mercoledì 21 marzo 2018

Yoga Panorama n.1, anno 2018

Yoga: ricerca sulle Pratiche

Dagl’insegnamenti di Swami Satyananda Saraswati

Abbiamo praticato diverse tecniche spirituali per secoli, ma di tanto in tanto gli intellettuali ci hanno scoraggiato dal farlo. Hanno inventato così tanti racconti inverosimili che, alla fine, hanno dissipato l’interesse generale.

Recentemente gli scienziati hanno svolto un lavoro veramente encomiabile e le loro indagini hanno verificato scientificamente che certe pratiche producono cambiamenti positivi nel corpo, nella mente, nel sistema nervoso e nel comportamento.

Il cambiamento del consenso
Circa trent’anni fa, se avessi detto a qualcuno che soffriva di pressione alta di sedersi e praticare meditazione, costui mi avrebbe dato del pazzo. Oggi, quegli strumenti di cui tanto si parla, come i sistemi di misurazione dei parametri psicofisiologici (biofeedback), hanno chiaramente indicato che, quando la pratica meditativa va molto in profondità, nel cervello compaiono schemi alfa. Quando nel cervello predominano gli schemi alfa, il cuore rilascia la pressione e si ha un grande cambiamento nel consumo di ossigeno all’interno del sistema. Al giorno d’oggi, se dico di meditare ad una persona che soffre di pressione alta, e il suo medico ne è al corrente, non farà nessuna obiezione.

Trent’anni fa, se vi avessero detto di praticare sirshasana, la posizione sulla testa, molte persone avrebbero detto: “Non farlo, diventerai pazzo!” C’erano molte polemiche in riguardo alla posizione sulla testa. Chi ha seguito le ricerche scientifiche, ora ha le idee chiare.

Circa tredici anni fa, un gruppo di scienziati ha condotto alcune indagini sugli effetti di sirshasana; in particolare sull’effetto fisiologico di sirshasana. Queste ricerche non furono condotte da un singolo individuo ma da un gruppo. Avevano circa un centinaio di praticanti di diverse fasce d’età e l’esperimento andò avanti per sei mesi. Quali furono i risultati? Gli stessi che si trovano in un libro di yoga,Hatha Yoga Pradipika”. Gli strumenti scientifici moderni non hanno glorificato lo yoga, ma hanno fatto un tentativo nel dissipare l’ignoranza dalle menti di molte persone riguardo allo yoga.

Scoprire la giusta asana
Se qualcuno soffre di ernia al disco o di sciatica, io gli insegno solo tre asana (bhujangasana, shalabhasana e makarasana), qualche pranayama ed un semplice bhastrika. Ci vorrà al massimo una settimana affinché si riprenda, anche se ne soffriva da anni. Come sono giunto a questa conclusione? Ve lo racconterò. Per puro caso andai a trovare un avvocato di Calcutta e costui era molto interessato allo yoga. Quel giorno, a casa sua, c’erano alcuni americani. Avevano con loro degli strumenti per fare l’elettroencefalogramma, l’elettrocardiogramma e delle macchine per misurare la resistenza della pelle: versioni portatili dei modelli da laboratorio.

Si stavano misurando l’un l’altro, ma non in modo prettamente scientifico. Testarono un uomo per la tensione muscolare. Si sedette nella stessa posizione in cui ci troviamo adesso e gli furono connesse le strumentazioni. I muscoli mostrarono un elevato livello di tensione. Poi gli chiesero di praticare bhujangasana. Appena si sdraiò in posizione prona, la macchina indicò una caduta di quella tensione. Quando assunse bhujangasana, tutti i muscoli della sua schiena erano a zero, completamente rilassati, fino al sistema sacrale. Non c’era nessuna parte in tensione. Lo stesso risultato si ebbe per shalabhasana e per makarasana. Così mi venne in mente che quella sequenza era la migliore per l’ernia al disco e per la sciatica.

Alla ricerca della kundalini
Gli strumenti scientifici hanno rivelato le potenzialità delle pratiche yogiche. Ora sono in molti a parlare di kundalini. Circa dieci anni fa, un dottore mi chiese: “Ha mai visto la kundalini?”. Io gli chiesi: “E lei?”. Mi rispose che aveva sezionato interamente un corpo e che non l’aveva vista. Gli chiesi: “Cosa intende dicendo questo?”. Lui mi rispose che la kundalini shakti non può esistere, perché nella sua dissezione lui non l’aveva vista. Gli feci solo un’altra domanda. “Mentre dissezionava il cervello, ha trovato i pensieri?”. Il dottore non mi rispose.

C’è un dottore in Giappone, un caro e grande amico, il Dr. Hiroshi Motoyama. È dottore in medicina e ha messo a punto un apparecchio che può registrare gli impulsi nei chakra. Ha una macchina di grandi dimensioni. Se voi siete alti sei piedi, egli allunga la macchina a sei piedi. Se siete bassi e giapponesi, accorcia la macchina. La adatta perfettamente in corrispondenza dei chakra (muladhara, swadhisthana, manipura, anahata), e li monitora.

Egli chiede alla persona di praticare bhastrika pranayama, ad esempio, o qualsiasi altra cosa. Mentre il soggetto esegue bhastrika e pratica jalandhara bandha, uddiyana bandha, mula bandha, contemporaneamente si può vedere cosa accade all’interno dei chakra. Certo, non vi è nessun risveglio di kundalini. Sono i chakra che iniziano ad attivarsi. Dopo che le sue indagini sono divenute note, molti medici si sono zittiti, perché ora kundalini shakti deve essere accettata come una forza.

Il sistema di monitoraggio
Negli ultimi tredici anni, non trentun anni, sono state condotte più di mille ricerche sulla meditazione da scienziati di tutto il mondo. Hanno fatto incredibili ricerche sul kundalini yoga, lo zen e altre forme di meditazione. Abbiamo molti apparecchi che possono essere usati per spiegare gli effetti delle varie pratiche yogiche sul corpo e sulla mente.

Alcuni anni fa in India uno swami fermò il proprio cuore e fu messo sottoterra per sette giorni. Dottori indiani e non indiani, provenienti dall’estero, vennero ad investigare. Lo dichiararono clinicamente morto, ma dopo dieci giorni egli uscì fuori. Ora, questo che cosa ci dimostra? Che anche dopo un arresto cardiaco, se si conosce lo yoga, si può sopravvivere. Il sistema di monitoraggio cardiaco è nel cervello, non nel cuore. L’infarto avviene non perché il cuore fallisce, ma perché il sistema di monitoraggio fallisce nella regolazione e nel coordinamento. Se si conosce come manipolare questo sistema di monitoraggio, l’arresto cardiaco può essere evitato.

