venerdì 21 marzo 2025

Yoga Panorama n.1, anno 2025

 

Indice:

Satsang con Swami Niranjanananda Saraswati


Qual è il significato dello Shanti Path, e perché viene ripetuto alla fine della lezione?

Shanti Path ha due significati. Uno è come mantra per la pace e la prosperità, e viene tradizionalmente ripetuto alla fine di ogni lezione yogica o spirituale per infondere nel corpo e nella mente sentimenti e vibrazioni positive. Questo è lo scopo principale dello Shanti Path. Aiuta anche a ricordare alla personalità psichica, la personalità che è influenzata dalle vibrazioni, un obiettivo spirituale.

Gli yogi hanno sempre visto l’essere umano come un essere spirituale. Questo non è solo un concetto; affermano che l’essere spirituale si sperimenta nella forma di un corpo, l’essere mentale si sperimenta nella forma di un corpo, nello stesso modo in cui l’essere fisico è sperimentato e percepito come corpo. Che siate cinesi, giapponesi, indiani o australiani, non importa chi siete, il corpo è lo stesso. Due braccia, due gambe, una testa, due occhi; è come un timbro di Dio che è stato messo dappertutto. L’altezza potrebbe essere diversa, il colore potrebbe essere diverso, potrebbero esserci alcune variazioni qua e là, come ad esempio un po' più lungo sul lato del punto vita, un po' più lungo sul lato delle spalle.

Allo stesso modo anche la mente è vista come dotata di un corpo, e le eccentricità della mente, la grassezza o la magrezza, l’altezza o la bassa statura della mente sono la personalità individuale. Ma la mente ha sicuramente una forma impercepibile per noi al momento.

Allo stesso modo anche l’atma, il corpo spirituale, ha una forma a noi sconosciuta al momento. Proprio come abbiamo a che fare con l’intelletto sul piano grossolano, il piano manifesto, così il corpo spirituale o atma interagisce in termini di vibrazioni, in forma di vibrazione. Comprende la vibrazione. Per comunicare esternamente usiamo l’hindi, l’inglese o qualsiasi altra lingua, ma internamente, per comunicare, abbiamo il linguaggio delle vibrazioni, che è universale. Molte persone lo percepiscono anche. Nella vita quotidiana potremmo avvertire una piacevole sensazione proveniente da qualcuno, o una sensazione orribile da un’altra persona, senza parlare, solo attraverso l’interazione delle vibrazioni.

I mantra tendono ad influenzare e risvegliare il campo vibratorio psichico. Che li comprendiate razionalmente, logicamente, o meno è irrilevante. Recitando e ripetendo un mantra si verifica una qualche forma di cambiamento interiore che potrebbe non essere sperimentato immediatamente a livello esterno.

Ogni mantra risveglia un centro particolare. Oltre ai chakra vi sono molti centri psichici intorno ai chakra stessi che possiamo comprendere osservando gli schemi dei chakra. Ogni mantra può stimolare e in effetti stimola uno dei centri minori e una combinazione di vari suoni può influenzare, modificare e indurre un cambiamento nell’attività complessiva dei chakra.

Quindi, quando ripetiamo lo shanti mantra alla fine di ogni lezione yogica o spirituale, accadono alcune cose. Dopo una lezione di yoga, dopo una conferenza, un satasang o un kirtan, si ha un certo cambiamento nell’atmosfera intorno e all’interno del corpo; intorno alla mente, nella struttura delle emozioni e nella struttura dello spirito. In quel momento, quando creiamo una vibrazione, questa influenza direttamente il corpo spirituale. Possiamo fare un esempio per spiegare in maniera approssimativa questo stato. Se siete totalmente coinvolti in qualche tipo di attività e un’altra persona arriva e vi chiede qualcosa di totalmente diverso, dovete pensare per qualche secondo. Dovete spostare l’attenzione, spostare la mente da un argomento e iniziare a pensare ad un altro. Per alcuni secondi dovete rompere lo schema precedente e iniziare a pensare lungo l’altra linea. Così quando pratichiamo la nostra meditazione o le nostre asana, pranayama, kriya, satsang, kirtan, la mente è distratta dal suo schema naturale di comportamento ed è coinvolta con un altro schema di comportamento e di azione. In quel momento entra il mantra, crea determinate increspature e poi svanisce. Poi, un’altra lezione di yoga, di nuovo quello stesso stato; entra il mantra, crea un’altra sensazione, e di nuovo svanisce. È come spazzare un tappeto molto sporco. All’inizio non si raccoglie molta polvere, ma continuando a passare più volte nello stesso punto, anche la polvere più sottile che si trova proprio in fondo viene sollevata. Lo Shanti Path è proprio un metodo per colpire l’aspetto vibratorio della nostra personalità, ancora e ancora, più e più volte. Alla fine le vibrazioni o i suoni risveglieranno quei centri psichici che corrispondono a quella vibrazione.

