lunedì 21 dicembre 2020

Il ruolo dello Yoga nel Migliorare la qualità della Vita

 

Swami Niranjanananda Saraswati

Qual è il ruolo dello yoga nel migliorare la qualità della vita? Non potrà mai esserci una risposta definitiva a una domanda del genere. Ognuno di noi dovrà trovare la propria risposta, nel proprio spazio, in piena sintonia con la risposta potendola applicare alla propria vita.

Karma: il libero arbitrio crea il destino
Prima di tutto dovremmo chiederci: “Come percepisco la vita?” Dal punto di vista yogico, la vita e la creazione sono un’interazione di karma. Ogni essere che entra in questa creazione in una qualsiasi forma, insetto, uccello o essere umano, è soggetto alla legge del karma. Il karma è il fattore decisivo della vita. Nel terzo capitolo della Bhagavad Gita, Sri Krishna afferma che il karma è il cardine della creazione. Il karma inizia nel momento del concepimento. La crescita del feto nell’utero è un processo karmico. La nascita è un processo karmico. L’attuazione delle capacità intellettuali e creative nella vita è una manifestazione del karma. Il karma può provenire dal passato; il karma può diventare il futuro; ed è sempre qui, nel presente. Il nostro ruolo in questo campo del karma è egocentrico e orientato verso noi stessi: siamo consapevoli solo di noi stessi.

Il termine karma evoca l’idea di causa ed effetto. Ogni condizione nella vita, che sia di piacere o di dolore, evocherà una risposta personale. Che tipo di risposta sarà dipende dall’intensità del karma, che a sua volta dipenderà da che tipo di attributo o guna innesca all’interno dell’individuo. Una persona che considerate vostro nemico o avversario può rimanere tale per quasi tutta la vita, fino al momento in cui uscirete di scena la considererete un nemico.

I dolori e i piaceri della vita non sono altro che le nostre risposte alle condizioni che esistono già intorno a noi. Anche la necessità o il desiderio della ricerca della felicità è una risposta a un condizionamento. A volte questi condizionamenti possono essere visti, analizzati e compresi; a volte agiscono come correnti sotterranee, che sono inconsce, invisibili e sottili.

Ciò che possiamo percepire e comprendere, possiamo gestirlo facilmente. Queste condizioni rientrano nell’ambito della comprensione intellettuale e possiamo cercare di trovare dei modi per superarle. Ma ci sono certe condizioni, che sono invisibili, ma che dominano l’intero comportamento ed espressione della nostra personalità, e che non siamo in grado di gestire o di controllare. Quando incontriamo questo tipo di situazioni, diciamo: “Oh, deve essere per il mio karma che devo affrontare tutto questo”. Quando qualcosa non viene compreso, perché proviene da un’influenza invisibile, sconosciuta e persino incontrollabile, lo chiamiamo karma. Ciò significa che, visibile o invisibile, c’è sempre qualche influenza che ci governa: la nostra natura e personalità, i nostri pensieri, espressioni, atteggiamenti e comportamenti. Quindi non stiamo parlando solo di come traiamo felicità da ciò che facciamo, perché questo è molto limitato se confrontato con l’intera dimensione dell’esistenza karmica.

Se vincete una lotteria diventate euforici, e vi rattristate se perdete qualcosa. La depressione o l’ansia di perdere qualcosa o qualcuno, come un lavoro o un amico, vi influenzerà solo per un limitato periodo di tempo, non per tutta la vita. Queste gioie e queste ansie rappresentano la consapevolezza momentanea della vostra partecipazione e coinvolgimento nelle condizioni esterne che continuano a influenzarvi anche quando non ne siete consapevoli.

Se pratico meditazione potrei essere felice per un po’, finché sarò in grado di dimenticare le mie difficoltà, ma ciò non indica che mi sono evoluto nella meditazione.

Piuttosto dovremmo riflettere sulla questione, non solo dalla nostra personale prospettiva, ma da una comprensione più ampia di come noi come esseri umani, come creature di Dio nella Sua creazione, funzioniamo, e da quali principi siamo guidati.

