Patanjali definisce la
meditazione come “lo stato in cui la mente diventa libera dalla consapevolezza
dell’esperienza soggettiva e oggettiva”. Questo è lo stato più elevato della
meditazione e si riferisce agli aspiranti spirituali. Come tecnica di
rilassamento, la meditazione non ha eguali nelle applicazioni terapeutiche.
Diverse tecniche di meditazione sono insegnate in aggiunta o come terapia
stessa.
Molti anni fa gli
psicologi avevano avvertito che con l’avvento della tecnologia sarebbe sorta
un’altra era – l’era dell’infelicità mentale. Una situazione simile si ebbe in
India durante la sua età dell’oro. La prosperità materiale portò con sé le
tensioni mentali. Fu allora che il saggio Kapila
formulò il sistema del Samkhya Yoga, per
portare felicità ai nevrotici e ai confusi.
Più tardi Patanjali
modificò la filosofia di Kapila e i suoi Yoga
Sutra definirono lo yoga come la
scienza del controllo mentale, del controllo su tutti gli aspetti della
personalità e del comportamento. Il pensiero dei nostri giorni è di poco
differente: non c’è stato molto cambiamento nel modo di pensare dell’uomo.
L’uomo oggi è assalito dallo stesso senso d’impotenza nell’affrontare il mondo.
La meditazione è dhyana, e attraverso dhyana siamo in grado di vedere i nostri
problemi nella giusta prospettiva. Attraverso dhyana, possiamo renderci conto che le nostre delusioni,
l’infelicità e gli altri problemi sono interni, auto-creati. Attraverso dhyana, impariamo a scoprire il nostro
sé interiore per raggiungere l’armonia interiore. Questa pratica non necessita
di nessun particolare sistema di credo. Il tipo di meditazione più utilizzato
in ambito medico è quello noto come “meditazione concentrativa”: focalizzare la
mente su un simbolo o un suono.
I cambiamenti
fisiologici durante la meditazione
Uno dei principali e
profondi cambiamenti che avviene nel corpo durante la meditazione è il
rallentamento del metabolismo, cioè del livello di scomposizione e costruzione
del corpo. Vi è una forte riduzione del consumo d’ossigeno e della produzione
di anidride carbonica. È stata misurata una riduzione di più del 20% del
consumo d’ossigeno durante la meditazione, in quanto il ritmo della
respirazione è più lento. La riduzione del tasso metabolico è dovuto al
controllo sul sistema nervoso involontario che si sviluppa attraverso la
meditazione.
La meditazione ha una
notevole influenza sulla pressione del sangue, che scende molto sotto la norma,
sia durante sia dopo la meditazione. La frequenza cardiaca rallenta, mentre il
flusso del sangue aumenta. Una funzione del sistema nervoso autonomo è la
costrizione dei vasi sanguigni che riduce il flusso del sangue. Durante la
meditazione le attività del sistema nervoso simpatico sono ridotte e, quindi,
la costrizione dei vasi sanguigni è automaticamente ridotta, con un conseguente
maggior afflusso di sangue.
La meditazione è un
metodo perfetto per ridurre il livello di lattato e,
di conseguenza, per ridurre la pressione sanguigna e tutti i sintomi
dell’ansia. Esami medici mostrano che il livello di lattato è più alto durante
lo stress, l’ansia e le nevrosi rispetto a quando l’individuo è calmo e
tranquillo. Le persone che soffrono di pressione alta hanno decisamente più
lattato nel corpo rispetto alle persone con la pressione sanguigna normale.
Come la
meditazione riduce il livello di lattato
Durante i periodi
d’intensa attività, quando i muscoli sono impiegati in lavori eccessivi, si ha
un cosiddetto debito energetico. I muscoli devono impiegare più energia
rispetto all’apporto d’ossigeno a loro disposizione. In queste situazioni,
viene prodotto il lattato per sopperire all’energia extra necessaria. Durante i
periodi di riposo, il lattato viene lentamente suddiviso in altre sostanze, in
quanto la quantità d’ossigeno disponibile per i muscoli è sufficiente.
Anche se il
rifornimento totale d’ossigeno, in realtà, è minore durante la meditazione,
l’aumento del flusso sanguigno assicura che l’ossigeno sia distribuito più
efficacemente ai muscoli e che il lattato sia più velocemente ed efficacemente
rimosso. Allo stesso tempo, l’apporto d’ossigeno alle cellule durante il
processo metabolico è ridotto.
Inoltre, la produzione
del lattato è stimolata dal sistema nervoso simpatico. L’inibizione di questo
sistema nervoso durante la meditazione automaticamente ne riduce la produzione.
L’effetto della
meditazione sul sistema limbico
La funzione del sistema
limbico nel cervello è d’intensificare le risposte emozionali, nel caso in cui
i dati sensitivi ricevuti non siano in armonia o in conformità con le nostre
precedenti condizioni o memorie. Quando il sistema limbico analizza una
sensazione, questa immediatamente crea una reazione emozionale, come ad esempio
rabbia, stress, ecc. Mentre, la regione settale agisce nella direzione opposta:
riduce le risposte emozionali, rilascia e crea il rilassamento in tutto il
corpo e nella mente. Attraverso la meditazione, la parte settale del sistema
limbico inizia ad operare per un periodo predominante o, perfino, per tutta la
vita.
