Prima
di poter comprendere il karma
sannyas
è necessario comprendere il sannyas;
poi torneremo indietro al karma.
Nel sannyas
troviamo due concetti. Un concetto è viveka,
comprensione o discriminazione; e l’altro concetto è vairagya,
non attaccamento (distacco).
Queste sono le due idee principali alla base della tradizione
sannyas.
Certamente,
tradizionalmente il sannyas
era considerato come qualcosa destinato solo a quelle persone con
inclinazioni psichiche o spirituali, che non hanno praticamente alcun
obbligo verso il mondo. Coloro possono dedicare sé stessi totalmente
al sadhana
spirituale per la crescita personale e, allo stesso tempo, al seva,
al servizio; a swadhyaya,
lo studio di sé stessi; con pieno samarpan,
abbandono. Vedete, ogni idea relativa al sannyas
inizia con la lettera “s”, sia in inglese sia in sanscrito;
studio, azione disinteressata e abbandono (“surrender” in
inglese, ndt), ma i concetti principali sono viveka
e vairagya,
comprensione e non attaccamento.
Nella
tradizione dello Yoga,
la comprensione è classificata in molti gruppi diversi, come
pratyaksh,
evidenza diretta, e anuman,
deduzione. Vi sono molte forme di comprensione: possiamo pensare,
possiamo immaginare, possiamo vedere. Possiamo cercare di comprendere
una cosa da molte angolazioni e livelli diversi, ma sapere quale
comprensione e quale azione corrispondono alla situazione presente e
quali non sono dannose o nocive per la pace o per la salute di
qualcuno, questo è viveka.
Questo
è uno dei sadhana
più difficili che un Sannyasi
possa fare perché richiede una totale osservazione dei propri limiti
e delle proprie difficoltà personali ed anche la totale comprensione
della situazione immediata che si sta vivendo in quel momento. È
richiesta inoltre una comprensione totale delle persone coinvolte
nella situazione attuale e che hanno una relazione con voi come
individui. È il trovare una via di mezzo e non andare agli estremi
della distruzione o della creazione, dove si costruiscono grandi
speranze che improvvisamente possono venir spazzate via; dove si
diventa così insicuri che tutto diventa nero e non si riesce ad
elevarsi da questa oscurità. Trovare questa via di mezzo è viveka.
Poi
c’è vairagya,
avere ogni cosa ma non esserne attaccati. C’è distacco, e c’è
non attaccamento. Il distacco è una versione avanzata del non
attaccamento. Potete avere ogni cosa e sentire semplicemente di non
avere nulla. Potete avere tutto ma non considerare nulla come
qualcosa che sia vostro. Non c’è alcun legame emotivo, nessuna
idea di “mio”. Pensare che questo è mio e che nessun altro può
averlo, questo è attaccamento. Quando non c’è l’idea di “mio”,
di appartenere o di desiderare un oggetto, anche se lo avete,
qualsiasi cosa sia, questo è vairagya.
Distacco
è taglio totale. No, non fa per me! Nel distacco creiamo una
frattura tra i nostri desideri e l’altro aspetto della mente,
l’oggettività. Nel non-attaccamento invece non c’è nessuna
frattura. C’è un desiderio, ma allo stesso tempo c’è una
consapevolezza oggettiva del desiderio. Questo si applica ad ogni
situazione della vita e dovrebbe essere applicata nella vita di uno
swami
e di un karma
sannyasi.
Questi due principi dovrebbero essere applicati in ogni situazione e
condizione della vita.
Poi
entra in gioco il karma;
nessuno al mondo è libero dal karma,
che sia un rinunciante o una persona sociale. Se diventate un
rinunciante totale, a cosa rinunciate? Potreste rinunciare alla
sicurezza esterna, al cibo e mangiare solo verdure semplici e pasti
crudi. Definirsi rinuncianti è scorretto. Potremmo rinunciare alla
nostra auto, alla nostra casa, alla nostra famiglia, ma anche questo
non è corretto.