Certamente, la traduzione del mantra stesso è piuttosto interessante se le persone riescono a seguirla e a comprenderla:

Conducimi dall’irreale al reale;

Conducimi dall’oscurità alla luce.

Conducimi dalla morte all’immortalità.

Che ci siano felicità, pace, benessere

e contentezza in ogni dove.

Asato Maa Sad-Gamaya

Tamaso Maa Jyotir-Gamaya
Mrtyor-Maa Amrtam Gamaya
Om Shaantih Shaantih Shaantih

Non dovreste solo ripeterlo esternamente, ma anche sentirlo internamente: questo è lo scopo dello Shanti Path.

Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1992/9203/9203sat.html


Qual è il significato del Karma Sannyas?

Prima di poter comprendere il karma sannyas è necessario comprendere il sannyas; poi torneremo indietro al karma. Nel sannyas troviamo due concetti. Un concetto è viveka, comprensione o discriminazione; e l’altro concetto è vairagya, non attaccamento (distacco). Queste sono le due idee principali alla base della tradizione sannyas.

Certamente, tradizionalmente il sannyas era considerato come qualcosa destinato solo a quelle persone con inclinazioni psichiche o spirituali, che non hanno praticamente alcun obbligo verso il mondo. Coloro possono dedicare sé stessi totalmente al sadhana spirituale per la crescita personale e, allo stesso tempo, al seva, al servizio; a swadhyaya, lo studio di sé stessi; con pieno samarpan, abbandono. Vedete, ogni idea relativa al sannyas inizia con la lettera “s”, sia in inglese sia in sanscrito; studio, azione disinteressata e abbandono (“surrender” in inglese, ndt), ma i concetti principali sono viveka e vairagya, comprensione e non attaccamento.

Nella tradizione dello Yoga, la comprensione è classificata in molti gruppi diversi, come pratyaksh, evidenza diretta, e anuman, deduzione. Vi sono molte forme di comprensione: possiamo pensare, possiamo immaginare, possiamo vedere. Possiamo cercare di comprendere una cosa da molte angolazioni e livelli diversi, ma sapere quale comprensione e quale azione corrispondono alla situazione presente e quali non sono dannose o nocive per la pace o per la salute di qualcuno, questo è viveka.

Questo è uno dei sadhana più difficili che un Sannyasi possa fare perché richiede una totale osservazione dei propri limiti e delle proprie difficoltà personali ed anche la totale comprensione della situazione immediata che si sta vivendo in quel momento. È richiesta inoltre una comprensione totale delle persone coinvolte nella situazione attuale e che hanno una relazione con voi come individui. È il trovare una via di mezzo e non andare agli estremi della distruzione o della creazione, dove si costruiscono grandi speranze che improvvisamente possono venir spazzate via; dove si diventa così insicuri che tutto diventa nero e non si riesce ad elevarsi da questa oscurità. Trovare questa via di mezzo è viveka.

Poi c’è vairagya, avere ogni cosa ma non esserne attaccati. C’è distacco, e c’è non attaccamento. Il distacco è una versione avanzata del non attaccamento. Potete avere ogni cosa e sentire semplicemente di non avere nulla. Potete avere tutto ma non considerare nulla come qualcosa che sia vostro. Non c’è alcun legame emotivo, nessuna idea di “mio”. Pensare che questo è mio e che nessun altro può averlo, questo è attaccamento. Quando non c’è l’idea di “mio”, di appartenere o di desiderare un oggetto, anche se lo avete, qualsiasi cosa sia, questo è vairagya.

Distacco è taglio totale. No, non fa per me! Nel distacco creiamo una frattura tra i nostri desideri e l’altro aspetto della mente, l’oggettività. Nel non-attaccamento invece non c’è nessuna frattura. C’è un desiderio, ma allo stesso tempo c’è una consapevolezza oggettiva del desiderio. Questo si applica ad ogni situazione della vita e dovrebbe essere applicata nella vita di uno swami e di un karma sannyasi. Questi due principi dovrebbero essere applicati in ogni situazione e condizione della vita.