La meditazione agisce
come un trattamento olistico, o completo, sullo stress. Poiché la meditazione
riguarda l’intero complesso mente-corpo, è un vasto sistema che comprende la
gestione dello stress. Il profondo stato di rilassamento raggiungibile
attraverso la meditazione aiuta i processi di recupero del corpo dei normali
livelli d’attività. In un certo senso, la meditazione può essere considerata
come la controparte, o il bilanciamento, delle attività del sistema nervoso
simpatico e delle ghiandole surrenali.
Le pratiche di
meditazione
Ci sono vari stadi
nella meditazione e le pratiche di meditazione iniziano con pratyahara, o ritiro dei sensi, e vanno
agli stadi di dharana
(concentrazione), dhyana (meditazione
nel senso tradizionale del termine) e samadhi.
Pratyahara affronta i problemi
legati allo stress andando direttamente alla fonte della stimolazione
sensoriale, cioè proprio agli organi di senso. È tramite gli organi di senso
che la nostra mente è bombardata da un flusso continuo di “dati” dal mondo
esterno.
Dharana, o concentrazione, lo
stadio successivo, consiste nel fissare totalmente la mente su un oggetto,
escludendo tutti gli altri. Quando la mente diventa totalmente assorbita
nell’oggetto della concentrazione, automaticamente raggiunge la meditazione. La
pratica di dharana è essenziale per
rimuovere lo stress e la radice dello stress incorporata nella mente.
Dhyana, o meditazione, è lo
stadio in cui la mente non va più alla ricerca dell’oggetto della
concentrazione (dharana) ma è in
grado di essere continuamente assorbita nell’oggetto della meditazione. Il
culmine del dhyana è il samadhi: in questo stadio l’individuo
non è solo libero dallo stress ma è in uno stadio che è oltre: ha trasceso.
Alcune delle pratiche di pratyahara
sono: japa, ajapa japa e antar mouna.
Un mantra è il primo requisito per la pratica di japa yoga. Il mantra è un gruppo di vibrazioni sonore che hanno un
effetto nella consapevolezza mentale e psichica dell’uomo. In japa vi è una rotazione continua della
consapevolezza centrata sul mantra e la mente diventa concentrata e rilassata,
il che tende a portare tutte le facoltà fisiche e mentali dell’uomo al loro
massimo livello di efficienza lavorativa. Japa
è una pratica ideale per coloro che non riescono a sedere in nessuna delle
posizioni meditative o che non possono sedersi rimanendo fermi.
Japa diventa ajapa (spontaneo) japa quando il mantra si ripete automaticamente da solo, senza
sforzo conscio. La pratica di ajapa japa,
alla fine, porterà alla superficie della mente tutti i desideri nascosti, le
paure e i complessi della mente. Ajapa
japa libera la mente da tutte le tensioni e rimuove alla radice la causa
della maggior parte dei disturbi fisici e mentali.
Antar
mouna
significa silenzio interiore. Questa pratica è usata in forma modificata nel
Buddismo ed è conosciuta come “meditazione vipassana”. Alcuni dei principi di antar mouna sono usati nelle moderne
pratiche psichiatriche.
Nella vita quotidiana
la nostra mente è quasi sempre continuamente esteriorizzata. Vediamo e udiamo
solo ciò che è esterno a noi. Abbiamo una minima comprensione degli eventi che
accadono nel nostro ambiente interiore. La pratica di antar mouna è designata per invertire questo procedimento. Per
almeno un breve periodo, mentre la pratichiamo e, successivamente, per periodi
più lunghi e poi per tutta la giornata, possiamo vedere il lavoro della nostra
mente razionale e irrazionale. Antar
mouna può essere praticata spontaneamente in qualunque momento del giorno e
della notte. E’ il primo passo per uno stato permanente di quiete e
comprensione interiore.
Antar
mouna
è praticata in cinque differenti stadi. Il primo stadio coinvolge la
consapevolezza di tutti i suoni esterni così come di tutte le altre percezioni
sensoriali, come gli odori o il contatto sulla pelle. Nel secondo stadio, vi è
il ritiro dagli stimoli esterni e si diventa consapevoli soltanto del lavoro
della mente: cosa sta pensando, come sta reagendo e quali immagini vengono in
superficie dal subconscio.
Nel terzo stadio si ha
lo sviluppo consapevole di un particolare pensiero o immagine. Nel quarto
stadio si sviluppano i pensieri spontanei. Nel quinto si sopprimono e rimuovono
tutti i pensieri per divenire consapevoli del silenzio interiore. Questo stadio
è seguito dallo stato di dharana, o
concentrazione unidirezionale.
Le pratiche di
concentrazione per dharana sono trataka, la visualizzazione, il simbolo
psichico, chidakasha dharana, nada yoga, prana vidya, tattwa shuddhi
e tutte quelle che portano alla concentrazione unidirezionale, che è il modo
più diretto ed efficace per controllare i livelli di stress e per ristabilire
l’equilibrio mentale, la chiarezza e la precisione. Queste migliorano la
memoria, la potenza del pensiero e tutte le funzioni mentali. Quando dhyana e samadhi sorgono spontaneamente dopo dharana, i livelli consci profondi sono liberi da tensione e stress
e sono in uno stato di risveglio. L’uomo che è in grado di fare esperienza
spontanea di dhyana e di samadhi non è più soggetto a stress e
tensione.