Lo Scopo degli Shatkarma

Da “Gheranda Samhita”, Swami Niranjanananda Saraswati

Tramite gli shatkarma, l’armonizzazione di ida e pingala, i due principali flussi di energia, è stabilizzata; determinando purezza ed equilibrio fisico e mentale. Gli shatkarma equilibrano anche vata, il vento; pitta, la bile, e kapha, il muco: i tre disordini che si creano nel corpo. Secondo l’ayurveda e l’hatha yoga, ogni squilibrio in questi tre disordini fa sorgere la malattia. Gli shatkarma sono utilizzati anche prima del pranayama e altre pratiche elevate di yoga in modo che il corpo sia libero dalle malattie e non crei alcun ostacolo lungo il sentiero spirituale.

Queste potenti pratiche non dovrebbero mai essere intraprese dopo la semplice lettura di un libro o dietro insegnamento da parte di persone inesperte. Secondo la tradizione, una persona ha il diritto d’insegnare agli altri solo dopo essere stato istruito dal guru. È essenziale che tali istruzioni siano date personalmente, compresa la conoscenza di quando e come le pratiche devono essere fatte, secondo le necessità individuali. Nella Gheranda Samhita (capitolo I, verso 12) si legge:

Dhautirvastistathaa netih laulikee traatakam tathaa; Kapaalabhaatishchaitaani shatkarmaani samaacharet.

Eseguire gli shatkarma (dhauti, basti, neti, lauliki, trataka e kapalbhati) è essenziale.

In questo verso sono elencati i sei tipi di pratiche di pulizia: dhauti, basti, neti, lauliki (anche chiamato nauli), trataka e kapalbhati. Gli shatkarma purificano il corpo. Il loro scopo, comunque, non è solo la purificazione fisica, ma anche la purificazione interiore. Quando il corpo è purificato, i disordini interni sono rimossi e si ottiene un ottimo stato di salute. Senza purificazione il corpo non può essere pronto per le pratiche di yoga più elevate.

Dopo la purificazione, un essere umano vive più a lungo sulla terra. Nelle Upanishad e nei Veda è scritto in vari passi che gli esseri umani vivono per cento anni, jeevema sharadam shatam. Questo non è solo il pensiero dei Veda, delle Upanishad o di antiche filosofie, è la verità. Se un essere umano rimane sano e libero dai disturbi, vivere per cento anni o più, è naturale. La replicazione cellulare può continuare per lungo tempo, se la programmazione non è interrotta da impurità o squilibri.

Trataka

Swami Niranjanananda Saraswati

Trataka significa fissare ed è un’importante pratica di pratyahara. È l’ultima pratica di pratyahara, che conduce a dharana.

In trataka la mente è fissata, seguendo proprio il concetto di ‘andare verso’ un oggetto, un oggetto visivo. Nella pratica di yoga nidra, si va verso una graduale introversione. Dalla consapevolezza del corpo si passa alla consapevolezza dei suoni, poi alla rotazione della consapevolezza attraverso le parti del corpo, al respiro, e via di seguito. Si va gradualmente più in profondità, ritirando la mente dalle sue associazioni e connessioni esterne. In trataka si fa centro, si è lì, si deve essere lì; non c’è nessun movimento graduale di concentrazione. Si deve avere quello stato di concentrazione proprio del termine ‘andare’.

La padronanza del saggio Gorakhnath
Trataka coinvolge lo sguardo e lo sguardo è connesso con ajna chakra. C’è una storia che narra del saggio Gorakhnath, uno dei principali propagatori dell’hatha yoga, che perfezionò l’hatha yoga spontaneamente attraverso trataka.

Una volta si ammalò ed era costretto a letto. Nel muro della sua stanza venne appesa una lanterna con un lumicino acceso, come si usava fare nell’antichità. Nella stanza buia la lampada era accesa continuamente ed egli, disteso nel letto, fissò la lampada. Facendo così perfezionò trataka. Mentre era malato, osservò la fiamma e perfezionò il suo trataka. Quella perfezione gli conferì delle speciali capacità al punto che, quando il suo guru Matsyendranath arrivò, lo accolse come suo discepolo.

Differenti metodi di trataka
Trataka è una pratica visiva e usa lo sguardo per giungere ad uno stato di concentrazione. Usa la vista per calmare le dissipazioni della mente, e qui sta la sua bellezza.

Vi sono molti modi di praticare trataka ed ognuno porta ad esperienze differenti. Per scopi terapeutici vi è un metodo, per ottenere la concentrazione mentale un altro e per l’esperienza psichica un altro ancora. Trataka non è una pratica unica, anche se di solito viene insegnato un unico metodo, poichè è il più sicuro. Se fossero insegnati anche gli altri metodi, si potrebbero avere delle esperienze che non si è in grado di gestire. Ricordate, questo non è una cosa curiosa o che con spavalderia potete gestire; dovete lavorare partendo dal punto in cui siete e gradualmente andare avanti.

Si crede che trataka apra la psiche umana. Attiva ajna chakra, e grazie a questo s’iniziano a prevedere le cose; si diventa veggenti degli eventi. Questo, tuttavia, è il raggiungimento finale di trataka. Alle elementari della pratica di trataka, lo si esegue per due scopi: terapia degli occhi e concentrazione. Alla Bihar School of Yoga, trataka non è insegnato per la scoperta o il risveglio psichico.

In ambito terapeutico, la pratica migliora la vista. Infatti, qualora sentiste che la vostra vista si stia deteriorando, forse all’età di quaranta o quarantacinque anni, praticate trataka. Quando iniziate a vedere un po’ sfocato e notate di avere bisogno di allontanare il foglio per leggerlo, se praticate regolarmente trataka per sei mesi, la vostra vista migliorerà. Dopo qualche tempo, quando noterete nuovamente di avere la vista sfocata e vi sarà l’urgenza di allontanare il foglio, praticate di nuovo trataka per quindici giorni. Così è come trataka è usato per scopi terapeutici.

Per lo scopo della concentrazione, per fermare la dissipazione della mente e migliorare la concentrazione, si pratica trataka di notte, sulla fiamma di una candela. Questa è la tecnica usata nel sistema Bihar Yoga, molto più che dagli altri sistemi. Piuttosto che cercare di praticare ed insegnare venti varianti differenti di trataka, che non sarebbero usate opportunamente, questa singola pratica aiuta a migliorare la vista e la concentrazione.

