Swami Chidprakash Saraswati
2°parte
L’esperienza comune,
mia e di molte persone, in ashram a
Rikhia e a Munger è di trovarsi in un luogo equilibrato, piacevole, che dà protezione.
Sono luoghi dove si percepisce la forza delle intense pratiche spirituali che
vi si compiono. La sensazione più comune che si ha è la percezione che qui
l’anima si riposa, gioisce, e chi non ha una direzione nella vita, qui la
trova. Quando vi sono dei programmi quello che stupisce i visitatori, oltre
alla bellezza dei canti dei mantra o
di qualsiasi altro programma in corso, è l’accuratezza, la precisione, insieme
alla purezza e alla semplicità, messe in ogni minimo dettaglio!
Un’altra mia esperienza
è che in ashram avviene qualcosa di
magico: se in tutta l’India i samskara,
i cambiamenti interiori, viaggiano dieci volte più velocemente del normale, qui
cento volte di più. Ciò che intendo dire con l’espressione “i samskara viaggiano più velocemente” è
che, man mano, ci si avvicina sempre più a scoprire qual è la propria natura, a
percepire chi siamo veramente, a vedere quei lati dalla propria personalità che
non si sapeva d’avere, ecc.
Personalmente sono
sempre stato un tipo un po’ solitario, uno spirito libero. Mi piace stare in
mezzo alla gente, ma preferisco osservare le persone da una certa distanza
piuttosto che essere invischiato o coinvolto nel turbinio della presenza
altrui. E in ashram ho sempre trovato il luogo adatto per vivere questo lato
della mia personalità.
Molte persone
descrivono l’ashram come una grande
famiglia, un luogo dove poter godere di quella gioia interiore ed esteriore
appagante e costruttiva. Questo è sicuramente vero ed è una delle esperienze
che ho fatto, ma quest’aspetto non è stato per me uno dei più importanti.
Quello che ho
fortemente sperimentato è che a ogni evento a cui ho partecipato ho imparato
tantissimo e ognuno di essi ha contribuito a trasformare la mia intera
personalità ad ogni livello.
Programmi come la Sat
Chandi Maha Yajna, Yoga Purnima, Maha Lakshmi Narayana Mahayajna, il Convegno
Internazionale dello Yoga con Sudarshan Mahayajna sono stati delle vere
benedizioni su di me.
Quello che ho notato
partecipando ai vari programmi in ashram è che tutti i partecipanti fanno
esperienza di tre aspetti contemporaneamente:
1. Tutti sono impegnati
affinché il programma funzioni in tutti i dettagli.
2. Le persone che
s’incontrano a ogni evento non si incontrano a caso. Ognuna di esse è soggetta
a una purificazione e a una condivisione collettiva dei vari karma o samskara che hanno in comune, e possono fare esperienza,
consciamente o inconsciamente, che tra tutti vi è una comunione, (unione – comune)
uno yoga collettivo. Questo può
essere sperimentato sia nei momenti in cui si percepisce profonda gioia e/o
amore sia nelle esperienze conflittuali che si vivono attraverso le interazioni
con gli altri o nelle varie situazioni in cui ci si trova a essere coinvolti;
3. Ognuno sperimenta, poi,
una propria individuale purificazione e una personale evoluzione interiore.
Molte volte mi è
successo che arrivavo dall’Italia veramente molto stanco con in mente solo il
pensiero di vedere Swamiji, riposarmi e non vedere nessun’altra persona. Invece
il seva che mi veniva affidato risultava essere molto duro e pesante
fisicamente, oppure altre volte mi capitava di dover lavorare insieme a
qualcuno che in quel momento non mi era affatto simpatico.
In quei momenti di
conflitto ho fatto esperienza che ciò che si vede da fuori è il contrario di
ciò che accade dentro e che, effettivamente, “siamo tutti fratelli”, come
diceva Gesù, non solo nel senso spirituale, sottile, ma soprattutto nel suo significato di reale “parentela
genetica”.
La presenza del guru in
ashram non è solo fisica: non c’è solo l’individuo con il corpo fisico, i suoi
cinque organi di senso, ecc. Nell’ashram
si può fare esperienza del guru nella sua forma più estesa: l’ambiente dell’ashram può diventare un luogo magico per
chi diviene consapevole dei fili sottili che muovono gli eventi. Ogni azione e
reazione hanno un loro equilibrio, con il luogo, con le persone presenti e con
i samskara delle persone presenti,
con gli obiettivi e le priorità dell’ashram,
la purificazione e l’evoluzione dei presenti.
