. Nel momento in cui dico a me stesso: “Non
devo avere nessuna aspettativa”, l'Io
mi mette di fronte i concetti di desiderio, sicurezza, soddisfazione e
appagamento. Così inizio a pensare: “Beh, se non devo avere nessuna
aspettativa, come ne vengo fuori? Se non devo avere nessuna aspettativa del
risultato, come posso sciogliere il dilemma che
si sta creando dentro di me: lasciar andare ciò che voglio ottenere, ciò che
naturalmente e normalmente ci si aspetta come risultato?” Noi diciamo: “Io vivo
nel mondo dove si ha a che fare con le aspettative. Non posso praticare karma yoga: dovrei abbandonare tutto”.
Entrano in scena questi tipi di pensieri e idee.
Poi vi è il terzo aspetto: la
perfezione. Il concetto di perfezione è anch’esso distorto dall'idea che ne abbiamo
nella nostra mente. Come posso rendere ogni mia azione perfetta se non ricevo
sostegno, incoraggiamento e feedback dalle persone intorno a me?
Sviluppando questi tipi di
pensieri ci creiamo le nostre immagini e concetti di aspettativa, perfezione e azione.
Qualunque cosa non soddisfi le nostre convinzioni non viene accettata. Semplicemente
la rifiutiamo dicendo: “No, non è possibile per me fare questo. Io aspiro a
realizzare molti obiettivi nella vita”. Questo è un esempio.
Gli
otto gradini del raja yoga
La stessa cosa vale con il raja yoga. Sappiamo che c'è una sequenza
nel raja yoga, l'ottuplice sentiero
di yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana che porta al samadhi. Ma, quanti di noi hanno seguito questa sequenza con
sincerità? Quanti di noi stanno cercando d’integrare l'aspetto di yama e niyama nella vita? Pochissimi: si possono contare sulle dita di una
mano. Crediamo che yama e niyama siano aspetti morali dello yoga che non ci riguardano, perché noi
siamo differenti. Iniziamo con asana
e pranayama perché fanno bene al
corpo. Il corpo libera l’energia e diventa più flessibile.
Poi, dopo essere passati attraverso
le pratiche di asana e pranayama, diciamo: “Okay, ora praticherò
dhyana”. Ci muoviamo verso lo stato
meditativo creando certe immagini, fantasie e idee di ciò che dhyana dovrebbe essere o come potremmo
praticarlo. Ignoriamo le pratiche di pratyahara
e dharana. Solo nei momenti di difficoltà,
quando scopriamo di non riuscire affatto a meditare, ricorriamo alle pratiche
di pratyahara e dharana. Allora chiediamo a qualcuno: “Non riesco a concentrarmi
correttamente. Come posso superare questo problema?” Quella persona ci dirà di
praticare trataka al fine di
sviluppare la concentrazione e così lasceremo dhyana per ritornare indietro a dharana
ed iniziare la pratica di trataka.
Dopo qualche tempo diciamo a
noi stessi: “Okay, ho fatto un mese di pratica di trataka. Non è necessario fare di più, tornerò al dhyana”. Quando inizieremo la
meditazione, ci confronteremo di nuovo con le nostre negatività e positività, il
desiderio e la repulsione, le forze e le debolezze, che creano un altro
scombussolamento. Quando ci confrontiamo con le nostre debolezze, diciamo a noi
stessi: “Non so perché sto ottenendo questi risultati nella meditazione. Dovrei
sentirmi bene, ma sto diventando sempre più depresso. Non so perché non sto
avendo esperienze positive nella mia meditazione; le altre persone hanno
esperienze molto positive”.
Quindi consultiamo qualcuno
che ci dice: “Guarda, se incontri queste difficoltà nella tua pratica, dovresti
tornare alle pratiche di pratyahara.
Pratica antar mouna, antar darshan o hamsa dhyana ed osserva ciò che accade interiormente. Quando avrai
una visione completa e sarai in grado di affrontare l'arrivo delle emozioni, dei
sentimenti e dei pensieri, allora potrai tornare alla pratica di dhyana”. Così, ancora una volta,
tornerai a pratyahara.
Kundalini
Yoga
Ci sono alcune cose che
riteniamo irrilevanti o inutili per noi ed altre a cui diamo grande importanza,
ma non abbiamo la giusta preparazione per esse: kundalini yoga o kriya yoga,
per esempio. Dopo aver praticato hatha
yoga per un anno decidiamo di passare al kriya yoga. Sentiamo una sensazione di formicolio lungo la colonna
vertebrale e ci convinciamo che la nostra kundalini
si stia attorcigliando e girando, che si stia risvegliando dal suo stato
dormiente. Percepiamo una sensazione di fuoco nello stomaco e ci convinciamo
che manipura chakra si sia
risvegliato. Percepiamo una sensazione strana nel cuore e ci convinciamo che anahata chakra si sia risvegliato.
È anche possibile che questi
centri si risveglino, ma il problema è che non siamo in grado di canalizzare
l'energia che si sta manifestando nel chakra.