Swami Satyananda fu la prima persona ad usare questa particolare tecnica mentre tutti gli altri facevano trataka su yantra, simboli e punti neri. Swami Satyananda disse: “No, queste possono essere considerate pratiche di hatha yoga, ma sono irrilevanti per le necessità di oggi. Ciò che è importante, in relazione alla salute fisica e mentale, è ciò che stiamo usando noi.” Così, nel sistema Bihar Yoga, trataka sulla fiamma di una candela è lo stile introdotto da Sri Swamiji.

Gli stadi di trataka
Vi sono quattro stadi nella pratica di trataka. Il primo è bahir trataka, o trataka esterno. Si usa un oggetto esterno su cui fissare lo sguardo; si fissa l’oggetto senza battere le palpebre. Questa è la regola di trataka: mentre si guarda qualcosa, non si devono battere le palpebre. Nel momento in cui si ha l’urgenza di battere o muovere gli occhi per una ragione qualsiasi, si deve fermare lo sguardo esterno, chiudere gli occhi, guardare l’immagine complementare e rimanere con gli occhi chiusi fino a che l’immagine sparisce.

Inizialmente, quando non si conosce la pratica, i nervi e i muscoli si stancheranno velocemente e ci sarà una forte urgenza di chiudere gli occhi e, quando li chiuderete, inizieranno a scendere le lacrime. I dotti lacrimali si attivano grazie alla pressione esercitata su di essi dallo sguardo fisso ed è un buon segno: gli occhi vengono lubrificati. Questo è noto come bahir trataka.

Il secondo stadio è antar trataka, trataka interno, e qui si usa un simbolo. Ad esempio, all’inizio di una lezione, durante Shanti Path, vi si chiede di visualizzare la fiamma di una candela nel centro tra le sopracciglia. Questo è l’inizio di antar trataka, dove ricreate l’immagine di una fiamma nella vostra mente. Dovete ricreare la fiamma come un’immagine 3D: i colori, l’altezza, la larghezza, tutto deve essere visto. In antar trataka, lo sforzo è di rendere reale la forma che visualizzate o che pensate.

Poi c’è il terzo stadio di trataka, dopo bahir e antar trataka, vi è shunya drishti. Shunya drishti significa fissare nel nulla, nel vuoto. Capire come praticarlo diverrà semplice se ripensate alla pratica di antar mouna. Avrete notato che in antar mouna, quando vi viene chiesto di divenire consapevoli dei pensieri, i pensieri non ci sono, scoprite che si può non pensare. Questo perché, nel momento in cui iniziate ad osservare qualcosa, quell’attività si ferma. Nel momento in cui muoverete la mente, di nuovo i pensieri inizieranno ad arrivare. Questo è applicabile anche a trataka.

Le visioni sono considerate una delle principali cause di dissipazione nel cervello. Si ricevono informazioni attraverso tutti i sensi, il tatto, l’olfatto, il gusto e il suono, ma il volume d’informazioni ricevute tramite gli occhi è molto maggiore di tutti gli altri quattro sensi messi insieme. Dei due miliardi d’informazioni che il vostro cervello riceve ogni secondo, molto probabilmente il sessanta percento è legato alla vista, il quaranta restante è diviso in dieci percento per ognuno degli altri sensi, udito, tatto, odorato e gusto. Pertanto è la vista che crea sempre disturbo mentale, e in trataka la vista deve essere focalizzata.                       

Se chiudete gli occhi e rimanete così per cinque minuti, le onde del vostro cervello si modificheranno. Diverranno onde alpha. Poi, quando aprirete gli occhi e vi riconnetterete con il mondo, le onde cerebrali si modificheranno di nuovo istantaneamente, non appena le immagini, le forme ed i colori saranno nuovamente riconosciuti e assorbiti. In quel momento predomineranno le onde beta.

In bahir trataka state focalizzando il vostro jnanendriya, l’organo fisico degli occhi, su un oggetto; in questo modo le agitazioni connesse con la vista si fermeranno. Il cervello diventerà meno attivo, poiché l’afflusso d’informazioni è ridotto. Quando praticate antar trataka, vi è una disconnessione dalle influenze esterne e siete autonomi. Non vi muovete verso ciò che è esterno. Con l’intensità della concentrazione, tutte le chiacchiere saranno dimenticate e vi troverete in uno stato di shunya, nel nulla, in uno stato di vuoto. La mente diventa assolutamente ferma, non c’è un solo pensiero. Anche se provate a pensare, non sarete in grado di farlo, non saprete da dove poter prelevare il pensiero. Questa è una condizione di vuoto assoluto.

Il quarto stadio di trataka è chaitanya trataka o trataka continuativo. Si riferisce all’abilità di rimanere focalizzati per tutto il tempo. Una volta chiesi a Sri Swamiji che sarebbe bello avere un ashram in montagna, nell’Himalaya. Lui mi guardò e mi disse: “L’idea è buona ma pensa a qual è lo scopo. Se stai pensando alla pace, non troverai la pace nell’Himalaya se la tua mente non è in pace. Se la tua mente è in pace, anche in un luogo come Munger non sentirai nemmeno un suono, poiché non sarai distratto da ciò è intorno a te. Sarai Uno con l’esperienza della pace.”

Questo è chaitanya trataka, dove la concentrazione e la nitidezza della mente sono così intense che non c’è deviazione di attenzione o di consapevolezza. Ora la vostra consapevolezza può fluttuare ad ogni momento. Un forte rumore alle spalle farà sì che tutti si voltino e chiedano: “Cos’è stato quel rumore?”. In chaitanya trataka, dove si mantiene lo stato di trataka continuamente, si può essere in mezzo ad un campo di battaglia e rimanere in pace come Buddha.

Una persona che è in grado di mantenere equilibrio in tutte le condizioni critiche della vita, pratica chaitanya trataka. Chi entra nello stato di samadhi, fa esperienza di shunya drishti. Chi si stabilizza in pratyahara e in dharana, fa esperienza di antar trataka. Chi apprende la dissociazione e la disconnessione dalle influenze esterne, pratica bahir trataka.

I benefici di trataka
I benefici di trataka divennero evidenti durante un episodio. Una volta stavo facendo una lezione di yoga ad un violento gruppo di prigionieri, detenuti in carcere di massima sicurezza a San Francisco, negli USA. Circa in cinquanta erano nella stanza. Prima di entrare, il direttore del carcere mi disse: “Tutti loro fanno molta difficoltà a dormire la notte. Esiste qualcosa in yoga che possa aiutarli a dormire meglio?”. Io risposi: “Fammi pensare.”

