Swami
Niranjanananda Saraswati
Qual
è il ruolo dello yoga nel migliorare la qualità della vita?
Non potrà mai esserci una risposta definitiva a una domanda del
genere. Ognuno di noi dovrà trovare la propria risposta, nel proprio
spazio, in piena sintonia con la risposta potendola applicare alla
propria vita.
Karma:
il libero arbitrio crea il destino
Prima
di tutto dovremmo chiederci: “Come percepisco la vita?” Dal punto
di vista yogico, la vita e la creazione sono un’interazione di
karma. Ogni essere che entra in questa creazione in una
qualsiasi forma, insetto, uccello o essere umano, è soggetto alla
legge del karma. Il karma è il fattore decisivo della
vita. Nel terzo capitolo della Bhagavad Gita, Sri Krishna
afferma che il karma è il cardine della creazione. Il karma
inizia nel momento del concepimento. La crescita del feto nell’utero
è un processo karmico. La nascita è un processo karmico.
L’attuazione delle capacità intellettuali e creative nella vita è
una manifestazione del karma. Il karma può provenire
dal passato; il karma può diventare il futuro; ed è sempre
qui, nel presente. Il nostro ruolo in questo campo del karma è
egocentrico e orientato verso noi stessi: siamo consapevoli solo di
noi stessi.
Il
termine karma evoca l’idea di causa ed effetto. Ogni
condizione nella vita, che sia di piacere o di dolore, evocherà una
risposta personale. Che tipo di risposta sarà dipende dall’intensità
del karma, che a sua volta dipenderà da che tipo di attributo
o guna innesca all’interno dell’individuo. Una persona
che considerate vostro nemico o avversario può rimanere tale per
quasi tutta la vita, fino al momento in cui uscirete di scena la
considererete un nemico.
I
dolori e i piaceri della vita non sono altro che le nostre risposte
alle condizioni che esistono già intorno a noi. Anche la necessità
o il desiderio della ricerca della felicità è una risposta a un
condizionamento. A volte questi condizionamenti possono essere visti,
analizzati e compresi; a volte agiscono come correnti sotterranee,
che sono inconsce, invisibili e sottili.
Ciò
che possiamo percepire e comprendere, possiamo gestirlo facilmente.
Queste condizioni rientrano nell’ambito della comprensione
intellettuale e possiamo cercare di trovare dei modi per superarle.
Ma ci sono certe condizioni, che sono invisibili, ma che dominano
l’intero comportamento ed espressione della nostra personalità, e
che non siamo in grado di gestire o di controllare. Quando
incontriamo questo tipo di situazioni, diciamo: “Oh, deve essere
per il mio karma che devo affrontare tutto questo”. Quando
qualcosa non viene compreso, perché proviene da un’influenza
invisibile, sconosciuta e persino incontrollabile, lo chiamiamo
karma. Ciò significa che, visibile o invisibile, c’è
sempre qualche influenza che ci governa: la nostra natura e
personalità, i nostri pensieri, espressioni, atteggiamenti e
comportamenti. Quindi non stiamo parlando solo di come traiamo
felicità da ciò che facciamo, perché questo è molto limitato se
confrontato con l’intera dimensione dell’esistenza karmica.
Se
vincete una lotteria diventate euforici, e vi rattristate se perdete
qualcosa. La depressione o l’ansia di perdere qualcosa o qualcuno,
come un lavoro o un amico, vi influenzerà solo per un limitato
periodo di tempo, non per tutta la vita. Queste gioie e queste ansie
rappresentano la consapevolezza momentanea della vostra
partecipazione e coinvolgimento nelle condizioni esterne che
continuano a influenzarvi anche quando non ne siete consapevoli.
Se
pratico meditazione potrei essere felice per un po’, finché sarò
in grado di dimenticare le mie difficoltà, ma ciò non indica che mi
sono evoluto nella meditazione.
Piuttosto
dovremmo riflettere sulla questione, non solo dalla nostra personale
prospettiva, ma da una comprensione più ampia di come noi come
esseri umani, come creature di Dio nella Sua creazione, funzioniamo,
e da quali principi siamo guidati.
Gestire
il karma con yama e niyama
Patanjali
parla di un sentiero di otto stadi nello yoga: yama,
niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e samadhi.