Non solo non siamo in grado di canalizzare l'energia, ma non possiamo nemmeno
gestire i cambiamenti che stanno avvenendo nei nostri pensieri e nella
consapevolezza, dovuti a ciò. Vogliamo risvegliare tutto ma rimanendo gli
stessi all’esterno, senza nessun cambiamento. Volete fare un bagno o un tuffo
nel fiume, ma non volete bagnarvi: questo è impossibile. Quando ci tuffiamo nel
fiume ci bagniamo, però pensiamo: “Oh no, non voglio cambiarmi i vestiti ora,
voglio rimanere asciutto!” Ma il desiderio di nuotare nel fiume rimane sempre
lì.
Seguire
i gradini
Molte di queste situazioni si
presentano nella vita perché tendiamo a saltare da uno stadio a quello
successivo. Ma lo yoga dice: “No. Se
desideri trarre il massimo beneficio dallo yoga,
segui i gradini, così come sono stati definiti”. Gli yogi che si sono evoluti in questo sentiero non erano degli idioti.
Erano grandi pensatori, psicologi e psichiatri. Hanno compreso la natura della
mente umana e le difficoltà che si possono incontrare nel corso della vita. Per
evitare problemi hanno creato un sistema in cui si deve perfezionare per primo un
aspetto, poi un secondo, un terzo e poi un quarto.
Quando s’inizia a seguire una
sequenza nello yoga e ad integrare
quella sequenza nella nostra vita, avviene una bellissima esperienza. Come dice
Paramahamsaji: “La vita è il mistero della fioritura e ogni apertura è
bellissima”. In realtà non sappiamo come un fiore sbocci: è un mistero della
vita, un mistero cosmico. Ogni apertura nella vita è bellissima. La natura
segue un sistema, Dio segue un sistema, l'intero universo si basa su un
sistema. Tale sistema è positivo, non è negativo. È un sistema positivo che,
attraverso il processo d’evoluzione, conduce all'esperienza totale dell’illuminazione.
L'illuminazione è l'apertura
della coscienza, non è la chiusura della coscienza. Molte persone, nel corso
della pratica di yoga, tendono a
chiudere la loro coscienza, a limitare la loro visione. Questo non è l'obiettivo.
Nel momento in cui s’inizia a limitare sé stessi, si fa esperienza di uno stato
negativo, non di uno positivo. Non sto parlando di un sistema nella forma di
una struttura organizzata che può creare qualche forma di cambiamento nella
vita. Sto parlando di un sistema nel senso di una progressione. Questo sistema
yogico è già presente. Non dovete crearlo: dovete solo passare attraverso di esso.
Nel mondo siamo in grado di creare un sistema, ma nel sentiero dell’evoluzione
non possiamo creare un sistema perché esso è già lì. Il sentiero è già
impostato: è solo questione d’intraprendere un cammino continuo. Questo è il
messaggio dello yoga.
Vivere
in armonia con il tutto
Nello Yoga Sutra di Patanjali si afferma che attraverso la disciplina è
possibile canalizzare le emozioni e le fluttuazioni, o modificazioni, della
mente. Dopo la canalizzazione delle emozioni e delle attività della mente
interiore, è possibile raggiungere una fase in cui si può sperimentare la
natura sattvica del Sé, la natura della luce, di sattwa. Mentre, a causa delle nostre idee preconcette, la
disciplina diventa una struttura che creiamo nella nostra vita. Nello yoga non creiamo la disciplina:
diveniamo consapevoli della disciplina che esiste già. Tale struttura è
l'aspetto unificante di tutto il cosmo e dell'essere individuale. Siamo parte
di un tutto più grande e dobbiamo vivere, svolgere il nostro ruolo. Ma questo
ruolo non è soltanto mio: è mio in relazione al tutto, a qualcosa di più
grande.
Un
programma d’intervento
Facciamo progetti per la
nostra vita senza cercare di cambiare noi stessi quando ci imbattiamo in una
situazione nuova. Come dice Paramahamsaji, non abbiamo un programma
d’intervento. Queste sono le parole che Paramahamsaji usa sempre. Agiamo nella
vita senza un programma d’intervento. Ci deve essere una pianificazione così
come una preparazione per far fronte alle situazioni della vita. Se sto andando
da qualche parte e durante il viaggio inizia a piovere, cosa accadrà? Avrò bisogno
di prendere un ombrello o un impermeabile. Se non mi organizzassi prima e
cominciasse a piovere mentre sono fuori, il mio viaggio sarebbe rovinato.
C'è un detto: “Scava un pozzo se hai sete,
altrimenti non pensare al pozzo, non è necessario”. Quando siamo assetati,
cerchiamo di scavare il pozzo, ma non seguiamo il procedimento corretto, perché
vogliamo evitare certe fasi che riteniamo inutili al momento. Mentre, lo yoga dice: “No. Pensate all'approccio
che dovete avere e seguitelo nel modo corretto, perché la vita è troppo
preziosa per essere sprecata in prove ed errori.”
Nel corso della nostra vita,
che sia di 60 o di 80 anni, abbiamo molte cose da fare, non solo esterne e
sociali, ma anche in relazione alla nostra natura interiore. Facciamo dei
progetti per la vita esteriore. Cerchiamo di fare un programma anche per la vita
interiore. Facciamo un programma quando partiamo per un viaggio, facciamolo
anche quando pratichiamo yoga. La programmazione deve esserci, e questa
programmazione è già esistente. È solo questione di seguire la sequenza così
com’è stata definita.