Mentre stavo facendo la lezione mi venne un’idea: ‘Potrebbero fare trataka nelle loro celle durante la notte!’ Così dissi loro: “Vi andrebbe di fare un esperimento yogico stanotte? È qualcosa che potete fare tranquillamente nella vostra cella.” Mi risposero. “Certo”. Chiesi al direttore di procurare loro delle candele. Mi disse: “Beh, Swami, ci sono dei problemi di sicurezza. Potrebbero dare fuoco a tutto.” Dissi: “Ci lasci provare per una notte. Se necessario, può mettere una guardia davanti ad ogni cella per controllare che nessuno bruci nulla.” Così, provammo trataka.

Le mie istruzioni furono mandate attraverso il sistema degli altoparlanti. Io non li vedevo direttamente, ma li potevo guardare sugli schermi a circuito chiuso. Li guidai nella pratica di trataka per mezz’ora, poi terminammo. Io tornai nel mio alloggio con il direttore.

Circa venti minuti più tardi, mentre stavo prendendo una tazza di tè con lui, ricevette una telefonata: “Tutte le persone che hanno fatto quel divertente esercizio per gli occhi stanno dormendo.” Dormirono come bambini e il giorno dopo si svegliarono tardi. Questo episodio lasciò un’impressione e, in seguito, quando altre persone mi dicono: “Swamiji, non riusciamo a dormire alla notte.” Io dico loro di praticare trataka e funziona sempre.

Il motivo per cui trataka aiuta a dormire è perché si fa esperienza di profondo rilassamento durante la pratica. Oltre a questo, quando vi svegliate la mattina successiva, la freschezza ed il rilassamento di cui si fa esperienza nel corpo, è unica. Trataka ringiovanisce totalmente la mente, disconnettendola dalle fonti di distrazione. Questo è il segreto di trataka.   

-         27 Settembre 2016, Ganga Darshan, Munger,
Hatha Yoga Training – Modulo 1 (estratto)

Paschimottanasana

Swami Niranjanananda Saraswati

Esistono diverse apparecchiature che misurano il livello di stress dei muscoli. Non sono l’EMR (registratore clinico elettronico) o l’EMG (elettromiografo), ma altri tipi di elettrodi che vengono messi sul corpo e che misurano il livello di stress quando si fa un’azione. Quest’esperimento, una volta è stato fatto con le asana. Il corpo delle persone che presero parte all’esperimento era coperto da elettrodi e fu chiesto loro di assumere delle asana, per misurare il livello di stress. Le misurazioni erano espresse in unità, quindi si ottennero molte unità di stress.

Facemmo paschimottanasana, afferrando le dita dei piedi. Mentre praticavamo paschimottanasana lo stress muscolare, lo stress fisico, diminuì di novanta unità. Visivamente è un’asana difficile, in quanto allunga ogni parte, ogni muscolo, mentre si cerca di afferrare le dita dei piedi. Tutto il corpo è in uno stato di tensione cronica, ma ciò che è percepito come tensione cronica o difficoltà e dolore alla schiena, allungando ed afferrando le dita dei piedi, in realtà sta rilassando il sistema muscolare del corpo. Quando poi ci si rilassa sdraiandosi in shavasana, tutto il corpo immediatamente si abbandona e si rilassa, molto più di quello a cui si è abituati: come quando si allunga una gomma e poi la si lascia.  

Il collegamento con l’intenzione e con lo spirito
Si allungano, quindi, i muscoli e poi si rilasciano. Se si usa questa conoscenza per creare una specifica condizione nel corpo che possa contrastare le situazioni stressanti, indipendentemente dal tipo di vita si fa, professionale o di rinuncia, è possibile gestire gli effetti psicologici dello stress e dell’ansia in modo decisamente migliore.

Questa è un’indicazione di comprensione e di applicazione delle pratiche yogiche per creare un cambiamento definitivo nello schema corporeo e psicologico. In questo modo lo yoga non rimane solamente una sequenza meccanica che per abitudine si pratica al mattino o alla sera, ma diventa un procedimento consapevole per creare e modificare qualcosa nella vita e questo è ciò che abbiamo imparato.

È questo l’insegnamento di Sri Swamiji che, ancora una volta, stiamo presentando; poiché negli ultimi cinquant’anni c’è stato un marcato indebolimento dell’insegnamento dello yoga, a seconda dell’insegnante che trasmette l’insegnamento. Le pratiche sono ricordate, ma non l’intenzione originale e nemmeno l’istruzione che Sri Swami Satyandanda diede.

Noi stiamo rivitalizzando e riconnettendoci con lo spirito con cui egli ci ha insegnato le pratiche: non per diventare insegnanti, ma sperimentatori di yoga.

-         30 Settembre 2016, Ganga Darshan, Munger,
Hatha Yoga Training – Modulo 1 (Estratto)

La Cura Diventa Possibile

Swami Niranjanananda Saraswati
Al giorno d’oggi le persone associano le asana con il corpo e i disturbi. Affermano che, se si fa quest’asana, quel particolare disturbo sarà curato. Queste sono parole pronunciate dalle persone, non dallo yoga. Alcuni insegnanti affermano di poter curare una particolare malattia con l’aiuto dello yoga, eppure lo yoga non dice questo. Secondo lo yoga le malattie non sono curabili, e non si dovrebbe nemmeno cercare di curarle. Tutto ciò che si deve fare è gestire e disciplinare la propria vita, in questo modo le malattie, automaticamente, saranno curate.

Io non sono malato
Sri Swami Satyananda diceva che le persone, generalmente, credono che lo yoga curi le malattie. Sicuramente, se una persona malata pensa sempre alla sua malattia e crede di essere ammalato, nessun tipo di pratica medica può essere di aiuto. Per cui, la prima terapia per un malato è rimuovere il pensiero di essere malato dalla sua mente. Finché non si rimuove questo pensiero, non ci sarà libertà dalla malattia. Il primo pensiero che deve avere una persona ammalata è: “Io non sono malato, io non sono malato”.

Quando l’individuo pensa ‘Io non sono malato’, la mente inizia ad influenzare il corpo. Se si pensa costantemente ai malesseri e ai disturbi fisici, anche una persona sana si ammalerà a causa del costante pensiero negativo. Il primo principio è ‘Io non sono malato’ ed il secondo sono le pratiche appropriate. Per ogni problematica non ci sono più di quattro o sei pratiche. Le pratiche generali sono per il miglioramento dello stato di salute e non per la cura.

