Swami Niranjanananda Saraswati
Satsang a Rocklyn Ashram,
Australia, Aprile 1995
Vorrei parlarvi di alcune cose
riguardanti la pratica, la comprensione e l’approccio allo yoga. Noi crediamo che lo yoga
sia un insieme di pratiche, limitate ad asana,
pranayama, mudra, bandha, shatkarma e tecniche di meditazione.
Oltre a questi aspetti pratici, crediamo che il resto dello yoga sia puramente filosofico, che si
tratti di bhakti yoga, karma yoga, jnana yoga o qualsiasi altra
forma di yoga. Tendiamo a fare delle
analisi mentali di questi diversi tipi di yoga.
Se il karma yoga dice questo, come
posso io, con il mio attuale modo di pensare, assimilarlo? Se il bhakti yoga significa questo, allora
come posso, nel mio ambiente, cercare di comprenderlo? La nostra osservazione
manca di un punto molto importante.
Lo yoga non è una filosofia, né una pratica. C'è una parte dello yoga che è pratica, ma gli altri aspetti
danno solo il messaggio di pensare, vivere e agire correttamente. È nella
natura degli esseri umani pensare sempre a come trarre il massimo beneficio da
qualcosa. Molte volte, quando cerchiamo di modificare ed adattare le pratiche
di yoga secondo la nostra natura e
personalità, le alteriamo così tanto che perdiamo la direzione principale dello
yoga. Questa è la nostra natura.
Vi farò un esempio. Noi crediamo
che il bhakti yoga sia lo yoga della devozione, così la devozione
diventa un’attività esteriore. Crediamo che il karma yoga sia lo yoga
dell'azione e l’azione diventa un’attività esteriore. Crediamo che jnana yoga sia lo yoga della conoscenza e questo diventa un processo di ginnastica
intellettuale. Sappiamo che il kundalini
yoga è il risveglio dell'energia sotto forma di kundalini allo scopo di sperimentare l’evoluzione della consapevolezza
umana. Ma, siamo così intrappolati nelle nostre esperienze psicologiche,
mentali ed emotive che non sperimenteremo mai il risveglio reale. Quando
tentiamo di modificare ed adattare le pratiche yogiche in base al nostro modo
di pensare, deviamo dalla direzione dello yoga.
Karma
yoga: azione, aspettativa e perfezione
Questo è un problema che ho
incontrato molte volte nei rapporti e nelle relazioni con le altre persone.
Sovrapponiamo le nostre idee ed aspirazioni alle pratiche di yoga che stiamo eseguendo. Se sentiamo
qualcuno dire che il karma yoga è lo
yoga dell'azione, senza avere alcuna aspettativa e cercando di fare ogni azione
con totale perfezione, immediatamente l’aspetto dell’Io della nostra personalità, l'identità dell’Io, inizia ad analizzare ciò che è stato detto. Iniziamo ad
analizzare come l'Io possa
comprendere l'idea di fare un'azione senza aspettativa e con perfezione.
Quindi, inizio a pensare in
tre modi diversi. Il primo aspetto è l'azione. Sviluppo la mia comprensione
dell'azione. Se sono una persona estroversa, considererò come azione il lavorare
in un settore, in cucina o in ufficio. Se sono una persona introversa,
considererò azioni il mio comportamento, le mie espressioni, come tratto le
persone o come mi relaziono con gli altri. E questo diventa il nostro concetto
di azione.
Ora arriva il secondo aspetto
che è quello di non avere aspettative. Nel momento in cui dico a me stesso: “Non
devo avere nessuna aspettativa”, l'Io
mi mette di fronte i concetti di desiderio, sicurezza, soddisfazione e
appagamento. Così inizio a pensare: “Beh, se non devo avere nessuna
aspettativa, come ne vengo fuori? Se non devo avere nessuna aspettativa del
risultato, come posso sciogliere il dilemma che
si sta creando dentro di me: lasciar andare ciò che voglio ottenere, ciò che
naturalmente e normalmente ci si aspetta come risultato?” Noi diciamo: “Io vivo
nel mondo dove si ha a che fare con le aspettative. Non posso praticare karma yoga: dovrei abbandonare tutto”.