Sviluppare
l’auto-osservazione
Yoga non è
soltanto una pratica fisica, è anche un cambiamento di attitudine. Molte volte
quando incontriamo alcune difficoltà nel corso del nostro sadhana, chiediamo aiuto. Questo è perfettamente legittimo.
Dobbiamo chiedere aiuto. Abbiamo bisogno di una guida, di alcune istruzioni su
come uscire da quella fase. Ma quando abbiamo bisogno di avere questo tipo di
aiuto, significa semplicemente che non abbiamo perfezionato la fase precedente
dello yoga. Non siamo stati in grado
di cambiare la nostra attitudine, percezione e prestazione. Non stiamo
praticando in conformità con le nostre abilità. Non abbiamo alcuna conoscenza
dei nostri punti di forza.
Per questo motivo ho
sviluppato la teoria SWAN. È
una teoria di pratyahara. La parola SWAN rappresenta le nostre forze (Strength),
debolezze (Weakness), ambizioni (Ambition) e bisogni (Need). Tutti noi abbiamo
dei punti di forza, delle debolezze, delle ambizioni e dei bisogni, ma non
siamo consapevoli di quali essi siano. Non sappiamo ciò che siamo e ciò che è
contenuto dentro la nostra testa. Non siamo consapevoli di noi stessi. Non
possiamo nemmeno sviluppare la nostra consapevolezza nella misura in cui
l'osservazione diventi una forza. La nostra osservazione è limitata alla
direzione, all’area in cui la nostra consapevolezza sta guardando in questo
momento.
La nostra consapevolezza è
limitata così come la vista. Se guardo avanti, non posso guardare indietro; se
guardo un lato non riesco a guardare l'altro. Siamo consapevoli solo di ciò che
sta accadendo nel campo della nostra consapevolezza. Tuttavia, sviluppando il
potere di auto-osservazione, possiamo essere consapevoli di un’area più ampia.
Possiamo divenire consapevoli di tutto il quadro, non solo di quella parte
verso cui stiamo dirigendo l’attenzione in questo momento.
Yama
e niyama
Per sviluppare questo potere
di auto-osservazione, per realizzare la natura, la struttura interiore, per
comprendere le dimensioni dell'esperienza umana, non abbiamo bisogno di
praticare né la concentrazione né la meditazione. Abbiamo solo bisogno di
seguire delle linee guida, come enunciate nella pratica di yama e niyama. Questi sono
aspetti molto importanti dello yoga. Yama e niyama non sono discipline. Sono modi per superare i limiti, le
restrizioni della nostra mente e dell'ego.
Saucha
significa pulizia. Cosa significa pulizia per noi? Un corpo pulito, un ambiente
pulito, una casa pulita, una stanza pulita, aria pulita. Ma la pulizia qui
significa una mente pulita. Non ci dovrebbero essere spazzatura, negatività o
conflitti all'interno della testa. Ci dovrebbe essere totale chiarezza di
pensiero, idee e conoscenze, non confusione. Il concetto di pulizia non è
esterno o superficiale. È armonia delle esperienze mentali, emotive e
psichiche.
Santosha
significa contentezza. È molto facile dire 'Sono felice così come sono', ma
siamo davvero felici così come siamo? Se siamo felici così come siamo, perché
combattiamo con noi stessi, con il nostro ego? Perché lottiamo alla ricerca di
ulteriore felicità nella vita? Perché non possiamo solo 'essere'? Perché
dobbiamo mettere differenti maschere in momenti differenti? Perché non possiamo
semplicemente rimanere senza una maschera? Perché non possiamo accettare di
essere ciò che siamo con tutte le nostre carenze e difetti? Perché non
riusciamo a comprendere d’avere carenze e difetti? Perché dobbiamo nascondere le
nostre carenze e difetti? Nel momento in cui cerco di nasconderli a me stesso,
perdo lo stato di contentezza.
Satya è la verità,
la consapevolezza di come ci esprimiamo nella vita. Siamo in grado di esprimere
noi stessi in modo positivo, creativo? Siamo sinceri in quello che facciamo? Si
deve sviluppare questo tipo di consapevolezza riguardo alle azioni che vengono
eseguite, esternamente ed interiormente. Satya
non significa dire la verità, ma essere sinceri con noi stessi. Significa
osservare la sincerità dentro di noi. Ci nascondiamo da noi stessi? Ci
nascondiamo dalle nostre debolezze? Evitiamo di confrontarci con esse? Se lo
facciamo non siamo sinceri con noi stessi. Questo è il concetto di satya.
Ahimsa
significa non-violenza, che riguarda non solo l'espressione della rabbia, dell'odio,
della gelosia e del rancore. Piuttosto è l’eliminazione della limitante e
restrittiva consapevolezza negativa; è l'assenza di ostilità, di conflitto tra
il pensiero e il sentimento così come nell'azione.
Queste sono alcune idee che
sono state ben definite nella pratica di yama
e niyama, in modo che, attraverso la
loro pratica, possiamo modificare la struttura della nostra personalità
interiore e sperimentare una crescita interiore e la libertà. Ognuno di noi
deve sviluppare una comprensione di yama
e niyama.