I tre aspetti per il mantenimento del corpo
Quando si collega il corpo con lo yoga in hatha yoga, si notano tre effetti. Il primo effetto è che se c’è una malattia, o se la salute è cattiva, è possibile eliminare tale condizione con lo yoga. Poi occorrerà sforzarsi per migliorare la salute, per liberarsi dalle malattie, e per rendere la condizione di guarigione ancora più potente. Segue quindi la prevenzione. Se una qualsiasi condizione, tensione, germi, batteri o inquinamento, affligge il corpo, il corpo stesso deve avere immunità, potere e forza per combatterla. Se prima si fosse ammalato per una decina di giorni, ora solo per due.

Considerando il corpo, lo yoga ha tre aspetti: è curativo, preventivo e promotore. Generalmente, le persone dovrebbero praticare per l’aspetto promotore. Dovrebbero fare le pratiche per promuovere la salute e permettere alla regolazione, alla disciplina e all’organizzazione di entrare nella propria vita.

Invece le persone dormono fino alle otto, mangiano alle undici e telefonano all’insegnante di yoga alle dieci. Si lamentano del dolore e chiedono di essere istruiti nelle asana. Fanno colazione alle dodici, pranzo alle tre, vanno a dormire alle undici e vogliono mantenersi in forma. Si trovano nel fango e vogliono mantenere i vestiti puliti. Questo è impossibile. Entrano in una miniera di carbone e vogliono mantenere i vestiti puliti. Questo è impossibile. Ovunque andranno, i vestiti si macchieranno.

Se si è nel mondo, si deve sopportare la sofferenza del mondo, con discriminazione, non con paura ed ansia. Quando avete paura della malattia e della tensione, non potete curarvi da soli. Tuttavia, se agirete con discriminazione, allora ogni tipo di cura diverrà possibile.

-         29 luglio 2014, Netaji Subhash Stadio, Calcutta

Migliorare la Qualità della Vita di Ognuno


Se il sistema yogico comprendesse solo le asana, molte persone al mondo sarebbero escluse dal praticarlo. Fortunatamente la tradizione originale dello yoga non riguarda solo l’aspetto fisico dello yoga, ma ha un approccio completo ed integrale sulla vita umana, indirizzandosi a tutti i tipi di personalità, usando tutte le branche dello yoga. È grazie a questo che, anche le persone con disabilità fisica, possono trarre beneficio dallo yoga.

Quella che segue è la storia di una donna che non è diventata solo un’allieva di yoga, ma anche una praticante sincera ed impegnata, nonostante le sue difficili condizioni. Quando la incontrai, viveva già lo yoga. In teoria lei non sapeva nulla di yoga, ma esprimeva un atteggiamento yogico nelle azioni, nel modo di pensare e nel comportamento, essendo una delle persone più intelligenti, positive ed ottimiste che io abbia mai incontrato.

Un giorno, un amico mi chiese di incontrare una donna paralizzata per aiutarla tramite lo yoga. Io gli chiesi: “Come pensi che io possa aiutare questa signora?”. “Tu sei un insegnante di yoga. Vai da lei e trova il modo”, mi rispose. Così andai. Lei mi aspettava, seduta su una sedia a rotelle. Chiacchierammo e lei mi disse che aveva sessant’anni e che a causa di un incidente automobilistico avvenuto circa vent’anni prima, le si erano rotte le vertebre cervicali e la colonna, ed era paralizzata dal collo in giù.

Mi spiegò che ci sono differenti gradi di paralisi e che con alcuni tipi si è in grado di muovere la parte alta del corpo, le braccia e le mani. Lei era paralizzata ad un grado estremo, in quanto poteva fare solo dei piccoli movimenti con la testa. Necessitava così di assistenza ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni. Aggiunse anche che da quando il mio amico le aveva detto che lo yoga l’avrebbe aiutata, non vedeva l’ora di iniziare le nostre lezioni di yoga. Francamente parlando in quel momento non avevo nessuna idea di cosa fare con lei, ma mi offrii di tornare a trovarla due volte a settimana.

Yoga nidra: il primo dono
Per la nostra prima sessione l’unica cosa che mi venne in mente fu yoga nidra: il corpo deve rimanere immobile, cosa che era proprio la condizione del suo corpo. Iniziai ad insegnarle yoga nidra. All’inizio dovetti rallentare il ritmo, perché a lei occorreva più tempo per ruotare la consapevolezza lungo il corpo rispetto ad una persona sana. Per la prima volta dopo molti anni divenne consapevole e sentì le parti del suo corpo. Dopo alcune settimane, potei aumentare la velocità fino a renderla normale e lei fu in grado di seguirmi con facilità e gradualmente, progredimmo fino a uno yoga nidra completo, con sankalpa, visualizzazioni e sensazioni opposte. Poi registrai un CD, in modo che potesse praticare anche quando io non fossi lì.

Le settimane ed i mesi passarono e continuavamo ad incontrarci due volte alla settimana e a fare yoga nidra. Dopo ogni sessione, rimanevo un po’ con lei a chiacchierare. In una di quelle occasioni, mi disse che era molto grata del fatto che ci fossimo incontrati perché yoga nidra la stava aiutando considerevolmente. Disse che alla fine della pratica tutto il dolore che sentiva se ne andava. Questo accadeva dalla nostra prima sessione, ma lei non voleva credere che fosse merito di yoga nidra. Però, siccome questo avveniva ogni volta che c’incontravamo, capì che era proprio yoga nidra la causa di questo stato di assenza di dolore, che per lei era un sollievo inimmaginabile.

Mi spiegò che questo dolore è chiamato ‘dolore neuropatico’ ed è un fenomeno ben noto alle persone paralizzate. Quando le chiesi di descrivermi il grado di questo dolore, mi disse: “Immagina di farti, deliberatamente, un taglio molto profondo con una lametta da barba e cerca di sentire quel dolore simultaneamente in migliaia di punti del tuo corpo.” Aggiunse che la maggior parte delle volte è insopportabile, al punto che i dottori normalmente la trattano con la morfina, che riduce il dolore ma ha diversi effetti negativi. Il primo dono per lei fu yoga nidra che la aiutò a gestire il dolore. Sin da allora, la pratica ancora oggi quotidianamente.