Entrano in scena questi tipi di pensieri e idee.
Poi vi è il terzo aspetto: la
perfezione. Il concetto di perfezione è anch’esso distorto dall'idea che ne abbiamo
nella nostra mente. Come posso rendere ogni mia azione perfetta se non ricevo
sostegno, incoraggiamento e feedback dalle persone intorno a me?
Sviluppando questi tipi di
pensieri ci creiamo le nostre immagini e concetti di aspettativa, perfezione e azione.
Qualunque cosa non soddisfi le nostre convinzioni non viene accettata. Semplicemente
la rifiutiamo dicendo: “No, non è possibile per me fare questo. Io aspiro a
realizzare molti obiettivi nella vita”. Questo è un esempio.
Gli
otto gradini del raja yoga
La stessa cosa vale con il raja yoga. Sappiamo che c'è una sequenza
nel raja yoga, l'ottuplice sentiero
di yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana che porta al samadhi. Ma, quanti di noi hanno seguito questa sequenza con
sincerità? Quanti di noi stanno cercando d’integrare l'aspetto di yama e niyama nella vita? Pochissimi: si possono contare sulle dita di una
mano. Crediamo che yama e niyama siano aspetti morali dello yoga che non ci riguardano, perché noi
siamo differenti. Iniziamo con asana
e pranayama perché fanno bene al
corpo. Il corpo libera l’energia e diventa più flessibile.
Poi, dopo essere passati attraverso
le pratiche di asana e pranayama, diciamo: “Okay, ora praticherò
dhyana”. Ci muoviamo verso lo stato
meditativo creando certe immagini, fantasie e idee di ciò che dhyana dovrebbe essere o come potremmo
praticarlo. Ignoriamo le pratiche di pratyahara
e dharana. Solo nei momenti di difficoltà,
quando scopriamo di non riuscire affatto a meditare, ricorriamo alle pratiche
di pratyahara e dharana. Allora chiediamo a qualcuno: “Non riesco a concentrarmi
correttamente. Come posso superare questo problema?” Quella persona ci dirà di
praticare trataka al fine di
sviluppare la concentrazione e così lasceremo dhyana per ritornare indietro a dharana
ed iniziare la pratica di trataka.
Dopo qualche tempo diciamo a
noi stessi: “Okay, ho fatto un mese di pratica di trataka. Non è necessario fare di più, tornerò al dhyana”. Quando inizieremo la
meditazione, ci confronteremo di nuovo con le nostre negatività e positività, il
desiderio e la repulsione, le forze e le debolezze, che creano un altro
scombussolamento. Quando ci confrontiamo con le nostre debolezze, diciamo a noi
stessi: “Non so perché sto ottenendo questi risultati nella meditazione. Dovrei
sentirmi bene, ma sto diventando sempre più depresso. Non so perché non sto
avendo esperienze positive nella mia meditazione; le altre persone hanno
esperienze molto positive”.
Quindi consultiamo qualcuno
che ci dice: “Guarda, se incontri queste difficoltà nella tua pratica, dovresti
tornare alle pratiche di pratyahara.
Pratica antar mouna, antar darshan o hamsa dhyana ed osserva ciò che accade interiormente. Quando avrai
una visione completa e sarai in grado di affrontare l'arrivo delle emozioni, dei
sentimenti e dei pensieri, allora potrai tornare alla pratica di dhyana”. Così, ancora una volta,
tornerai a pratyahara.
Kundalini
Yoga
Ci sono alcune cose che
riteniamo irrilevanti o inutili per noi ed altre a cui diamo grande importanza,
ma non abbiamo la giusta preparazione per esse: kundalini yoga o kriya yoga,
per esempio. Dopo aver praticato hatha
yoga per un anno decidiamo di passare al kriya yoga. Sentiamo una sensazione di formicolio lungo la colonna
vertebrale e ci convinciamo che la nostra kundalini
si stia attorcigliando e girando, che si stia risvegliando dal suo stato
dormiente. Percepiamo una sensazione di fuoco nello stomaco e ci convinciamo
che manipura chakra si sia
risvegliato. Percepiamo una sensazione strana nel cuore e ci convinciamo che anahata chakra si sia risvegliato.