Poi entra in gioco il karma; nessuno al mondo è libero dal karma, che sia un rinunciante o una persona sociale. Se diventate un rinunciante totale, a cosa rinunciate? Potreste rinunciare alla sicurezza esterna, al cibo e mangiare solo verdure semplici e pasti crudi. Definirsi rinuncianti è scorretto. Potremmo rinunciare alla nostra auto, alla nostra casa, alla nostra famiglia, ma anche questo non è corretto.

Non c’è nessuna rinuncia. Abbiamo rinunciato al nostro corpo? Abbiamo rinunciato alle necessità del nostro corpo? No! Mangiamo ancora quando abbiamo fame, beviamo quando abbiamo sete, andiamo in bagno quando dobbiamo andarci. Quindi, dov’è questa rinuncia? Non abbiamo rinunciato alla mente. Facciamo quello che vogliamo fare, cerchiamo qualcosa di piacevole nella vita, stiamo seguendo la mente. Quindi a cosa abbiamo rinunciato? Al desiderio? No. Il desiderio è ancora lì, ma in una forma diversa. Nessuno al mondo è libero dal karma. Anche Dio se venisse su questo pianeta rientrerebbe all’interno dei confini dei karma della vita, dei karma del corpo, della mente e dello spirito.

Tuttavia è possibile trovare un equilibrio nei karma affinché non ci scuotano quando diventano intensi, quando diventano potenti, quando diventano una forza molto travolgente. Pertanto, nel libro “Karma Sannyasa”, Swamiji ha spiegato molto chiaramente che non bisogna rinunciare a nulla, non c’è bisogno di abbandonare nulla. Rimanete quello che siete esternamente, ma con un leggero cambiamento. Acquisite un’identità interiore.

Così come il corpo esterno è noto come John o Smith o Webster, allo stesso modo il corpo interno è identificato da un nome che è Swami tal dei tali Saraswati. Proprio come si esauriscono i karma del corpo esterno seguendo un sistema, una routine, una disciplina nella vita esterna, così cerchiamo di esaurire i karma del corpo interiore seguendo un particolare sadhana. Esauriamo i karma del corpo esterno e dell’ambiente circostante la vita esterna creando determinati desideri, e la motivazione e la spinta per realizzarli. Se voglio andare da questo luogo a quel luogo ogni giorno ho bisogno di un certo tipo di mezzo di trasporto, quindi nasce il desiderio di avere un’auto. Quindi inizio a risparmiare per comprarne una. Naturalmente si frappongono dei problemi. Potrebbe essere necessario molto tempo per guadagnare il denaro sufficiente, mentre altre persone possono riuscire ad averli prima. Ma c’è un desiderio, c’è una motivazione, un’azione e alla fine li otteniamo. Allo stesso modo, per il benessere interiore c’è una spinta, una motivazione e un’azione. E questa azione, questa spinta o motivazione per la vita interiore è il concetto di viveka e vairagya, la giusta comprensione e il non attaccamento.

Le idee di “Swami” e di “Saraswati” sono idee davvero fantastiche. In nessun posto al mondo potete ottenere un diploma prima di fare una tesi, tranne che nel sannyas. Qui prima si ottiene il diploma, un certificato di dottorato, e poi si deve fare la tesi. Swami significa “maestro del sè”. Il 99,99% delle persone non ci riesce; di solito sono soddisfatti del diploma. Ma lo 0,1% ci prova. Questo è il rapporto: lo 0,1% ci prova con la risoluzione di diventare maestro di sé.

Anche Saraswati è una delle tradizioni più elevate, perché Saraswati è la divinità dell’apprendimento e della saggezza. È come un albero genealogico, ma le persone che hanno la mente ristretta non sono adatte a definirsi parte dell’ordine Saraswati, perché l’idea principale alla base dell’ordine Saraswati è una visione ampia, una prospettiva ampia, per sapere, imparare e accettare tutto. Ma la mente è una, lo spirito è uno, l’obiettivo è uno e la direzione è una.

Questo è in breve il concetto del Karma Sannyasa, per maggiori chiarimenti, potreste leggere il libro “Karma Sannyasa” di Swamiji.

Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1992/9203/9203sat.html


Qual è il ruolo della fede nella pratica di uno stile di vita yogico?

 

Dipende: qual è la definizione di fede? La fede è solo in Dio? La fede è solo in qualcosa che facciamo qui e che ci collega con qualcosa che è lassù? Oppure la fede è avere fede in noi stessi? Quale frase di queste è corretta?