Il pranayama “sniffante”
Il secondo grande cambiamento positivo nella qualità della sua vita avvenne grazie al pranayama. Notai che era distesa a letto con almeno due coperte, anche in piena estate, perché la temperatura del suo corpo era più bassa della norma, a causa della mancanza di movimento e di attività fisica. Una conseguenza di questo era la pressione bassa che, soprattutto al mattino, le causava vertigini e scomodità generale. Le occorrevano due ore ogni giorno per uscire da questo stato estremo e per portarsi al suo stato normale.

Decisi così d’insegnarle alcune tecniche di respirazione di base, iniziando con la semplice consapevolezza del respiro, la respirazione addominale e la respirazione yogica completa. Procedevamo lentamente perché per prima cosa doveva sviluppare uno schema corretto di respirazione, che era abbastanza difficile per lei. Così un giorno, mentre stavamo praticando la respirazione addominale, le dissi di velocizzarla via via un po’ di più. Alla fine divenne una sorta di bhastrika, che la divertì molto e chiamò ‘sniffante’. La volta successiva la trovai già seduta sul letto, sorridente. Quando le chiesi cosa fosse successo, disse che questa tecnica aveva cambiato la sua vita.

Ora, la prima cosa che fa al mattino è bhastrika e questo immediatamente le alza la pressione e la temperatura del corpo, così invece d’impiegare due ore le ci vogliono solo dieci minuti per normalizzare la sua condizione.

Fui molto felice di sentire che tutto questo l’aveva aiutata e la prima cosa che mi venne in mente fu che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la nostra tradizione ed i nostri guru. Ciò dimostra la forza dello yoga e che anche le pratiche più semplici possono avere degli effetti profondi e possono portare veramente un cambiamento positivo nella vita di ogni individuo.

-         Swami Bhaktananda, Ungheria

Hatha Yoga e Raja Yoga

Swami Satyananda Saraswati
Hatha yoga è una parte del Raja yoga. Lasciatemi spiegare il termine ‘hatha yoga’. Hatha significa ‘vitale’, riferito sia al prana che alla mente, manas. Yoga significa unione ed armonia. Per Hatha yoga s’intende mente ed energia vitale.

Questo nostro corpo è composto da energia fisica, o prana, ed energia mentale, o mente. All’interno del corpo deve esserci totale equilibrio ed armonia tra queste due forze gemelle. In hatha yoga l’equilibrio mantenuto è tra due forze, quella vitale e quella mentale. Se l’energia vitale è predominante, si diventa molto aggressivi e violenti, mentre se le forze mentali prevalgono su quelle vitali, si avranno così tanti pensieri astratti e sogni ad occhi aperti che si potrebbe arrivare alla pazzia. L’individuo potrebbe diventare ‘matto’. L’equilibrio tra le due parti è molto importante. Perciò, personalmente non considero l’hatha yoga come qualcosa di puramente fisico.

La nostra consapevolezza vive nel corpo fisico e, quindi, per prima cosa noi siamo consapevoli del corpo fisico. Per questo motivo dobbiamo iniziare con la consapevolezza fisica. Ma se non siete particolarmente consapevoli del corpo fisico, se vi siete evoluti nel corpo mentale, allora dovrete partire da lì.

Hatha yoga in sé ha a che fare con la perfezione, la purificazione delle varie parti del corpo fisico, mentre raja yoga riguarda la mente. Ricordate che se vi sedete per la meditazione con un corpo impuro, una mente vacillante e un sistema nervoso squilibrato, non potrete veramente progredire spiritualmente. In questo senso hatha yoga è una parte del raja yoga.

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Verso Pratyahara

Swami Niranjanananda Saraswati

L’Hatha yoga inizia con le pratiche di purificazione, gli shatkarma, per disintossicare il corpo. Dopo la purificazione, si passa alla pratica delle asana e poi al pranayama. Le asana dell’hatha yoga sono dinamiche ed i pranayama dell’hatha yoga sviluppano il controllo del respiro e della respirazione. Mudra e bandha sono anch’essi parti dell’hatha yoga, e tramite questi si sviluppano le capacità necessarie per dirigere il flusso energetico. Ciò è seguito dalle pratiche di concentrazione per focalizzare la mente. Tutto questo costituisce l’hatha yoga.

Quando tutte queste pratiche saranno perfezionate, si passerà al raja yoga. È come portare a termine la scuola primaria prima di accedere a quella secondaria. Così come ci sono varie classi nella scuola primaria, ci sono vari stadi in hatha yoga. Se uno studente di prima elementare dice: “Voglio andare alle medie”, l’insegnante lo asseconda? No. Ma gli ipocriti nella vita spirituale lo fanno. Quindi, chi è sincero nella vita spirituale deve comprendere che per prima cosa bisogna perfezionare l’hatha yoga e poi passare al raja yoga.

In hatha yoga s’inizia con gli shatkarma per purificare il corpo, poi si passa ad una sequenza progressiva di asana, pranayama, mudra, bandha ed a specifiche tecniche di concentrazione e di meditazione. Preparate, così una dimensione della vostra esistenza: annamaya e pranamaya kosha. In raja yoga avete a che fare con manomaya e vijnanamaya kosha; per questo il raja yoga inizia con yama e niyama.   

Il primo gradino del raja yoga non sono le asana, come tutti pensano. È yama e niyama. Yama e niyama sono praticate per armonizzare manomaya e vijnanamaya kosha, non annamaya o pranamaya. Sono per la mente, cambiano lo stato della mente. Yama crea un condizionamento positivo, uno stato d’animo, e nyama rinforza questa condizione. Le persone ignorano yama e niyama: questo è l’errore principale che si fa lungo il percorso che porta ad avere una mente disciplinata. Quando meditate, ad esempio, cercate di svuotare la mente e di rimuovere tutto ciò che in quel momento la disturba. Quindi cosa fate? Aprite gli occhi. La meditazione termina quando la mente è stata svuotata. Il problema è che, nel momento in cui aprite gli occhi, la mente si riempie nuovamente con tutto ciò che l’ha disturbata, e ciò indica che non avete creato una condizione mentale nella vostra meditazione che possa esservi di supporto quando gli occhi sono aperti. Svuotate la mente ma non la riempite con qualcosa di positivo quando è vuota, perciò il risultato della meditazione è ‘nessuna esperienza’. Dite solo: “Oh, mi sento bene! Sono rilassato, in pace e calmo.” Oltre a queste sensazioni fugaci, non c’è nessuna esperienza più profonda durante la meditazione.