Non
c’è nessuna rinuncia. Abbiamo rinunciato al nostro corpo? Abbiamo
rinunciato alle necessità del nostro corpo? No! Mangiamo ancora
quando abbiamo fame, beviamo quando abbiamo sete, andiamo in bagno
quando dobbiamo andarci. Quindi, dov’è questa rinuncia? Non
abbiamo rinunciato alla mente. Facciamo quello che vogliamo fare,
cerchiamo qualcosa di piacevole nella vita, stiamo seguendo la mente.
Quindi a cosa abbiamo rinunciato? Al desiderio? No. Il desiderio è
ancora lì, ma in una forma diversa. Nessuno al mondo è libero dal
karma.
Anche Dio se venisse su questo pianeta rientrerebbe all’interno dei
confini dei karma
della vita, dei karma
del corpo, della mente e dello spirito.
Tuttavia
è possibile trovare un equilibrio nei karma
affinché non ci scuotano quando diventano intensi, quando diventano
potenti, quando diventano una forza molto travolgente. Pertanto, nel
libro “Karma
Sannyasa”,
Swamiji
ha spiegato molto chiaramente che non bisogna rinunciare a nulla, non
c’è bisogno di abbandonare nulla. Rimanete quello che siete
esternamente, ma con un leggero cambiamento. Acquisite un’identità
interiore.
Così
come il corpo esterno è noto come John o Smith o Webster, allo
stesso modo il corpo interno è identificato da un nome che è Swami
tal dei tali Saraswati. Proprio come si esauriscono i karma
del corpo esterno seguendo un sistema, una routine, una disciplina
nella vita esterna, così cerchiamo di esaurire i karma
del corpo interiore seguendo un particolare sadhana.
Esauriamo i karma
del corpo esterno e dell’ambiente circostante la vita esterna
creando determinati desideri, e la motivazione e la spinta per
realizzarli. Se voglio andare da questo luogo a quel luogo ogni
giorno ho bisogno di un certo tipo di mezzo di trasporto, quindi
nasce il desiderio di avere un’auto. Quindi inizio a risparmiare
per comprarne una. Naturalmente si frappongono dei problemi. Potrebbe
essere necessario molto tempo per guadagnare il denaro sufficiente,
mentre altre persone possono riuscire ad averli prima. Ma c’è un
desiderio, c’è una motivazione, un’azione e alla fine li
otteniamo. Allo stesso modo, per il benessere interiore c’è una
spinta, una motivazione e un’azione. E questa azione, questa spinta
o motivazione per la vita interiore è il concetto di viveka
e
vairagya,
la giusta comprensione e il non attaccamento.
Le
idee di “Swami” e di “Saraswati” sono idee davvero
fantastiche. In nessun posto al mondo potete ottenere un diploma
prima di fare una tesi, tranne che nel sannyas.
Qui prima si ottiene il diploma, un certificato di dottorato, e poi
si deve fare la tesi. Swami
significa “maestro del sè”. Il 99,99% delle persone non ci
riesce; di solito sono soddisfatti del diploma. Ma lo 0,1% ci prova.
Questo è il rapporto: lo 0,1% ci prova con la risoluzione di
diventare maestro di sé.
Anche
Saraswati
è
una delle tradizioni più elevate, perché Saraswati
è la divinità dell’apprendimento e della saggezza. È come un
albero genealogico, ma le persone che hanno la mente ristretta non
sono adatte a definirsi parte dell’ordine Saraswati,
perché l’idea principale alla base dell’ordine
Saraswati
è una visione ampia, una prospettiva ampia, per sapere, imparare e
accettare tutto. Ma la mente è una, lo spirito è uno, l’obiettivo
è uno e la direzione è una.
Questo
è in breve il concetto del Karma
Sannyasa,
per maggiori chiarimenti, potreste leggere il libro “Karma
Sannyasa” di Swamiji.
Tratto
da: http://www.yogamag.net/archives/1990s/1992/9203/9203sat.html