Quando Patanjali codificò lo yoga, i bisogni in
quell’ambiente erano differenti dai bisogni nell’ambiente
odierno. A quei tempi, le persone non avevano accesso a televisori,
automobili, telefoni cellulari o computer. Vivevano una vita
semplice, primitiva nei termini della società, ma sattvica
dal punto di vista yogico.
In
quello stato più naturale, dove la personalità era sattvica,
incontaminata dai bisogni di lusso e comodità, l’approccio alla
psicologia e allo yoga non avveniva attraverso il corpo, ma
tramite il raffinamento delle espressioni mentali e del
comportamento. Patanjali mise yama e niyama
rispettivamente come il primo e il secondo componente dello yoga
perché è con questi che si inizia a raffinare le espressioni
mentali. Dopo si passa alla pratica delle asana, che è il
terzo stadio. L’affermazione di apertura degli Yoga Sutra è: “Yoga
chitta vritti nirodhah”, che si riferisce al raffinamento delle
espressioni mentali.
Tuttavia,
nell’ambiente del giorno d’oggi, dove abbiamo adottato una mente
materialistica e ci siamo identificati principalmente con i bisogni
del corpo, asana e pranayama sono diventati molto
importanti per noi, quindi pratichiamo per prima cosa asana e
pranayama. Poi ci sono pratyahara e dharana che
sono importanti per gestire le frustrazioni della mente. Solo una
volta che c’è una parvenza di controllo sulla mente possiamo
iniziare a pensare a come realizzare cambiamenti qualitativi nella
nostra vita attraverso yama e niyama.
La
trasformazione attraverso yama e niyama
L’adozione
di yama e niyama diventa quindi una parte della
trasformazione meditativa che sperimentiamo attraverso lo yoga.
Consideriamo i cinque niyama. Nella meditazione si sperimenta
la purezza, shaucha; la contentezza, santosha e
l’autoanalisi, swadhyaya. La meditazione diventa un processo
di purificazione di sé stessi da tutta la spazzatura accumulata nel
tempo, che è tapasya. La meditazione diventa uno strumento
per imparare a lasciar andare e arrendersi, Ishwara pranidhana.
La meditazione diventa uno strumento anche per vivere i cinque yama,
per vivere la verità, satya. Con questa purificazione della
natura, l’intensità della violenza retrocede dalla personalità e
ciò si riflette dal seguire ahimsa. Asteya, non
rubare; aparigraha, vivere semplicemente e non essere
possessivi, e brahmacharya, tenere sempre a mente l’obiettivo
più elevato, diventano naturali e spontanei.
Il
mettere in atto yama e niyama è ciò a cui aspiriamo
nella pratica del karma yoga, del bhakti yoga e del
jnana yoga. Satya, verità, non può essere parte di
noi finché non ci siamo stabilizzati nel jnana yoga. Jnana
yoga significa applicare la saggezza in modo che non ci sia
falsità; c’è solo la verità. Allo stesso modo, ahimsa non
può essere parte di noi finché non ci siamo stabilizzati nel karma
yoga. Quindi yama e niyama sono pratiche
complementari agli altri yoga, e quando iniziamo a viverli, ci
muoviamo in una consapevolezza meditativa che è continua e costante,
e non solo fugace. È lo stesso senso di continuità e ordine che ora
dobbiamo applicare nella nostra vita.
Dopo
aver praticato asana, pranayama, pratyahara e dharana,
vi sentirete liberi nel corpo, più rilassati, con maggior vitalità
e concentrazione. Invece di provare solo a meditare, applicate il
vostro apprendimento e tornate al primo gradino di Patanjali, che è
quello di adottare yama e niyama. È a questo punto che
smetterete di essere un praticante di yoga e diventerete uno
yogi. Chiunque pratichi un po' di medicina può essere
chiamato medico, ma in realtà per qualificarsi tale è necessaria
una formazione specifica. In maniera simile, per diventare uno yogi,
occorre questo specifico allenamento all’interno delle maglie di
yama e niyama per prepararsi a dhyana e al
samadhi. Questo è l’approccio che occorre adottare per
poter praticare yoga nella vita di oggi.