Ricordo di una volta in
ashram a Rikhia, quando Paramahamsa Satyananda era ancora presente nella sua
forma fisica, che rimasi molto sorpreso nel percepire e vedere che gli swami, i sannyasin e tutti i residenti dell’ashram, sembravano essere vuoti, senza personalità.
Questa cosa mi scosse,
non capivo, pensai tra me e me “che
strano”, e interpretai questo fenomeno come qualcosa di negativo. In
seguito capii che la mente di quelle persone si era svuotata da tutti i
condizionamenti personali dati dalle interazioni con il mondo “normale”, dalle
varie attività mondane, frenetiche e quotidiane cui tutti siamo soggetti. Si
erano svuotati da ciò che normalmente chiamiamo “la nostra personalità” che, in
realtà, altro non è che il frutto di una miriade di condizionamenti dati dai
familiari, dagli antenati, dal gruppo etnico d’appartenenza, dalla pubblicità
dei media, dalle mode del momento e via di seguito.
In quel momento la
forza di Swami Satyananda faceva da “coscienza collettiva”, da “antenna
trasmittente” e le persone erano le “stazioni riceventi”. In un contesto del
genere il parlare era quasi superfluo, perché si faceva esperienza che oltre al
linguaggio normale ve n’era un altro, più sottile e profondo, che permeava ogni
essere vivente, uomo o animale e tutti erano in perfetta sintonia.
Un po’ come accade tra
l’ape regina e le altre api dell’alveare: più esseri a livello fisico, ma un
unico essere a livello sottile, mentale. Qualcosa di simile alle storie che
trattano del rapporto tra il Signore Rama ed i suoi sudditi: si racconta che
essi entrassero in una sorta di estasi ogni volta che Sri Rama era presente
nelle vicinanze. O come si racconta dei primi faraoni egizi che avevano un tale
potere, una tale forza, da mantenere tutto il popolo in una specie di comunione
mentale. Tutto questo è una forma di yoga!!?
Naturalmente le
esperienze vissute in ashram non sono
state sempre idilliache, non sempre ho avuto la sensazione di trovarmi in una
specie di paradiso. Anzi, spesso, è stato l’esatto contrario. Ma, come ripeteva
spesso Swami Satyananda, è nell’affrontare e vedere i propri lati negativi che
si migliora, si evolve e ci si libera da essi.
Molte volte il guru lila (il gioco del guru) può fare
vari “scherzetti”, ma le persone coinvolte in questo procedimento non vivono
affatto questa esperienza come uno “scherzo”, ma piuttosto come un sottile e
macabro gioco dove si è costretti ad affrontare tutto ciò che normalmente si
cerca di evitare: cose, situazioni esterne ed interne alla propria personalità,
paure, rabbie, rancori e via dicendo. In quei momenti l’esperienza non è per
nulla piacevole, alle volte può sembrare di aver preso due cavi di corrente e
creato una specie di corto circuito nel proprio cervello, oppure che vi sia una
mano oscura che ti squarcia il torace e rovista dentro fino a trovare qualcosa
come un grande e scuro polipo e lo strappa via.
Quando avviene questo,
per un po’ di tempo, si vive la sensazione d’essere totalmente vuoti, senza
volontà, come se ti avessero fatto l’elettroshock; ma una volta elaborata
l’esperienza, non si può fare a meno di ringraziare per la fortuna di aver
avuto questa particolare “benedizione”: l’egodectomia! S’inizia a perdere un po’ di quello che si
pensa di essere e s’incomincia a diventare quello che si è realmente!
Ogni volta che ho
visitato gli ashram della Bihar
School of Yoga ho sempre avuto delle esperienze interiori intense, sia alla
presenza di Swami Satyananda sia alla presenza di Swami Niranjan. Di tutte
queste esperienze voglio raccontare quella che ho avuto in occasione della mia
ultima visita a Rikhiapeeth per la celebrazione di Akshaya Tritiya nel mese di aprile 2015 durante il programma di Sri Vidya Puja.