È anche possibile che questi
centri si risveglino, ma il problema è che non siamo in grado di canalizzare
l'energia che si sta manifestando nel chakra.
Non solo non siamo in grado di canalizzare l'energia, ma non possiamo nemmeno
gestire i cambiamenti che stanno avvenendo nei nostri pensieri e nella
consapevolezza, dovuti a ciò. Vogliamo risvegliare tutto ma rimanendo gli
stessi all’esterno, senza nessun cambiamento. Volete fare un bagno o un tuffo
nel fiume, ma non volete bagnarvi: questo è impossibile. Quando ci tuffiamo nel
fiume ci bagniamo, però pensiamo: “Oh no, non voglio cambiarmi i vestiti ora,
voglio rimanere asciutto!” Ma il desiderio di nuotare nel fiume rimane sempre
lì.
Seguire
i gradini
Molte di queste situazioni si
presentano nella vita perché tendiamo a saltare da uno stadio a quello
successivo. Ma lo yoga dice: “No. Se
desideri trarre il massimo beneficio dallo yoga,
segui i gradini, così come sono stati definiti”. Gli yogi che si sono evoluti in questo sentiero non erano degli idioti.
Erano grandi pensatori, psicologi e psichiatri. Hanno compreso la natura della
mente umana e le difficoltà che si possono incontrare nel corso della vita. Per
evitare problemi hanno creato un sistema in cui si deve perfezionare per primo un
aspetto, poi un secondo, un terzo e poi un quarto.
Quando s’inizia a seguire una
sequenza nello yoga e ad integrare
quella sequenza nella nostra vita, avviene una bellissima esperienza. Come dice
Paramahamsaji: “La vita è il mistero della fioritura e ogni apertura è
bellissima”. In realtà non sappiamo come un fiore sbocci: è un mistero della
vita, un mistero cosmico. Ogni apertura nella vita è bellissima. La natura
segue un sistema, Dio segue un sistema, l'intero universo si basa su un
sistema. Tale sistema è positivo, non è negativo. È un sistema positivo che,
attraverso il processo d’evoluzione, conduce all'esperienza totale dell’illuminazione.
L'illuminazione è l'apertura
della coscienza, non è la chiusura della coscienza. Molte persone, nel corso
della pratica di yoga, tendono a
chiudere la loro coscienza, a limitare la loro visione. Questo non è l'obiettivo.
Nel momento in cui s’inizia a limitare sé stessi, si fa esperienza di uno stato
negativo, non di uno positivo. Non sto parlando di un sistema nella forma di
una struttura organizzata che può creare qualche forma di cambiamento nella
vita. Sto parlando di un sistema nel senso di una progressione. Questo sistema
yogico è già presente. Non dovete crearlo: dovete solo passare attraverso di esso.
Nel mondo siamo in grado di creare un sistema, ma nel sentiero dell’evoluzione
non possiamo creare un sistema perché esso è già lì. Il sentiero è già
impostato: è solo questione d’intraprendere un cammino continuo. Questo è il
messaggio dello yoga.
Vivere
in armonia con il tutto
Nello Yoga Sutra di Patanjali si afferma che attraverso la disciplina è
possibile canalizzare le emozioni e le fluttuazioni, o modificazioni, della
mente. Dopo la canalizzazione delle emozioni e delle attività della mente
interiore, è possibile raggiungere una fase in cui si può sperimentare la
natura sattvica del Sé, la natura della luce, di sattwa. Mentre, a causa delle nostre idee preconcette, la
disciplina diventa una struttura che creiamo nella nostra vita. Nello yoga non creiamo la disciplina:
diveniamo consapevoli della disciplina che esiste già. Tale struttura è
l'aspetto unificante di tutto il cosmo e dell'essere individuale. Siamo parte
di un tutto più grande e dobbiamo vivere, svolgere il nostro ruolo. Ma questo
ruolo non è soltanto mio: è mio in relazione al tutto, a qualcosa di più
grande.