Gestire
il karma con sanyam
Il
secondo punto nella gestione del karma che condiziona la
nostra vita è sanyam. Sanyam può essere usato come
mezzo per vedere quanto siete progrediti.
Sanyam significa
moderazione, guida controllata o prendere il comando. I cavalli
selvaggi corrono ovunque, ma una volta addestrati, potrete cavalcarli
e obbediranno ai vostri ordini.
Il
primo componente è il controllo sulla parola, vani sanyam in
sanscrito. Non è una cosa semplice da ottenere, ma controllando la
parola si genera un’energia di elevata intensità. Da vani
sanyam nasce vak siddhi, il potere di emettere parola. La
parola di chi ha questo tipo di controllo trasmette potere, genera
shakti, al punto che ciò che dice diventa realtà. Tali
persone penseranno sempre nel modo più positivo, propizio e
appropriato, e quindi diranno sempre la verità, perché la parola è
lo strumento per esprimere lo stato d’animo.
La
mente è una cosa molto particolare; è un fascio di energia
immagazzinata e i pensieri si irradiano come onde elettromagnetiche.
Tutti i pensieri sono nell’ambiente. Non possiamo vederli, così
come non possiamo vedere le onde radio o altre onde, ma con gli
strumenti appropriati possiamo catturarle. Con una radio possiamo
catturare le onde radio. Allo stesso modo, se avessimo qualcosa come
un “pensierometro”, potremmo catturare i nostri pensieri e
ascoltarli come una radio.
Conosco
Swami Satyananda dalla nascita. Molti altri che lo conoscono da tanto
tempo sono testimoni del fatto che nessuno ha mai sentito una sua
dichiarazione negativa. Non pensa mai niente di negativo, sorride
sempre, pensando a tutte cose buone. Nemmeno una volta l’ho sentito
dire qualcosa di male su qualcuno, nemmeno su quelle persone che gli
hanno fatto del male. Confrontiamo questo con la nostra vita. Noi
pensiamo male degli altri costantemente; non ci è possibile essere
liberi dalle reazioni nemmeno per mezz’ora su ventiquattro ore.
La
seconda componente è il controllo della mente, manas sanyam.
Questo significa essere abili di guidare e dirigere le proprie
espressioni mentali in modo positivo, creativo e costruttivo.
Significa essere sempre vigili, in grado di ritrarre la mente dalla
gravitazione verso le tendenze tamasiche e dirigerla verso le
tendenze sattwiche. Quando sopraggiunge un pensiero negativo,
dovete interromperlo immediatamente e sostituirlo con uno positivo. È
molto simile alla pratica di Brahma vichara sadhana, dove si
estende il proprio amore e compassione non solo a quelli che amate,
ma anche a coloro che odiate. Allo stesso modo, dovrebbe esserci la
capacità di riconoscere lo stato mentale che gravita verso tamas
e avere la forza di dirottarlo verso sattwa.
La
terza componente è karma sanyam: limitazione delle azioni.
Ciò comporta il guidare ogni azione in modo che giunga alla
conclusione più positiva e soddisfacente. Queste tre forme di sanyam
sono perseguite nello yoga al fine di mantenere la
consapevolezza di sattwa, della luminosità, della luce e
della saggezza. Una volta che si è in grado di mantenere lo stato di
sattwa avvengono cambiamenti qualitativi nella vita. È al
livello di karma sanyam che le qualità interiori devono
essere gestite tramite swadhyaya, la comprensione di sé.
La
pratica personale SWAN
Due
sono le pratiche che si possono fare. Una è cambiare l’atteggiamento
attuale. Le nostre azioni e i nostri atteggiamenti nella vita sono
governate dalle nostre forze, debolezze, ambizioni e necessità:
quello che noi chiamiamo principio SWAN. S come forze (strenght, in
inglese), W come debolezze (weakness), A come ambizioni e N come
necessità. Pensate di riuscire a capire voi stessi chiedendovi “Chi
sono io?”. No, è una domanda irrilevante. La risposta è semplice:
“Io sono quello che sono”. L’autoanalisi, l’auto-osservazione,
l’auto-comprensione iniziano mettendo insieme i pezzi del puzzle
della nostra vita e imparando a distinguere tra i punti di forza, le
debolezze, le ambizioni e le necessità. Swadhyaya fornisce
una comprensione approfondita della nostra natura e delle qualità
che ci fanno risponde in un modo particolare.