Sono arrivato in ashram
il 18 aprile ed il giorno successivo è iniziato il programma. Mi hanno fatto
sedere in prima fila, dove di solito si siedono i sannyasin, proprio di fronte al palco dov’erano seduti Swami
Niranjan e Swami Satsangi e alla mia sinistra vi era l’area dove avveniva la
cerimonia della Yajna.
Appena dato l’inizio al
programma le yogini iniziarono a recitare
i mantra. I suoni erano penetranti e
avevo la sensazione che i miei occhi si girassero all’indietro tra ajna chakra e bindu e non potevo fare a meno di chiudere le palpebre per poi
riaprirle dopo qualche secondo.
Finito il programma del
mattino a un certo punto mi ritrovai con Swami Niranjan nei paraggi ed andai a
salutarlo nel modo tradizionale, facendogli pranam
e prostrandomi ai suoi piedi. Lui mi sorrise e mi disse: “Ohi Chidprakash, che
fai, stai dormendo?”. Ed io: “No Swamiji”. E lui: “Guarda che stavi dormendo.”
Ed io: “Non lo so Swamiji, forse qualche istante.”
Nel pomeriggio mi
sedetti nello stesso posto e quando le yogini
iniziarono a ripetere i mantra,
iniziai a sperimentare la stessa sensazione del mattino. All’arrivo di Swami
Satsangi e di Swami Niranjan, mi sforzai di stare fermo, immobile e,
soprattutto, di non chiudere gli occhi, anche perché Swamiji ha detto spesso,
in altri programmi, che chi siede davanti deve mantenere “un decoro” e stare
seduto nella maniera opportuna, altrimenti può andare a sedersi da un’altra
parte.
Swamiji, dopo un po’ di
tempo, iniziò a condurre un satsang e
per via dello sforzo che stavo facendo per tenere gli occhi aperti, cominciai a
osservare i suoi: mentre li osservavo, percepivo le mie palpebre che si aprivano
e si chiudevano mentre quelle di Swamiji erano assolutamente ferme.
Allora iniziai a
osservare le palpebre delle altre persone, senza perdere di vista quelle di
Swamiji: alcuni le battevano alla mia frequenza e altri un po’ più lentamente,
mentre Swamiji non le batteva mai. Trascorsi circa 30-40 minuti di satsang lo vidi battere le palpebre solo
una volta.
Ora, io non sono un
medico, ma è risaputo che battere le palpebre, oltre a lubrificare la cornea,
da un punto di vista più sottile, viene fatto per rimettere a “fuoco” l’occhio,
un organo di senso connesso alla mente.
La nostra mente, che
naturalmente è dissipata, fa fatica a essere concentrata e si distrae
facilmente, magari presa da qualche pensiero oppure attratta da vari oggetti
e/o situazioni. Attraverso il movimento delle palpebre tutto viene resettato e
rimesso “a fuoco” e si ricomincia a focalizzare la mente sull’argomento in cui
eravamo coinvolti.
Forse Swami Niranjan ha
la mente focalizzata in un’unica direzione? Oppure è un brahma-acharya? Cioè, la sua mente è costantemente fissa
nell’assoluto, anche quando interagisce con tutti noi?
Sta di fatto che se non
avessi avuto la possibilità di salutare Swamij lui non m’avrebbe detto nulla e
io non avrei notato questa cosa particolare.
Ho fatto spesso questo
genere d’esperienze, alcune volte anche in maniera più intensa. Esse non sono
tanto importanti in quanto tali, ma per il fatto che risultano essere delle
prove tangibili, percepite attraverso i cinque sensi, di ciò che i nostri guru e maestri affermano da sempre e che
possiamo trovare scritto ovunque, ma che per la maggior parte di noi, persi
nella vita mondana, tutto viene liquidato come qualcosa di mitico, d’irreale,
come se fosse una favola.
In realtà tutto quello
che è stato scritto e detto si basa sulla verità che può essere compresa solo
attraverso l’esperienza.
Per mezzo della pratica continua sotto forma di disciplina, che siano asana, pranayama o karma yoga, bhakti yoga o altri percorsi dello yoga, nei nostri ashram e per mezzo dei nostri guru, questa esperienza, o yoga, si può fare.
Per mezzo della pratica continua sotto forma di disciplina, che siano asana, pranayama o karma yoga, bhakti yoga o altri percorsi dello yoga, nei nostri ashram e per mezzo dei nostri guru, questa esperienza, o yoga, si può fare.
Hari Om
Tat Sat