Un
programma d’intervento
Facciamo progetti per la
nostra vita senza cercare di cambiare noi stessi quando ci imbattiamo in una
situazione nuova. Come dice Paramahamsaji, non abbiamo un programma
d’intervento. Queste sono le parole che Paramahamsaji usa sempre. Agiamo nella
vita senza un programma d’intervento. Ci deve essere una pianificazione così
come una preparazione per far fronte alle situazioni della vita. Se sto andando
da qualche parte e durante il viaggio inizia a piovere, cosa accadrà? Avrò bisogno
di prendere un ombrello o un impermeabile. Se non mi organizzassi prima e
cominciasse a piovere mentre sono fuori, il mio viaggio sarebbe rovinato.
C'è un detto: “Scava un pozzo se hai sete,
altrimenti non pensare al pozzo, non è necessario”. Quando siamo assetati,
cerchiamo di scavare il pozzo, ma non seguiamo il procedimento corretto, perché
vogliamo evitare certe fasi che riteniamo inutili al momento. Mentre, lo yoga dice: “No. Pensate all'approccio
che dovete avere e seguitelo nel modo corretto, perché la vita è troppo
preziosa per essere sprecata in prove ed errori.”
Nel corso della nostra vita,
che sia di 60 o di 80 anni, abbiamo molte cose da fare, non solo esterne e
sociali, ma anche in relazione alla nostra natura interiore. Facciamo dei
progetti per la vita esteriore. Cerchiamo di fare un programma anche per la vita
interiore. Facciamo un programma quando partiamo per un viaggio, facciamolo
anche quando pratichiamo yoga. La programmazione deve esserci, e questa
programmazione è già esistente. È solo questione di seguire la sequenza così
com’è stata definita.
Sviluppare
l’auto-osservazione
Yoga non è
soltanto una pratica fisica, è anche un cambiamento di attitudine. Molte volte
quando incontriamo alcune difficoltà nel corso del nostro sadhana, chiediamo aiuto. Questo è perfettamente legittimo.
Dobbiamo chiedere aiuto. Abbiamo bisogno di una guida, di alcune istruzioni su
come uscire da quella fase. Ma quando abbiamo bisogno di avere questo tipo di
aiuto, significa semplicemente che non abbiamo perfezionato la fase precedente
dello yoga. Non siamo stati in grado
di cambiare la nostra attitudine, percezione e prestazione. Non stiamo
praticando in conformità con le nostre abilità. Non abbiamo alcuna conoscenza
dei nostri punti di forza.
Per questo motivo ho
sviluppato la teoria SWAN. È
una teoria di pratyahara. La parola SWAN rappresenta le nostre forze (Strength),
debolezze (Weakness), ambizioni (Ambition) e bisogni (Need). Tutti noi abbiamo
dei punti di forza, delle debolezze, delle ambizioni e dei bisogni, ma non
siamo consapevoli di quali essi siano. Non sappiamo ciò che siamo e ciò che è
contenuto dentro la nostra testa. Non siamo consapevoli di noi stessi. Non
possiamo nemmeno sviluppare la nostra consapevolezza nella misura in cui
l'osservazione diventi una forza. La nostra osservazione è limitata alla
direzione, all’area in cui la nostra consapevolezza sta guardando in questo
momento.
La nostra consapevolezza è
limitata così come la vista. Se guardo avanti, non posso guardare indietro; se
guardo un lato non riesco a guardare l'altro. Siamo consapevoli solo di ciò che
sta accadendo nel campo della nostra consapevolezza. Tuttavia, sviluppando il
potere di auto-osservazione, possiamo essere consapevoli di un’area più ampia.
Possiamo divenire consapevoli di tutto il quadro, non solo di quella parte
verso cui stiamo dirigendo l’attenzione in questo momento.
Yama
e niyama
Per sviluppare questo potere
di auto-osservazione, per realizzare la natura, la struttura interiore, per
comprendere le dimensioni dell'esperienza umana, non abbiamo bisogno di
praticare né la concentrazione né la meditazione. Abbiamo solo bisogno di
seguire delle linee guida, come enunciate nella pratica di yama e niyama. Questi sono
aspetti molto importanti dello yoga. Yama e niyama non sono discipline. Sono modi per superare i limiti, le
restrizioni della nostra mente e dell'ego.