Conoscenza
applicata
Quindi, dovremmo ricordare che
se vogliamo ottenere un completo beneficio dallo yoga, non dovremmo imporre le nostre idee personali sulle pratiche
o sui concetti dello yoga. Piuttosto
dovremmo cercare d’integrare gli insegnamenti dello yoga nella nostra vita al meglio delle nostre capacità ed
applicarli in tutte le situazioni ed in ogni momento. In questo modo possiamo
ottenere la saggezza. La conoscenza è un processo intellettuale, ma quando
iniziamo ad applicarla praticamente nella nostra vita, questa conoscenza
diventa saggezza. La conoscenza diventa saggezza quando è applicata nella vita.
La conoscenza rimane conoscenza, quando sappiamo qualcosa, ma non la
applichiamo nelle nostre situazioni o circostanze.
Come aspirante di yoga, studente di yoga, yogi, sannyasin, qualunque possa essere il
nostro ruolo nel mondo dello yoga, i
nostri sforzi dovrebbero essere sempre rivolti ad applicare ciò che sappiamo e
non a riempirci con diversi punti di vista ed idee che ci portano a sbagliare o
a perdere la direzione nella nostra vita. Questo è il messaggio che Paramahamsaji
ci ha dato. Ho trovato questa ispirazione nei suoi satsang.
Le pratiche di yoga, che siano asana, pranayama o
meditazione, vanno tutte bene. Dovremmo cercare di praticarle ma, insieme a
queste pratiche, dobbiamo anche cercare di capire la realtà dietro l'apparenza esterna.
Non è tutto oro quel che luccica. Come facciamo a sapere che non è oro?
Dobbiamo guardare dietro l'apparenza e solo allora diventeremo un vero Yoga Sadhaka.
Cos'è l'amore incondizionato?
Invece di definire la
parola “amore”, vogliamo dare una definizione del termine “incondizionato”; che
nella Bhagavad Gita trova la
spiegazione migliore. “Condizionante” è qualcosa con cui viviamo dal momento
della nostra nascita e con cui continueremo a vivere seguendo una serie di modi
di pensare, comportamenti, azioni, sentimenti, osservazioni, analisi e
critiche. È un condizionamento della personalità l’aspettativa, il desiderio o
il voler essere come questo o come quello. Vogliamo progettare questo,
raggiungere quello, ottenere quest’altro e un tale stato condizionato
rappresenta l’Io – me stesso,
l’identità. Se non c’è identità, non c’è nessun condizionamento.
Questo è il concetto
espresso nella Gita. Anche quando
espone il karma yoga e il bhakti yoga, lo yoga della depressione, il samadhi
yoga e il karma sannyasa yoga, qualunque
cosa affronti, la verità finale della Gita
è: “Essere liberi dai condizionamenti della vita”. Non abbiate nessuna
aspettativa su ciò che siete e, se potete essere semplicemente ciò che siete,
se potete stabilizzarvi nell’identità dello spirito e dissolvere l’identità
dell’Io allora, automaticamente, ogni esperienza e azione diverranno
incondizionate.
In un paragrafo della Gita in riguardo all’azione è scritto:
“Eseguite un’azione ma non siate attaccati ai suoi frutti. Non abbiate
aspettative ma cercate di fare ogni cosa al massimo della perfezione, non
importa quanto possa essere semplice il lavoro.” Anche in riguardo alla
meditazione afferma: “Abbandonate il desiderio, lo scopo, la volontà, per poter
meditare.” Non si dovrebbe dire “Io”
sto meditando. Lì non c’è questo concetto. Vi è, semplicemente, la
consapevolezza dello stato meditativo in cui ci si trova internamente ed
esternamente con una consapevolezza più elevata.
Per quanto riguarda la bhakti, afferma che quando ci si sente attratti
verso qualcuno, quando si prova attaccamento verso qualcuno, quando si desidera
amare qualcuno, tutto ciò deve essere una cosa pura. È il concetto della
dualità che deve essere abbandonato ed è il concetto dell’unità che deve essere
realizzato. Se tu ami me e io
amo te, c’è l’idea di “io” e “te”; ma
se vedo me stesso in te e sento te dentro di me, chi amo? Amo me stesso? Mi dò
da solo una pacca sulla spalla? Io creo un rapporto psichico molto solido con
voi, che mi permette di fare esperienza di me stesso in voi e di voi dentro di
me. Questo è il concetto di “vita incondizionata”.
In questo concetto,
naturalmente, potete includere l’amore, l’azione o qualunque altra cosa. Questo
è uno dei più importanti allenamenti nello yoga:
per coloro che sono impegnati sinceramente nello yoga. Invece di vivere tra le nuvole per tutto il tempo, quando una
persona viene da voi, per poterla comprendere, per creare un rapporto con
quella persona, mettevi nei suoi panni. Diventate quella persona per cinque
minuti, identificatevi totalmente con quella persona per dieci minuti e saprete
com’è, com’è la sua personalità, come pensa, come si comporta, come lui o lei agisce.
Questa fusione deve avvenire spontaneamente, istantaneamente, per un secondo.
Poi potrete comprendere tutti i differenti tipi di personalità molto
facilmente. Un Guru ha questo tipo di
qualità. Quando una persona entra nella stanza in sua presenza, è esattamente questo
ciò che egli fa. Trasferisce la sua consapevolezza nell’altra persona per
appena una frazione di secondo e la/lo conosce totalmente. Allora potrà
facilmente relazionarsi e l’altra persona sentirà: “Ah, quest’individuo sa
molto di me”. Questo è lo stile di vita incondizionato.