Gestire il karma con yama e niyama
Patanjali parla di un sentiero di otto stadi nello yoga: yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e samadhi. Quando Patanjali codificò lo yoga, i bisogni in quell’ambiente erano differenti dai bisogni nell’ambiente odierno. A quei tempi, le persone non avevano accesso a televisori, automobili, telefoni cellulari o computer. Vivevano una vita semplice, primitiva nei termini della società, ma sattvica dal punto di vista yogico.

In quello stato più naturale, dove la personalità era sattvica, incontaminata dai bisogni di lusso e comodità, l’approccio alla psicologia e allo yoga non avveniva attraverso il corpo, ma tramite il raffinamento delle espressioni mentali e del comportamento. Patanjali mise yama e niyama rispettivamente come il primo e il secondo componente dello yoga perché è con questi che si inizia a raffinare le espressioni mentali. Dopo si passa alla pratica delle asana, che è il terzo stadio. L’affermazione di apertura degli Yoga Sutra è: “Yoga chitta vritti nirodhah”, che si riferisce al raffinamento delle espressioni mentali.

Tuttavia, nell’ambiente del giorno d’oggi, dove abbiamo adottato una mente materialistica e ci siamo identificati principalmente con i bisogni del corpo, asana e pranayama sono diventati molto importanti per noi, quindi pratichiamo per prima cosa asana e pranayama. Poi ci sono pratyahara e dharana che sono importanti per gestire le frustrazioni della mente. Solo una volta che c’è una parvenza di controllo sulla mente possiamo iniziare a pensare a come realizzare cambiamenti qualitativi nella nostra vita attraverso yama e niyama.

La trasformazione attraverso yama e niyama
L’adozione di yama e niyama diventa quindi una parte della trasformazione meditativa che sperimentiamo attraverso lo yoga. Consideriamo i cinque niyama. Nella meditazione si sperimenta la purezza, shaucha; la contentezza, santosha e l’autoanalisi, swadhyaya. La meditazione diventa un processo di purificazione di sé stessi da tutta la spazzatura accumulata nel tempo, che è tapasya. La meditazione diventa uno strumento per imparare a lasciar andare e arrendersi, Ishwara pranidhana. La meditazione diventa uno strumento anche per vivere i cinque yama, per vivere la verità, satya. Con questa purificazione della natura, l’intensità della violenza retrocede dalla personalità e ciò si riflette dal seguire ahimsa. Asteya, non rubare; aparigraha, vivere semplicemente e non essere possessivi, e brahmacharya, tenere sempre a mente l’obiettivo più elevato, diventano naturali e spontanei.

Il mettere in atto yama e niyama è ciò a cui aspiriamo nella pratica del karma yoga, del bhakti yoga e del jnana yoga. Satya, verità, non può essere parte di noi finché non ci siamo stabilizzati nel jnana yoga. Jnana yoga significa applicare la saggezza in modo che non ci sia falsità; c’è solo la verità. Allo stesso modo, ahimsa non può essere parte di noi finché non ci siamo stabilizzati nel karma yoga. Quindi yama e niyama sono pratiche complementari agli altri yoga, e quando iniziamo a viverli, ci muoviamo in una consapevolezza meditativa che è continua e costante, e non solo fugace. È lo stesso senso di continuità e ordine che ora dobbiamo applicare nella nostra vita.

Dopo aver praticato asana, pranayama, pratyahara e dharana, vi sentirete liberi nel corpo, più rilassati, con maggior vitalità e concentrazione. Invece di provare solo a meditare, applicate il vostro apprendimento e tornate al primo gradino di Patanjali, che è quello di adottare yama e niyama. È a questo punto che smetterete di essere un praticante di yoga e diventerete uno yogi. Chiunque pratichi un po' di medicina può essere chiamato medico, ma in realtà per qualificarsi tale è necessaria una formazione specifica. In maniera simile, per diventare uno yogi, occorre questo specifico allenamento all’interno delle maglie di yama e niyama per prepararsi a dhyana e al samadhi. Questo è l’approccio che occorre adottare per poter praticare yoga nella vita di oggi.