Saucha
significa pulizia. Cosa significa pulizia per noi? Un corpo pulito, un ambiente
pulito, una casa pulita, una stanza pulita, aria pulita. Ma la pulizia qui
significa una mente pulita. Non ci dovrebbero essere spazzatura, negatività o
conflitti all'interno della testa. Ci dovrebbe essere totale chiarezza di
pensiero, idee e conoscenze, non confusione. Il concetto di pulizia non è
esterno o superficiale. È armonia delle esperienze mentali, emotive e
psichiche.
Santosha
significa contentezza. È molto facile dire 'Sono felice così come sono', ma
siamo davvero felici così come siamo? Se siamo felici così come siamo, perché
combattiamo con noi stessi, con il nostro ego? Perché lottiamo alla ricerca di
ulteriore felicità nella vita? Perché non possiamo solo 'essere'? Perché
dobbiamo mettere differenti maschere in momenti differenti? Perché non possiamo
semplicemente rimanere senza una maschera? Perché non possiamo accettare di
essere ciò che siamo con tutte le nostre carenze e difetti? Perché non
riusciamo a comprendere d’avere carenze e difetti? Perché dobbiamo nascondere le
nostre carenze e difetti? Nel momento in cui cerco di nasconderli a me stesso,
perdo lo stato di contentezza.
Satya è la verità,
la consapevolezza di come ci esprimiamo nella vita. Siamo in grado di esprimere
noi stessi in modo positivo, creativo? Siamo sinceri in quello che facciamo? Si
deve sviluppare questo tipo di consapevolezza riguardo alle azioni che vengono
eseguite, esternamente ed interiormente. Satya
non significa dire la verità, ma essere sinceri con noi stessi. Significa
osservare la sincerità dentro di noi. Ci nascondiamo da noi stessi? Ci
nascondiamo dalle nostre debolezze? Evitiamo di confrontarci con esse? Se lo
facciamo non siamo sinceri con noi stessi. Questo è il concetto di satya.
Ahimsa
significa non-violenza, che riguarda non solo l'espressione della rabbia, dell'odio,
della gelosia e del rancore. Piuttosto è l’eliminazione della limitante e
restrittiva consapevolezza negativa; è l'assenza di ostilità, di conflitto tra
il pensiero e il sentimento così come nell'azione.
Queste sono alcune idee che
sono state ben definite nella pratica di yama
e niyama, in modo che, attraverso la
loro pratica, possiamo modificare la struttura della nostra personalità
interiore e sperimentare una crescita interiore e la libertà. Ognuno di noi
deve sviluppare una comprensione di yama
e niyama.
Conoscenza
applicata
Quindi, dovremmo ricordare che
se vogliamo ottenere un completo beneficio dallo yoga, non dovremmo imporre le nostre idee personali sulle pratiche
o sui concetti dello yoga. Piuttosto
dovremmo cercare d’integrare gli insegnamenti dello yoga nella nostra vita al meglio delle nostre capacità ed
applicarli in tutte le situazioni ed in ogni momento. In questo modo possiamo
ottenere la saggezza. La conoscenza è un processo intellettuale, ma quando
iniziamo ad applicarla praticamente nella nostra vita, questa conoscenza
diventa saggezza. La conoscenza diventa saggezza quando è applicata nella vita.
La conoscenza rimane conoscenza, quando sappiamo qualcosa, ma non la
applichiamo nelle nostre situazioni o circostanze.
Come aspirante di yoga, studente di yoga, yogi, sannyasin, qualunque possa essere il
nostro ruolo nel mondo dello yoga, i
nostri sforzi dovrebbero essere sempre rivolti ad applicare ciò che sappiamo e
non a riempirci con diversi punti di vista ed idee che ci portano a sbagliare o
a perdere la direzione nella nostra vita. Questo è il messaggio che Paramahamsaji
ci ha dato. Ho trovato questa ispirazione nei suoi satsang.
Le pratiche di yoga, che siano asana, pranayama o
meditazione, vanno tutte bene. Dovremmo cercare di praticarle ma, insieme a
queste pratiche, dobbiamo anche cercare di capire la realtà dietro l'apparenza esterna.
Non è tutto oro quel che luccica. Come facciamo a sapere che non è oro?
Dobbiamo guardare dietro l'apparenza e solo allora diventeremo un vero Yoga Sadhaka.