Dobbiamo convivere con lo stress
“Lo
stress è sforzo. Lo sforzo è vita. La vita è progresso! Nella società ci deve
essere tesi, antitesi e sintesi. Deve esserci un braccio di ferro nella
società. Deve esserci un conflitto di classe. Senza conflitto di classe, la
società non progredisce.”
Swami Satyananda Saraswati
Hans Selye, che fu il primo a
considerare lo stress una ‘sindrome’, ripete lo stesso pensiero non filosofico.
Egli dice che lo stress non può essere evitato perché, indipendentemente da
cosa facciamo o da cosa ci accade, dal nostro sistema corpo-mente sorge una
richiesta per produrre l'energia indispensabile per compiere le operazioni
necessarie per mantenere la vita o per resistere e adattarci alle mutevoli
influenze esterne. Ad esempio, anche quando dormiamo siamo sotto stress, il
cuore deve continuare a fare il suo lavoro di pompare il sangue, gli enzimi
devono digerire il cibo nell'intestino, i muscoli devono muovere il torace per
permettere la respirazione. Selye dice che la completa libertà dallo stress è
la morte!
Selye definisce lo stress come
“la risposta non specifica del corpo a ogni sua richiesta’”. Ad esempio, se fa
freddo tremiamo per produrre più calore nel corpo. I vasi sanguigni della pelle
iniziano a restringersi, riducendo così al minimo la perdita di calore dalla
superficie del corpo. Al contrario, quando fa caldo, sudiamo e con l’evaporazione
del sudore dalla pelle il corpo perde il calore e si raffredda. Queste sono delle
normali risposte corporee d’adattamento all’ambiente. Tuttavia, adattandosi
alle variazioni ambientali, il sistema corporeo deve far fronte ad una maggiore
richiesta di riadattamento, prima di tornare alla normalità. Questa domanda di
‘riaggiustamento’, o di esecuzione di funzioni di adattamento del sistema corporeo prima di ristabilire la
normalità, è indipendente e in aggiunta alla risposta specifica del tremare o
del sudare. Questa richiesta aggiuntiva è non-specifica: non è pertinente
all'azione dell’agente specifico che crea la domanda. Questa richiesta di
attività non-specifica, secondo il Dott. Hans Selye, è l'essenza dello stress.
Si può avere stress sia a
livello fisico sia sul piano psicologico. Gli stress fisici sono quelli che
influiscono direttamente sul corpo, causando incidenti, ustioni e perfino
infezioni. Lo stress psicologico può manifestarsi sia come reazione allo stress
fisico sia indipendentemente, da emozioni come la paura, l’ansia, la tensione,
le preoccupazioni, la gelosia, la rabbia, l’odio e l’agitazione: tutto ciò che
provoca un conflitto emotivo.
Così, sebbene lo stress sia
comunemente ritenuto come qualcosa che crea una sensazione di ‘disagio’, il Dr.
Selye ed altri classificano lo stress in:
1) ‘Distress’, una situazione che crea una risposta sgradevole nel
sistema corporeo;
2) ‘Eustress’, una situazione piacevole ma che, tuttavia, richiede una
pronta capacità d’adattamento ad essa da parte del corpo.
La maggior parte dello stress
auto-indotto tende a essere eustress
o stress piacevole e, dunque, la radicata azione preparatoria del sistema
corporeo di ‘attacco-fuga’ non si verifica.
Secondo lo yoga, “le tensioni di base della mente
sono l'ignoranza della verità, l'egoismo, l'attaccamento, l'avversione e la
paura della morte”. (Patanjali, Yoga Sutra 2:3). Negli Yoga Sutra (1:2) Patanjali descrive così lo yoga:
“Yogaschitta vritti nirodhah” ossia “Quello che blocca gli schemi della coscienza
è yoga”. Questi due sutra
chiariscono che lo scopo principale dello yoga
è di eliminare le tensioni della mente, in modo da renderla idonea alle
pratiche spirituali più elevate. Perciò, quando si pratica yoga, si lavora sulla gestione dello stress!
Stress
normale e stress elevato
Abbiamo visto che ogni risposta
del sistema corporeo a uno stimolo crea uno stress, e che questo può essere
normale, come nel caso delle funzioni fisiologiche del corpo, oppure anomalo e,
in questo caso, il corpo si sentirà minacciato. Tuttavia, lo stesso fattore di
stress può essere percepito come ‘normale’, ‘elevato’ o ‘anormale’, in
relazione a come il cervello dell'individuo traduce lo stimolo ricevuto dagli
organi di senso. Quella che per una persona, o un tipo di personalità, è una
situazione normale, può essere anormale per un'altra. Tutti dobbiamo
costantemente gestire lo stress normale, ma lo stile di vita moderno, stressante
e competitivo costringe molti di noi ad agire continuamente ad un elevato
livello di prontezza all’attacco-fuga. Sotto queste condizioni, l'individuo è
sempre teso, suscettibile a grandi cambiamenti d’umore e in uno stato d’insoddisfazione.
Alcune persone potrebbero pensare di essere rilassate per la maggior parte
della loro vita ma, esperimenti hanno dimostrato che sono quasi costantemente
tesi, anche se non ne sono consapevoli. Come reazione a varie situazioni, anche
di natura irrilevante, tendono i muscoli, strizzano gli occhi o si mordono le
unghie. Questi tipi di azioni sono talmente abituali che non sono consapevoli
che stanno compiendo tali attività compensatorie.