Gestire il karma con sanyam
Il secondo punto nella gestione del karma che condiziona la nostra vita è sanyam. Sanyam può essere usato come mezzo per vedere quanto siete progrediti. 

Sanyam significa moderazione, guida controllata o prendere il comando. I cavalli selvaggi corrono ovunque, ma una volta addestrati, potrete cavalcarli e obbediranno ai vostri ordini.

Il primo componente è il controllo sulla parola, vani sanyam in sanscrito. Non è una cosa semplice da ottenere, ma controllando la parola si genera un’energia di elevata intensità. Da vani sanyam nasce vak siddhi, il potere di emettere parola. La parola di chi ha questo tipo di controllo trasmette potere, genera shakti, al punto che ciò che dice diventa realtà. Tali persone penseranno sempre nel modo più positivo, propizio e appropriato, e quindi diranno sempre la verità, perché la parola è lo strumento per esprimere lo stato d’animo.

La mente è una cosa molto particolare; è un fascio di energia immagazzinata e i pensieri si irradiano come onde elettromagnetiche. Tutti i pensieri sono nell’ambiente. Non possiamo vederli, così come non possiamo vedere le onde radio o altre onde, ma con gli strumenti appropriati possiamo catturarle. Con una radio possiamo catturare le onde radio. Allo stesso modo, se avessimo qualcosa come un “pensierometro”, potremmo catturare i nostri pensieri e ascoltarli come una radio.

Conosco Swami Satyananda dalla nascita. Molti altri che lo conoscono da tanto tempo sono testimoni del fatto che nessuno ha mai sentito una sua dichiarazione negativa. Non pensa mai niente di negativo, sorride sempre, pensando a tutte cose buone. Nemmeno una volta l’ho sentito dire qualcosa di male su qualcuno, nemmeno su quelle persone che gli hanno fatto del male. Confrontiamo questo con la nostra vita. Noi pensiamo male degli altri costantemente; non ci è possibile essere liberi dalle reazioni nemmeno per mezz’ora su ventiquattro ore.

La seconda componente è il controllo della mente, manas sanyam. Questo significa essere abili di guidare e dirigere le proprie espressioni mentali in modo positivo, creativo e costruttivo. Significa essere sempre vigili, in grado di ritrarre la mente dalla gravitazione verso le tendenze tamasiche e dirigerla verso le tendenze sattwiche. Quando sopraggiunge un pensiero negativo, dovete interromperlo immediatamente e sostituirlo con uno positivo. È molto simile alla pratica di Brahma vichara sadhana, dove si estende il proprio amore e compassione non solo a quelli che amate, ma anche a coloro che odiate. Allo stesso modo, dovrebbe esserci la capacità di riconoscere lo stato mentale che gravita verso tamas e avere la forza di dirottarlo verso sattwa.

La terza componente è karma sanyam: limitazione delle azioni. Ciò comporta il guidare ogni azione in modo che giunga alla conclusione più positiva e soddisfacente. Queste tre forme di sanyam sono perseguite nello yoga al fine di mantenere la consapevolezza di sattwa, della luminosità, della luce e della saggezza. Una volta che si è in grado di mantenere lo stato di sattwa avvengono cambiamenti qualitativi nella vita. È al livello di karma sanyam che le qualità interiori devono essere gestite tramite swadhyaya, la comprensione di sé.

La pratica personale SWAN
Due sono le pratiche che si possono fare. Una è cambiare l’atteggiamento attuale. Le nostre azioni e i nostri atteggiamenti nella vita sono governate dalle nostre forze, debolezze, ambizioni e necessità: quello che noi chiamiamo principio SWAN. S come forze (strenght, in inglese), W come debolezze (weakness), A come ambizioni e N come necessità. Pensate di riuscire a capire voi stessi chiedendovi “Chi sono io?”. No, è una domanda irrilevante. La risposta è semplice: “Io sono quello che sono”. L’autoanalisi, l’auto-osservazione, l’auto-comprensione iniziano mettendo insieme i pezzi del puzzle della nostra vita e imparando a distinguere tra i punti di forza, le debolezze, le ambizioni e le necessità. Swadhyaya fornisce una comprensione approfondita della nostra natura e delle qualità che ci fanno risponde in un modo particolare.