Quando avete a che fare con la mente, dopo aver rimosso le scorie, dovrete immettere qualcosa di positivo. Quando dentro ci sarà il vuoto; quando avrete svuotato il recipiente mentale dall’ansia, dallo stress, dalle preoccupazioni, dalle distrazioni e dalle dissipazioni, dovrete riempirvi con qualche contenuto positivo che possa rimanere con voi per un po’ di tempo. Qui è dove entrano in gioco yama e niyama. Quando vi focalizzate su uno yama durante lo stato meditativo, la vostra mente si colorerà con quello yama e, nel corso del tempo, esso diverrà un’espressione naturale. Diverrà una condizione della mente, non un’imposizione etica o morale. Lo yoga non parla di etica e di morale; vi porta all’interno dello stato di percezione, purificazione, esperienza ed espressione nel senso più positivo.

Il fulcro del raja yoga è di creare uno stato positivo nella mente. Anche le asana ed i pranayama del raja yoga servono per rendere più profondo lo stato meditativo, lo stato della mente unidirezionale. Quando praticate asana, la vostra priorità è di raggiungere sthirata, stabilità nella posizione. In hatha yoga sviluppate questo sthirata. Quando giungete al raja yoga, la stabilità dovrebbe già essere presente. Quindi, quando un raja yogi definisce un’asana, dice che essa è una posizione in cui si è fermi, stabili e comodi. Non state cercando stabilità con il raja yoga, questo l’avete già ottenuto con l’hatha yoga. In raja yoga, semplicemente continuate a mantenere quello stato di stabilità e comodità per rendere più profonda la vostra esperienza mentale, non fisica.

Le asana in raja yoga sono definite come sthiram e sukham. ‘Sthiram’ significa ‘stabile, fisso’ e ‘sukham’ ‘comodo’. La comodità è un prodotto dello stato di felicità della mente. Se non siete felici, non potete essere comodi. Non è un semplice stato fisico; la felicità mentale e la stabilità fisica vanno insieme per creare l’esperienza della comodità. La mente deve essere sempre positiva per arrivare a quel livello di comodità. Per questo le asana del raja yoga sono posizione statiche che aiutano ad interiorizzare la mente.

La stessa cosa vale anche per il pranayama. L’hatha yoga descrive molti tipi differenti di pranayama, mentre Patanjali dice: “Inspirare, espirare, trattenere: questo è pranayama”. Questa descrizione del pranayama è citata spesso dalle persone. Mentre praticano il pranayama dell’hatha yoga, parlano del concetto del pranayama secondo il raja yoga. Alcuni insegnanti di yoga spiegano bhastrika o kapalbhati ai loro studenti e poi dicono: “Il saggio Patanjali dice che pranayama è inspirazione, espirazione e ritenzione del respiro.” Quelli non sono dei pranayama del raja yoga, sono dei pranayama praticati per un altro scopo.

Con la pratica di yama, niyama o delle asana e dei pranayama del raja yoga, ad un certo punto si arriva a ‘chitta vritti nirodhah’, il controllo delle modificazioni interiori, uno stadio importante del raja yoga che deve essere raggiunto: pratyahara. Pertanto, tenete a mente chitta vritti nirodhah e pratyahara. Queste due sono le direzioni del raja yoga.

Pratyahara inizia con la comprensione di “Sto lavorando con la mia mente; sto iniziando a vedere me stesso. Sto eliminando lo stress da me stesso; sto osservando lo schiamazzo che giunge alla mia mente sotto forma di pensieri, visioni ed esperienze’. Pratyahara è la condizione che dovete raggiungere quando praticate raja yoga; non dharana, dhyana o samadhi. L’intero argomento del raja yoga verte su pratyahara.

22 Ottobre 2016, Ganga Darshan, Munger, Raja Yoga Training–Mod.1 (Estratto)
Tratto da: http://www.biharyoga.net/bihar-school-of-yoga/feb-2017

La Mente

Da: ‘Teachings of Swami Satyananda Saraswati, vol I’

Cos’è la mente e come se ne può divenire consapevoli?
Lasciatemi chiamare la mente ‘consapevolezza’. Per mezzo di questo strumento siamo consapevoli del tempo, dello spazio e degli oggetti. Questa forma di consapevolezza è un insieme di vari elementi, compresi i cinque elementi della natura, le cinque funzioni del prana, i cinque organi di senso e i cinque organi motori. Quando tutti questi si muovono insieme, la consapevolezza inizia a funzionare. Sia la moderna psicologia sia la filosofia indiana sono d’accordo su questo punto.

Gli archetipi profondamente radicati nella coscienza umana, in numero di miliardi, sono responsabili delle esperienze dell’uomo. Come possiamo entrare in contatto con questi archetipi ed esporli all’area conscia della mente? La natura, ovviamente, li ha relegati nella mente subconscia o in fondo a quella conscia, sviluppando visioni o sogni. Ma se potete stimolare questi livelli della mente tramite il suono o in altri modi, potrete rendervi conto sempre di più di questi archetipi. Questo è un argomento importante in yoga, spesso ignorato da chi lo insegna. La scienza degli archetipi è importante quanto lo studio degli elementi del corpo fisico. Abbiamo analizzato il corpo ampiamente, in termini di carne, ossa e sangue, ma se siamo d’accordo che l’uomo è molto più di questo, dobbiamo investigare ulteriormente.  

La malattia è un’esperienza, che sia a livello fisico o mentale. Un mal di testa, il raffreddore, la tosse, la tubercolosi, il cancro o qualsiasi altra malattia è semplicemente un’esperienza. Anche la sclerosi multipla è un’esperienza. Se andate nel vostro prato ed estirpate ogni filo d’erba, l’erba spunterà nuovamente dopo pochi giorni perché i semi sono ancora lì. Allo stesso modo, le esperienze nella vita sono tutte conservate in forma simbolica nella coscienza dell’uomo. E queste esperienze escono fuori sotto forma di vita, eventi, attività, malattie, sogni, visioni e, a volte, pazzia.

Se potere riuscire a trovare un modo per portare questi samskara o archetipi in superficie, molti problemi, paure e fobie potrebbero essere sradicati immediatamente. Pratiche specifiche di yoga, soprattutto yoga nidra, rendono questo possibile.

La consapevolezza è qualcosa che giunge molto gradualmente, o si sveglia un giorno all’improvviso?
La consapevolezza può crescere gradualmente o anche esplodere all’improvviso. Comunque, è meglio se cresce gradualmente, perché le persone non sempre riescono a fronteggiare l’esperienza di un’esplosione improvvisa.