Queste attività sono i
precursori dei malesseri psicosomatici e, quando una persona manifesta queste
tensioni, manifesta la reazione che il sistema nervoso simpatico e le ghiandole
surrenali sono intenti a produrre. Tali azioni sono piccole e insignificanti all'apparenza
esterna, ma indicano che internamente si stanno verificando dei cambiamenti
nella velocità del battito cardiaco, nella pressione del sangue, ecc.
La depressione e lo stress latenti
potrebbero rimanere “sepolti sotto le macerie” di altre attività, e quando
l'eccitazione nel cervello diventa alta, la depressione potrebbe continuare a
esser generata senza divenire evidente. Ma, se il livello di eccitazione cala
improvvisamente, a causa di un agente esterno, la depressione potrebbe
rivelarsi in modo drammatico. L'alcool, una crisi improvvisa e gli antidepressivi
sono tutti noti per determinare un abbassamento del livello di eccitazione.
Quando lo stress elevato diventa cronico potrebbe rimanere a livello
subconscio, influenzando i pensieri e il comportamento. Di tanto in tanto si
potrebbe avere una fase acuta con forte stress, tensione elevata o con attacchi
di panico.
Nello stato di stress cronico,
l’individuo sente che sta subendo, o è in procinto di dover far fronte a una
calamità, e quest’idea si fissa così tanto nella mente che gli sarà difficile,
e in certi casi impossibile, liberare la mente da quest’ansia. Durante una
sollecitazione normale, il nostro sistema corporeo usa energia in modo
efficiente per ridurre le tensioni interne ed esterne. Al contrario, durante
una fase di ansia nevrotica o di stress elevato, genera energia inappropriata e
superflua.
Lo yoga dà una profonda spiegazione dei differenti tipi di tensione.
Secondo Patanjali: “L'ignoranza della
realtà è la tensione originale dalla quale sorgono tutte le altre. Le tensioni
possono essere dormienti, lievi, diffuse e manifeste”. Fino a quando non si
giungerà alla conoscenza dell'essenza del proprio essere, ci sarà sempre
tensione ed infelicità, in una forma o nell'altra.
Le tensioni dormienti, o prasupta, sono radicate in profondità
nella mente subconscia e, quindi, l'individuo non ne è consapevole fino a
quando non si confronta con esse attraverso le pratiche yogiche. Le tensioni
lievi, o tanu, sono minori,
insignificanti; mentre quelle che portano nevrosi, fobie, depressione, ecc.
sono tensioni diffuse e disorganizzate, o vichchinna.
Attraverso lo yoga, possiamo
liberarci definitivamente da queste tensioni nel momento in cui accettiamo noi
stessi per quello che siamo ed armonizziamo le nostre pulsioni interiori. Le
tensioni dovute alle interazioni quotidiane appartengono al quarto gruppo,
quello delle tensioni manifeste, o udara.
Così lo yoga classifica l'intero
spettro delle tensioni, da quelle grossolane a quelle sottili.
Come
ci si libera dall’ignoranza?
L’ignoranza di swarupa, cioè della propria reale
natura, che causa infelicità e stress, viene lentamente dissolta dalla luce
della comprensione che giunge dalla regolare pratica di yoga. In realtà, la mente stessa è fonte d’ignoranza, poiché opera
sul principio della separazione e delle differenze, e quest’ignoranza
lentamente si dissolve man mano che l’individuo ottiene maggiore comprensione
della natura della mente e, in fine, andando oltre la mente. È la mente che
provoca la falsa identificazione della coscienza con il sistema corpo-mente.
Quando si realizza viyoga (separazione)
della coscienza dal corpo-mente, ci si sta muovendo verso l’eliminazione dell'ignoranza di base e, di conseguenza, di tutte le
altre cause minori d’infelicità.
Robert Linssen descrive
l’ignoranza nel libro intitolato “Vivere lo Zen” con un'analogia della vita
moderna:
“L'umanità può essere
paragonata a due miliardi e mezzo di levrieri che corrono all'inseguimento di
una lepre meccanica su una pista. Questi levrieri umani sono rigidi, tesi,
avidi e violenti, ma lo Zen (yoga)
tenta d’insegnar loro che ciò che credono essere una lepre, in realtà è solo un
inganno meccanico. Nell'attimo in cui l'uomo realizza pienamente cos’è
sottinteso in questa verità, ‘lascia andare’ e all'amarezza delle sue lotte e
della violenza seguono il rilassamento, la pace, l’armonia e l’amore.
Le conseguenze di un tale
rilassamento sono immense, non solo per la salute fisica, nervosa e mentale
dell’uomo come individuo, ma, anche, per l'umanità intera.”