Nei testi yogici, la fede è stata descritta come shraddha, bhakti e Ishwar pranidhana. Queste sono le tre idee che compongono la fede. Shraddha significa due cose: umiltà e semplicità. Bhakti significa avere la comprensione di qualche forza superiore che è oltre questa particolare dimensione e che controlla ogni cosa, una forza motivante dietro la natura e l’esistenza. Questo è bhakti. Ishwar pranidhana significa arrendersi all’energia che è dentro di noi e che è immortale; ishwar significa “immortale” (il contrario di ishwara è nashwar, non immortale). Quindi arrendete voi stessi alla forza immortale che non muore. Questo è il concetto della fede nello yoga; umiltà, semplicità, consapevolezza di realtà superiori e arrendersi all’energia suprema. Questa è la definizione apparente di fede, ma nel nostro stile di vita yogico sperimentiamo la fede a molti livelli differenti. Se siete praticanti, ma considerate come stile di vita yogico solo asana e pranayama, allora non avete bisogno di questo tipo di fede. Fate le vostre asana, i vostri pranayama e andate avanti. Tuttavia, se siete interessati allo yoga per qualcosa di più profondo, più appagante e soddisfacente, allora è necessaria la fede. Questa fede inizia nella relazione che lo studente ha con l’insegnante e il discepolo con il guru. La fede nel guru diventa il primo passo, perché non importa cosa possa accadere, se c’è il collegamento allora c’è anche la determinazione.

Conoscete la storia di Milarepa: il suo guru, Marpa, era una persona orribile. Era uno dei santi più brillanti del Tibet a quei tempi ma il suo comportamento personale con Milarepa fu terribile. Lo maltrattava e lo picchiava a destra e a manca. Ogni tipo di atrocità che si possa pensare, lui lo fece a Milarepa. Lo faceva morire di fame, lo puniva, lo picchiava e lo faceva lavorare come uno schiavo, ma Milarepa aveva fede in lui, e fu questa fede che trasformò Milarepa in un santo. Quando il suo guru lo spinse giù della montagna, Milarepa non pensò che sarebbe morto. Pensò solo al suo guru e prima di schiantarsi a valle, migliaia di metri sotto di lui, una mano invisibile lo sollevò e lo riportò davanti al suo guru. Allora il guru disse: “Ecco fatto, ora sei un realizzato”. Questo è il sadhana, questo è la formazione che ricevette Milarepa. Milarepa non ricevette un’iniziazione formale alla meditazione o mantra diksha o questo o quello, no!

Quindi, la fede nel guru è la prima cosa nella vita di un discepolo. Poi viene la fede in sé stessi, in me stesso. Io conosco i miei limiti, so cosa posso provare a realizzare. Cercare di far emergere il meglio che è dentro di noi significa avere fede in noi stessi. Non significa sentirsi giù e depressi e dire: “No, non posso farcela”. La frase ‘non posso farcela’ non esiste quando si ha fiducia in sè stessi. L’intera mentalità, il modo di pensare, il modo di agire cambia in “Cercherò di realizzarlo, lo farò”! Se avrete successo o fallirete è tutta un’altra storia, ma la convinzione è questa: “Ce la posso fare”. “Ho fiducia in me stesso”.

La terza cosa è la fede in Dio, l’energia che dirige e governa ogni attività della creazione e della Natura. Quindi la fede, come esemplificata nei tre concetti di bhakti, shraddha e ishwara pranidhana, ha un posto importante nello stile di vita yogico e anche nella vita di qualsiasi aspirante spirituale.

Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1992/9203/9203sat.html



È necessario indossare abiti geru durante il soggiorno in ashram?

No, non è necessario: dipende da te. Certamente, quando indossate un’uniforme, automaticamente avete un senso di disciplina e di responsabilità. Potreste essere un agente di polizia, ma in abiti ordinari non comportarvi come tale. Poi, quando indossate l’uniforme, tutto il vostro comportamento cambia immediatamente. Sorge l’idea che “rappresento la Legge”. Allo stesso modo, potreste essere uno swami indipendentemente dal fatto di indossarne o meno i vestiti. Ma in un ashram ci sono cinquanta o cento persone, tutte che indossano il geru. Indossandolo anche voi, assorbite la loro vitalità, la loro determinazione e il loro senso di disciplina, perché diventate parte di loro. Si ha una fusione di personalità esterna, un’identificazione che avviene ogni volta che si indossa qualsiasi tipo di uniforme. Ma, certamente, non è un obbligo: siete liberi di scegliere.

Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1992/9203/9203sat.html

Nella pratica del kriya yoga, la devozione può proteggere dai disturbi della kundalini?