A
volte le debolezze sono così preponderanti che abbiamo bassa
autostima e la confusione e i dubbi si insinuano. A volte le forze
sono così preponderanti che diventiamo troppo sicuri, arroganti e
avventati. Molte cose possono avvenire in ognuna delle quattro fasi e
la comprensione di tutto ciò è conosciuto come swadhyaya.
Come
esercizio, potete fare un elenco privato delle vostre forze,
debolezze, ambizioni e necessità. Un giorno scrivete tutto e
conservate quello che avete scritto. La settimana successiva scrivete
un altro elenco e conservate anche quello. Andate avanti così per
quattro settimane. Poi prendete tutti e quattro gli elenchi e
confrontateli. Scoprirete che nel corso delle settimane avrete
aggiunto delle qualità e rimosse delle altre, ma alcune saranno
sempre presenti. Cerate di occuparvi prima di quelle presenti in ogni
elenco. Cercate, nel miglior modo che vi è possibile, di coltivare
queste forze, di superare le debolezze, di comprendere le vostre
ambizioni e di soddisfare i vostri bisogni. Questa è la vostra
personale pratica di swadhyaya e di karma sanyam a
livello personale.
Pratica
cinematografica interattiva
L’altra
pratica che potete fare è a livello di interazione. Quando andate a
letto la sera vedetevi come in un film, iniziando dalla mattina
quando vi siete svegliati e terminando la sera quando vi siete
coricati. Ripassate nella mente tutte le cose che avete fatto: cosa
avete mangiato a colazione, dove vi siete seduti, con chi, di cosa
avete parlato, ogni cosa. Rivivendo ogni momento della giornata vi
imbatterete in situazioni in cui vi renderete conto che non avreste
dovuto reagire in quel modo. A quel punto, premete il pulsante pausa
del vostro film quotidiano. Per cinque minuti pensate: “Se dovessi
imbattermi di nuovo nella stessa situazione, come reagirei, sapendo
ciò che so ora?” Poi premete di nuovo il tasto play e continuate
con il film.
Continuate
così. Alcuni eventi si ripeteranno diverse volte fino a che non
entreranno nell’ambito della vostra consapevolezza e noterete: “
È qui che sto commettendo un errore. O sono troppo debole o troppo
aggressivo. Qui non sono stato in grado di trasmettere ciò che
intendevo. Là forse sono stato troppo aperto e alle persone non
interessava.” Nel corso del tempo il vostro comportamento e le
vostre risposte cambieranno in relazione alle situazioni esterne e
all’ambiente.
Man mano che cambieranno, vi sentirete maggiormente
soddisfatti, più appagati e contenti di voi stessi perché starete
facendo del vostro meglio.
Vivere
come un essere umano
Abbiamo
formulato un sankalpa, una risoluzione: vivere la vita da
essere umano e non come un animale che reagisce a ogni situazione.
Quindi il primo componente per migliorare la qualità della vita è
essere consapevoli che ora i nostri sforzi guidano il nostro destino
futuro. La conoscenza di noi stessi tramite swadhyaya
contribuisce a migliorare la qualità del sanyam nella nostra
vita. Ciò influisce sul nostro karma e sulla qualità
presente e futura della nostra vita.
Il
secondo componente per migliorare la vita è rendersi conto che
dovremmo inserire nel nostro ambiente lo yoga con la pratica
di asana, pranayama, pratyahara e dharana, poi
procedere con yama e niyama e adottarne uno nella
nostra vita. Alla Bihar Yoga Bharati diamo questa disciplina
agli studenti. Diciamo loro di scegliere uno yama e un niyama
che possono perfezionare mentre vivono qui. Alcuni lo fanno altri no,
ma quelli che lo fanno possono vedere il cambiamento nella loro vita
e connettersi con lo yoga in un modo molto più profondo e
sincero.
Il
terzo componente è la pratica di sanyam: limitazione della
parola, del pensiero e dell’azione. Questi tre passaggi iniziali vi
porteranno più in profondità nel processo yogico che toccherà e
trasformerà la vostra vita.
Ganga
Darshan, Dicembre 2003