La sofferenza come Sadhana
Swami Satyananda Saraswati
Danimarca, 26 aprile 1982
Danimarca, 26 aprile 1982
Il dolore fisico rafforza il sistema nervoso
e l'agonia mentale rafforza la
mente. Le difficoltà fisiche
rendono il corpo forte. Questo è il principio, ma
la maggior parte delle persone ha
difficoltà ad accettarlo, perché nessuno vuole
provare dolore, tormenti mentali,
disturbi fisici e scomodità. Ogni volta
che ci troviamo tra i piaceri
della vita, la mente regredisce
in uno stato tamasico
perché in questa situazione non vi è alcun
conflitto. I conflitti sono quasi tutti risolti,
o forse soppressi, perché tutto
è piacevole. Ricevere
piacere e conforto dalle nostre
amicizie e stabilizzarsi in
situazioni comode mette fine alla
nostra evoluzione fisica, mentale ed
emozionale. La chiave per l'evoluzione
è il conflitto, uguale e contrario.
Il ruolo del conflitto
La mente si evolve dallo stato tamasico
a quello
rajasico e dal rajasico
al sattvico. La sua progressione è divisa in cinque
fasi:
offuscamento,
dissipazione,
oscillazione,
unidirezionalità
e controllo.
Queste cinque
fasi
della mente spaziano
su tre livelli. Il livello di tamas
è prevalentemente,
o totalmente,
offuscato.
È offuscato
perché non c’è
nessun conflitto, desiderio, frustrazione, agonia, niente del genere. Che
vada tutto bene o no, non fa alcuna differenza. Vi sono costantemente dei
compromessi. In
questo modo la mente può evitare di dover agire, sia per raggiungere qualcosa sia per far fronte alla delusione. Questo è esattamente il motivo per cui lo yoga
inizia con
delusioni,
depressioni
mentali
e frustrazioni.
Tutti hanno delle aspettative. Se siete sposati o single, uomini d'affari o swami,
padri di famiglia
con
un lavoro stabile
o
vagabondi
senza casa,
vi aspettate qualcosa
dalla vita.
E
quando vi aspettate
qualcosa
dalla vita, vi state
evolvendo
in
una particolare
direzione. Se la vostra aspettativa è soddisfatta, questa direzione non incontra ostacoli. Quando ottenete ciò che volete, che si tratti di denaro, amore, amicizia, potere, pace, cooperazione o qualsiasi altra cosa,
ne godrete i frutti,
ma
ciò non aiuta
a sviluppare
il regno
della consapevolezza.
Supponiamo che si lavori per un certo obiettivo
per molti anni e,
alla fine, si
capisca che non
è possibile
raggiungerlo.
Che succede?
Nella mente si sviluppa un certo tipo di consapevolezza che prende la forma della frustrazione, dell'angoscia mentale, della preoccupazione, dell'ansia
e del conflitto.
Ciò
significa che avete
iniziato a
combattere.
Se c'è frustrazione o depressione nella mente, ma nessun conflitto, si perde la battaglia. Ma, se vi è frustrazione e conflitto,
allora si accetta
la sfida.
Una volta accettata
la sfida,
il conflitto
è seguito dalla
lotta.
Certamente, la lotta non è mai senza conflitto, ma il conflitto può essere senza lotta. Questa lotta porta avanti e indietro e da un punto ad un altro.
Di tanto in tanto
le idee
e le valutazioni
della vita
subiscono
cambiamenti, perché non si è decisi su quello che si vuole fare. Un momento si sta per fare una certa cosa e il successivo un’altra. Ciò significa che state portando la mente allo scontro tra due idee, e questo confronto diretto dà slancio allo sviluppo della consapevolezza e della mente.
Lo scopo della sofferenza
Quando la mente è combattuta tra due idee, vi è sicuramente sofferenza fisica e mentale. Questa, però, è un'esperienza positiva
perché,
non
solo
si sta cercando di
porre fine
alla
sofferenza,
ma
si sta anche
cercando di capire il significato dietro la sofferenza
o
di trascendere
l'esperienza della
sofferenza. Pertanto, se chi soffre mentalmente riuscisse ad accettarlo,
avrebbe
esperienze
spirituali più profonde, elevate e durevoli.
Tuttavia, la maggior parte delle persone ha la mente debole e soffre di mancanza di volontà. Vuole che la propria vita trascorra
piacevolmente
e senza intoppi.
Desidera
amici
simpatici,
figli obbedienti,
genitori
amorevoli,
una società
accogliente,
una casa lussuosa
con riscaldamento
centralizzato e molto denaro. Perché? Perché non vuole che la propria mente
sia soggetta alle preoccupazioni.
Questo è chiamato
tamoguna, o lo stato ottuso
della mente.
Quando la mente diventa sattvica – pressoché unidirezionale o completamente controllata - non importa se le circostanze della vita
siano piacevoli
o
spiacevoli.
Non
fa alcuna differenza,
purché
l'evoluzione
della mente sia
interessata.
Le persone disposte
a soffrire
sono quelle
che sopravvivono
alle
disgrazie emotive,
politiche e a
tutte
le catastrofi
naturali.
Queste persone
hanno permesso
all'umanità
di sopravvivere
per tutti questi
milioni di anni.
Proprio allo scopo di rafforzare la resistenza, lo yoga
e
altre
scienze simili,
consigliano di
esporsi
a
qualche piccola
sofferenza. Infatti,
per chi ha tutte le
comodità e vive una vita lussuosa,
la
sofferenza
volontaria, o ciò che noi chiamiamo tapasya,
penitenza
o
austerità,
è una pratica
essenziale
se si vuole progredire nella vita spirituale.