 

Quando si tratta di pratiche di yoga, più importante della devozione è un sistema, un metodo, una tecnica che può aiutare ad uscire da qualsiasi situazione di disturbo causata dal risveglio della kundalini. Il risveglio della kundalini avviene prima di tutto in pranamaya kosha, l’involucro o il corpo dell’energia pranica. Questa forza pranica può essere canalizzata solo attraverso un intenso potere mentale e attraverso le pratiche di pratyahara e dharana. Quindi la fede qui non gioca realmente nessun ruolo. La fede è un aspetto emozionale, e questo è più un aspetto pranico.

Il risveglio della kundalini avviene in tutti e cinque i livelli della personalità. In annamaya kosha, il corpo fisico, sperimentiamo vari tipi di sensazioni come tremore, calore, leggerezza, pesantezza, calore improvviso che viaggia lungo la colonna vertebrale, o sensazioni di freddo tremendo in particolari parti del corpo. Questa è la manifestazione della kundalini in annamaya kosha.

L’effetto della kundalini in manomaya kosha, il corpo della mente, è differente. Possono verificarsi stati improvvisi di euforia e improvvisi stati di depressione. Alcune persone potrebbero persino dire che qualcosa è andato storto ‘lassù’, ma non è così. È molto difficile stabilire quali esperienze mentali si stanno verificando e come possano essere correlate al risveglio della kundalini, perché attraversiamo vari stati di coscienza alterata in ogni momento della giornata, in ogni ora del giorno. Tuttavia, lo stato introdotto nella mente al momento del risveglio della kundalini ha un’intensità e una forza molto maggiori rispetto alle esperienze normali.

Avevamo una signora che soggiornava in ashram. Aveva delle esperienze tremende. Si addormentava profondamente e all’improvviso tutto il suo corpo sussultava. Durante il sonno, il suo corpo aveva degli spasmi naturali, spontanei. Era anche molto sensibile e provava emozioni molto più intense rispetto ad una persona normale, e questo la influenzava mentalmente ed emotivamente. All’improvviso, di notte, gridava nel sonno: “Sto morendo, salvatemi!” e cose del genere, ma dopo un’adeguata guida, è stata, poi, in grado di superare quello stato e rimanere semplicemente un testimone oggettivo delle cose che le accadono. Tuttavia, provava questa intensa paura dell’ignoto che la turbava molto.

Quando avviene il risveglio della kundalini, ci si trova al livello inferiore di muladhara o di swadhisthana. La materia mentale che è dentro di noi è destinata a manifestarsi consapevolmente, e qui la fede non ci aiuterà. Una tecnica che può aiutare ad uscire da questa fase sarà molto più efficace. Pranamaya kosha ha subito un cambiamento radicale. Vi è un totale cambiamento nella struttura energetica e nei chakra del corpo.

Vijyanamaya kosha è il processo di comprensione, è il corpo dell’intelletto. Anche questo subisce un enorme cambiamento, e iniziamo a percepire il mondo in modo diverso, in un colore diverso.

Anandamaya kosha è l’esperienza di sublimazione, unità e unicità. Quando il risveglio della kundalini avviene in anandamaya kosha, si ha bisogno della guida del guru, ed è qui che entra in gioco la fede. Non importa cosa accade in questa fase, se l’insegnante dice di fare qualcosa dovreste farla, per rompere lo schema della mente che si sta sperimentando in quel momento. Allora dovrebbe esserci forza e dovrebbe esserci la volontà di farlo. Quindi la fede nel guru è probabilmente la cosa più importante in questo caso, insieme a un sistema, una serie di tecniche che possono aiutarvi ad uscire da questa condizione.

Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1992/9203/9203sat.html


Quando la mente è irrequieta, quali pratiche di yoga sono consigliate?

 

Per un sollievo immediato della mente irrequieta, le pratiche di pranayama sono molto benefiche e consigliate. Non è necessario, se la mente si agita al mercato, sedersi e iniziare a chiudere il naso. Praticate il pranayama psichico, l’immaginazione mentale, osservando il respiro, la consapevolezza del respiro che entra da una narice ed esce dall’altra. Non dovete nemmeno chiudere gli occhi. Per la pratica di brahmari pranayama, non dovete chiudere le orecchie, ma semplicemente iniziare a canticchiare come quando si canticchia una melodia: mmmmmm. Questo aiuterà molto a rompere istantaneamente lo stato di irrequietezza ed ansia. E se la condizione persiste, allora naturalmente a casa potete fare altre pratiche: yoga nidra, antar mouna e la meditazione con il mantra per slegarvi. Tutte le pratiche di dharana,(concentrazione) e pratyahara (ritiro dei sensi) vi aiuteranno in questo processo.

Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1992/9203/9203sat.html