A volte le debolezze sono così preponderanti che abbiamo bassa autostima e la confusione e i dubbi si insinuano. A volte le forze sono così preponderanti che diventiamo troppo sicuri, arroganti e avventati. Molte cose possono avvenire in ognuna delle quattro fasi e la comprensione di tutto ciò è conosciuto come swadhyaya.

Come esercizio, potete fare un elenco privato delle vostre forze, debolezze, ambizioni e necessità. Un giorno scrivete tutto e conservate quello che avete scritto. La settimana successiva scrivete un altro elenco e conservate anche quello. Andate avanti così per quattro settimane. Poi prendete tutti e quattro gli elenchi e confrontateli. Scoprirete che nel corso delle settimane avrete aggiunto delle qualità e rimosse delle altre, ma alcune saranno sempre presenti. Cerate di occuparvi prima di quelle presenti in ogni elenco. Cercate, nel miglior modo che vi è possibile, di coltivare queste forze, di superare le debolezze, di comprendere le vostre ambizioni e di soddisfare i vostri bisogni. Questa è la vostra personale pratica di swadhyaya e di karma sanyam a livello personale.

Pratica cinematografica interattiva
L’altra pratica che potete fare è a livello di interazione. Quando andate a letto la sera vedetevi come in un film, iniziando dalla mattina quando vi siete svegliati e terminando la sera quando vi siete coricati. Ripassate nella mente tutte le cose che avete fatto: cosa avete mangiato a colazione, dove vi siete seduti, con chi, di cosa avete parlato, ogni cosa. Rivivendo ogni momento della giornata vi imbatterete in situazioni in cui vi renderete conto che non avreste dovuto reagire in quel modo. A quel punto, premete il pulsante pausa del vostro film quotidiano. Per cinque minuti pensate: “Se dovessi imbattermi di nuovo nella stessa situazione, come reagirei, sapendo ciò che so ora?” Poi premete di nuovo il tasto play e continuate con il film.

Continuate così. Alcuni eventi si ripeteranno diverse volte fino a che non entreranno nell’ambito della vostra consapevolezza e noterete: “ È qui che sto commettendo un errore. O sono troppo debole o troppo aggressivo. Qui non sono stato in grado di trasmettere ciò che intendevo. Là forse sono stato troppo aperto e alle persone non interessava.” Nel corso del tempo il vostro comportamento e le vostre risposte cambieranno in relazione alle situazioni esterne e all’ambiente. 

Man mano che cambieranno, vi sentirete maggiormente soddisfatti, più appagati e contenti di voi stessi perché starete facendo del vostro meglio.

Vivere come un essere umano
Abbiamo formulato un sankalpa, una risoluzione: vivere la vita da essere umano e non come un animale che reagisce a ogni situazione. Quindi il primo componente per migliorare la qualità della vita è essere consapevoli che ora i nostri sforzi guidano il nostro destino futuro. La conoscenza di noi stessi tramite swadhyaya contribuisce a migliorare la qualità del sanyam nella nostra vita. Ciò influisce sul nostro karma e sulla qualità presente e futura della nostra vita.

Il secondo componente per migliorare la vita è rendersi conto che dovremmo inserire nel nostro ambiente lo yoga con la pratica di asana, pranayama, pratyahara e dharana, poi procedere con yama e niyama e adottarne uno nella nostra vita. Alla Bihar Yoga Bharati diamo questa disciplina agli studenti. Diciamo loro di scegliere uno yama e un niyama che possono perfezionare mentre vivono qui. Alcuni lo fanno altri no, ma quelli che lo fanno possono vedere il cambiamento nella loro vita e connettersi con lo yoga in un modo molto più profondo e sincero.

Il terzo componente è la pratica di sanyam: limitazione della parola, del pensiero e dell’azione. Questi tre passaggi iniziali vi porteranno più in profondità nel processo yogico che toccherà e trasformerà la vostra vita.

Ganga Darshan, Dicembre 2003