Come funziona la consapevolezza?
Nel tantra e nel vedanta abbiamo quattro strumenti di consapevolezza: manas, pensiero e contro-pensiero; buddhi, le decisioni, la discriminazione, il discernimento; chitta, la consapevolezza, i ricordi, le sensazioni; e ahamkara, l’ego o l’io. Queste quattro divisioni appartengono all’area della mente che è conosciuta. Esse elaborano anche il materiale che viene fuori dalle aree sottili della mente che sono sconosciute. 

Le aree della mente che si conoscono, noi le chiamiamo manomaya kosha. Le aree sconosciute costituiscono vijnanamaya kosha, il campo psichico della coscienza, e anandamaya kosha, la coscienza dinamica, dove tutte le manifestazioni esistono nello stato potenziale. Questa è un’area sotterranea della coscienza e l’uomo non sarà mai in grado di conoscerla. A volte, quando entrate in profonda meditazione, passate attraverso anandamaya kosha, dove c’è omogeneità ma non consapevolezza. Anandamaya kosha può essere raggiunto (‘toccato’) tramite il laya yoga.

Manomaya, vijnanamaya e anandamaya kosha hanno i loro equivalenti nella psicologia occidentale. Manomaya kosha è equiparato con la mente conscia, vijnanamaya kosha con il subconscio e anandamaya kosha con l’inconscio.

Tutto ciò che vediamo e percepiamo è solo una proiezione della nostra mente?
Ognuno vede solo sé stesso negli altri. Io vedo te come una gran bella persona perché io sono una bella persona. Tu sei solo un fattore stimolante per l’amore e l’odio che sono dentro di me. Tutti i comportamenti di un essere umano sono espressioni della sua personalità. Nelle Upanishad è scritto: “Non per amor della moglie, la moglie ti è cara; ma per l’amore per te stesso. Non per il bene dell’amico, l’amico ti è caro; ma per il tuo proprio bene.”

Le Upanishad citano molti esempi simili che, alla fine, portano alla conclusione che ogni cosa è centrata sul proprio sé. Anche nel buddismo troviamo la stessa teoria. Tutte le esperienze e le percezioni si originano all’interno dell’individuo; la conoscenza raccolta dall’esterno, ha luogo all’interno della mente. Ciò significa che tutto l’universo che stai conoscendo non è esterno, ma all’interno di te. Se tutto il tempo e lo spazio possono essere dentro di te, perché non possono esserlo anche l’amore e l’odio, l’orgoglio ed il pregiudizio?

Sembra che l’essere umano stia facendo esperienza di una grande allucinazione. Un mago può lanciare un incantesimo e tu vedi un bellissimo giardino o una donzella radiosa, poi un altro incantesimo e sparisce tutto. Cos’è successo? L’hai visto. Da dove è venuto fuori e dov’è andato? Il mago ha solo rivelato te stesso; la natura sta esprimendo te stesso; tu stai proiettando te stesso fuori. In ultima analisi, questa è la verità.

Come fa la mente a creare la materia?
Per la maggior parte di noi la mente è il veicolo del pensiero, uno strumento per il processo del pensiero, ma in yoga la mente è molto più di questo. Quando la mente è in uno stato di dissipazione, crea problemi ad essa stessa e quando è in uno stato d’infelicità, crea disastri per se stessa. Ma quando la stessa mente è addomesticata tramite la pratica di yoga, diventa un solido creatore. Come quando nel suo stato dissipato crea infelicità e disastri, in questo stato elevato può creare la materia, può creare oggetti.

In yoga la mente non è solo uno strumento del pensiero, è coscienza omogenea. Quando la mente è unificata e portata ad uno stato di concentrazione diventa potente. Quando prendete della materia e la disintegrate, alla fine si produrrà dell’energia nucleare. Allo stesso modo, quando la mente è purificata attraverso la meditazione e quando tutto ciò che rimane è la mente e non i desideri mondani e le associazioni, allora la mente diverrà shakti o potere, potenziale. Questo è come la mente diventa creativa.

C’è un detto: ‘La mente è al di sopra del corpo, i pensieri sono al di sopra della mente e la shakti è al di sopra dei pensieri.’ Potrebbe spiegarlo?
Questo può essere espresso in un altro modo: la mente è molto più potente del corpo, i pensieri sono molto più potenti della mente e la shakti è molto più potente dei pensieri. Può anche essere espresso come: la mente è più sottile del corpo, i pensieri sono più sottili della mente e la shakti è più sottile dei pensieri. Quest’espressione può anche essere invertita: shakti controlla i pensieri; tramite il controllo dei pensieri la mente è controllata e, tramite il controllo della mente, il corpo è controllato.

Come si addestra la mente?
Proprio come si addestra un bambino piccolo. Non iniziate ad educare un bambino insegnandogli matematica o geografia. La sua mente deve essere allenata, gradualmente e sistematicamente. Qualsiasi cosa gli insegnate, è una preparazione per uno stadio successivo. In questo modo, l’intero programma di yoga è inteso per allenare la mente in modo molto sistematico e completo.  

L’immaginazione è una buona cosa?
Si, credo di si. Immaginazione e fantasia sono le basi della creatività umana. Le persone che sono in grado di fantasticare e immaginare si sforzano di perfezionare quell’immaginazione e diventano creatori, inventori, musicisti ed artisti. Una persona senza immaginazione, senza kalpana shakti, è come un animale in forma umana.

Qual è il ruolo dell’intelletto?
Bene, per rispondere a questa domanda, citerò le parole di Sri Aurobindo: “L’intelletto un tempo era un facilitatore. Oggi è una barriera.” Ad un livello dovete accettare ed utilizzare l’intelletto, ma allo stadio finale dovete trascenderlo per poter sviluppare la consapevolezza spirituale interiore, che vi porterà agli stadi più elevati di illuminazione.

Cos’è l’intuizione?
L’intuizione è un tipo di cognizione. È una forma di conoscenza, ma non ha nessuna prova o sorgente. Quando percepite tramite gli occhi, il naso o le orecchie, è chiamata conoscenza sensoriale. Quando la percezione ha luogo tramite un processo logico, è chiamata conoscenza intellettuale. E quando la conoscenza ha luogo indipendentemente da tutte queste cose, è chiamata conoscenza intuitiva. L’intuizione si sviluppa tramite il procedimento della meditazione e di altre pratiche spirituali.