Per qualche tempo si rinuncia a tutte le comodità, al cibo gustoso, ai bei vestiti, a una bella casa, ecc, e si vive una vita semplice. Naturalmente questa non può essere la struttura permanente della vita: si vive così per un periodo, come allenamento.
In questo periodo
avviene un
riorientamento
della mente.
Tutte
le
cattive abitudini,
i falsi valori
della vita
e la tendenza alle
dipendenze della mente sono completamente sradicati e, allo stesso tempo, si sviluppa la sicurezza. Un uomo che
riesce a sopportare qualsiasi
forma di sofferenza, si può solo immaginare quanta sicurezza ha!
Nei libri di storia si può leggere di molte persone che sono state esposte alla sofferenza.
Sono quelli
che hanno
compiuto
atti di
coraggio,
che sono
passati alla storia
e sono
ricordati
ancora
oggi.
Sadhaka, yogi,
swami e capifamiglia dovrebbero ricordare che
un periodo della
vita
deve essere dedicato
alla sofferenza
auto imposta. Questa
è una delle parti più importanti dello
yoga.
La sofferenza auto imposta elimina il karma
In relazione al karma,
devo dirvi,
che quando si vive
in
un ambiente piacevole,
con genitori
e amici amorevoli o
una moglie
o un marito cari
e
quando si ha
un’accogliente casa
e condizioni
confortevoli,
non
si sta esaurendo
il proprio
karma. Lo si sta proteggendo e, a un certo punto, lo si dovrà affrontare. Si può anche desiderare di non voler
affrontare
la tigre né ora né
mai, ma la dovrete affrontare, prima o poi.
Non si può
bypassare
il karma e voi lo sapete.
Per esaurire il karma,
dobbiamo
pianificare delle
sofferenze
per noi
stessi,
secondo le nostre
capacità fisiche.
Esse possono
aiutarci a esaurire i karma,
in modo che non
influenzino più la mente. Quando si pratica antar mouna
si passa attraverso
le esperienze
del passato,
il subconscio,
l'inconscio,
i suoni,
gli
incontri,
l'amore,
l'odio,
la nevrosi,
la
psicosi,
la
schizofrenia,
ecc.
Li rivivete e
ciò facilita la situazione. Ma, per eliminare completamente
i semi
del karma, si deve praticare tapasya.
Allora,
anche se
si potrebbero
ricordare esperienze passate nei dettagli, esse
non hanno nessuna
incidenza sui processi della mente. Non influenzeranno la vostra personalità o il vostro comportamento,
né il corso degli
eventi della vita.
Il
sentiero della sofferenza
Ci sono molti modi di praticare tapasya. Lo stile di vita sannyasa,
all’inizio, è
una leggera forma di
tapasya, o austerità. Il digiuno è un’austerità e così l'osservanza della veglia. Fare
la veglia
significa
stare
senza dormire
per una notte
e mantenere
una
consapevolezza
costante.
Beh,
è facile
andare
al pub
e
bere
tutta la notte
o
rimanere a
una
festa per tutta
la notte,
ma non è
ciò che intendo per
veglia. Veglia significa mantenere una consapevolezza non duale per un periodo prolungato.
Naturalmente
questo non è
qualcosa che si
possa fare ogni mese. Basta provare una o due volte l'anno. Se si decide di fare la veglia stanotte, non penso si debba dormire tutto il giorno
in modo da non avere
sonno
durante la notte.
Si dovrebbe
fare esperienza
della
sonnolenza durante
la veglia,
perché
è
quando
si controlla
il sonno
che
ci si avvicina
a un'esperienza.
Anche mouna,
il silenzio,
è
una forma di
tapasya. Può essere praticato un paio di volte l’anno. Dall'alba di un giorno fino all'alba del giorno dopo, non parlate con nessuno. Si dovrebbe evitare anche di scrivere
messaggi
su un foglio
o
usare dei segnali.
Rimanete
soli e
vivete la sensazione
che non esista nessun altro. Questo aiuterà non solo a intensificare la
consapevolezza, ma anche a rendere più consapevoli della consapevolezza stessa.
Si giungerà a conoscere meglio sé stessi, in modo da divenire più consapevoli
degli impulsi sensoriali, dei movimenti della mente e del movimento delle
esperienze interiori.
Dietro questa coscienza superficiale,
dietro
ai pensieri che
si osservano
in
antar mouna,
dietro
alle sensazioni
e alle
emozioni
che a volte si hanno,
c'è qualcos'altro.
Io la chiamo
“consapevolezza”.
Anche se
non ha forma
e non può
essere
classificata,
a volte
potete percepire
come un fulmine.
È proprio
lì.
Se
si riesce a
mantenere costante questa consapevolezza, prenderà il nome di “esperienza”, e ciò è possibile per la maggior parte di noi.
Questa consapevolezza è la base della mente. Scegliendo, accettando e seguendo il sentiero della sofferenza, ci si può sicuramente avvicinare al sé interiore.
Tuttavia, ci sono delle regole e dei regolamenti
che
devono essere
osservati quando si sceglie la via della sofferenza.
Non si dovrebbe mai
praticare
austerità
in
un modo o
al punto
che il vostro corpo
si ammali.
Occorre
essere sensibili e
cauti, altrimenti ci si potrebbe
ammalare di
polmonite, di epatite o di qualche altra malattia. Seguite le vostre capacità, passo dopo passo.
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