Swami Niranjanananda Saraswati
Satsang all’Atma Darshan Yogashram, Bangalore, 25.02.2007
I mantra furono scoperti negli stati di meditazione più elevati, quando gli yogi iniziarono ad esplorare i vari strati della mente per scoprire la fonte dell’esistenza. Man mano che approfondivano la propria natura, iniziarono a vedere sè stessi in un modo diverso. Noi ci vediamo composti di materia, ci identifichiamo con il corpo. Ma all’interno di questo sthoola, corpo grossolano, c’è anche sukshma, il corpo sottile. Le estensioni del corpo sottile sono manas, buddhi, chitta e ahamkara attraverso le quali siamo in grado di sperimentare gli attributi della mente e interagire con il mondo degli oggetti dei sensi. Al di sotto del corpo sottile vi è karana sharira, il corpo causale, la dimensione dello spirito.
Normalmente, è difficile andare oltre lo sthoola, il livello sensoriale o fisico nella meditazione. Con un certo sforzo possiamo salire a sukshma, la dimensione di chitta, l’esperienza di ahamkara, il livello mentale e intellettuale e contenere così l’agitazione delle vritti. Pochi sono in grado di accedere a karana sharira, la dimensione dello spirito. Gli yogi che sono giunti a questo livello hanno sperimentato la luminosità, la natura dell’esistenza, la qualità eterna dello spirito. Pertanto, vedono il proprio corpo non come un composto di carne, sangue e midollo, ma come un corpo di luce. Questa luce è identificata con la luminosità cosmica o divina, la natura divina. Nella filosofia Samkhya questa esperienza è chiamata prakashsheelatwa, la natura della luminosità.
Nello stato di luminosità, si sentono vibrazioni che il corpo fisico non è in grado di sentire. Normalmente, sentiamo solo quei suoni che rientrano all’interno di un certo intervallo di decibel; oltre o sotto tale intervallo le frequenze cambiano e non possiamo sentirle. Ma via via che ci sensibilizziamo, sperimentando e vivendo nel corpo causale, iniziamo a sentire e vedere molte cose. Ciò che sentiamo sono mantra e ciò che vediamo sono yantra. Iniziamo a vedere i circuiti della vita, come siamo connessi e come facciamo parte della teoria del campo unificato.
Se ci pungiamo con un ago, dove sentiamo la puntura? Nella mente, nel cervello, nei sensi, in una zona particolare del corpo? Sentiamo la puntura ovunque, perché la mente sperimenta quella puntura, il cervello, i nervi, i muscoli, annamaya sharira, il corpo fisico e manomaya sharira, il corpo mentale, rispondono a quella sensazione o stimolazione. Ogni attributo del corpo grossolano e del corpo sottile risponde a quell’unica stimolazione. Quando trascendiamo questo livello, nel jyoti sharira, il livello astrale, il livello causale, vediamo i circuiti. Quando colleghiamo i puntini dei circuiti vediamo l’immagine di uno yantra, perché l’immagine dello yantra è solo un riflesso delle nostre stringhe mentali, il puzzle della mente. Proprio come in un puzzle ci sono vari pezzi che creano il disegno completo, anche la mente ha differenti parti che sono separate ma che si incastrano e si intrecciano l’una con l’altra per dare l’esperienza dell’intera coscienza. Una parte può essere memoria, altre arroganza, innocenza, purezza, tamas, rajas, sattwa. Queste sono pratyaya, e costituiscono la coscienza.
Nello stato in cui gli yogi sperimentano l’intera coscienza, sentono anche i suoni. Il suono è udito in diverse gamme di frequenza e diventano mantra e akshara. Nel kundalini yoga ogni petalo nell’immagine di un chakra ha un akshara, una lettera, che è il suono o la frequenza vibratoria appartenente a quel particolare chakra. Questi sono i suoni sottili uditi dagli yogi. Avendo ascoltato questi suoni o mantra, quando vanno all’interno di loro stessi, sentono il suono primordiale: il pranava, Om.
I mantra scoperti dagli yogi sono frequenze, ampiezze, gamme di energie che vibrano in ogni dimensione della nostra personalità. Iniziarono a combinare i mantra. Identificarono ogni suono con un particolare centro psichico. Il bija mantra Om, ad esempio, venne identificato come il suono di ajna chakra, il bija mantra ham come il suono di vishuddhi chakra, il bija mantra yam come il suono di anahata chakra, il bija mantra ram come il suono di manipura chakra. Venne identificata un’altra gamma di frequenze: suoni come a, aa, i, ee, u, oo, e, ai, o, ou, am, ah. Questi costituiscono l’intera gamma dei bija mantra del sistema dei chakra.
Gli yogi, nel loro stato di osservazione, percepirono anche che cantando un particolare suono si riescono a stimolare i chakra. Se, ad esempio, legate una lunga corda al tronco di un albero e la scuotete, vedrete l’effetto: l’onda viaggia da un’estremita all’altra della corda. Allo stesso modo, se il suono di una frequenza viene pronunciato in modo udibile, le increspature della vibrazione raggiungono l’altra estremità: attivano e toccano il centro psichico. Quindi, per creare un particolare stato di coscienza, gli yogi combinarono i suoni; emersero così mantra come Om namaha Shivaya, Om namaha bhagavate Vasudevaya e altri. I mantra divennero parte del sadhana spirituale per risvegliare diverse aree di coscienza, per sviluppare la conoscenza e la creatività in un particolare pratyaya o nel pezzo del puzzle della coscienza.
I mantra e la religione
Quando l’identificazine con un sistema di credo emerge nella forma di una religione, e si stabiliscono degli schemi organizzati di moralità e di pratiche per raggiungere uno scopo specifico, allora i mantra sono stati identificati da laici (non da yogi ma da laici) per diventare parte della loro pratica religiosa. I mantra venivano usati per identificarsi con i simboli di adorazione che stavano usavano. Fu così che i mantra vennero associati con i simboli.
Le persone iniziarono a pensare che Om Ramayah namah fosse un mantra di Rama, essendo Rama la personalità storica/mitologica vissuta in un certo tempo e luogo.
I mantra iniziarono ad essere associati alle credenze e alla comprensione delle persone. I mantra di Krishna furono associati a Krishna, i mantra di Shiva a Shiva, i mantra della Devi alla Devi. Tuttavia, i mantra precedono ogni identificazione con i sistemi di credo; le tradizioni yogiche classiche e impegnate sono rimaste fedeli allo scopo originale del mantra, che è il risveglio interiore. Se si chiedesse a un divulgatore dello yoga classico il significato di un mantra, potrebbe non essere in grado di rispondere, in quanto non è possibile spiegare il significato di una vibrazione.
I differenti usi del mantra
Gli yogi hanno anche notato che i mantra erano utili per la gestione delle qualità ossessive della mente, le qualità di chinta, preoccupazione o rimuginazione, che limitano le proprie potenzialità e creatività. La pratica del mantra aiuta la mente ad uscire da questo stato. Infatti, anche nelle situazioni o negli ambienti più stressanti è possibile rilassarsi con l’uso del mantra.
Si scoprì anche che certi mantra attivano determinati centri del cervello, certi punti della mente e della coscienza. Questi mantra vennero incorporati all’interno delle pratiche sociali. Ad esempio, il Gayatri mantra viene insegnato ai giovani studenti nella tradizione indiana in modo che possano raggiungere la maturità dell’intelligenza. Pertanto i mantra avevano ruoli religiosi, spirituali e sociali. I mantra creavano anche un legame tra due persone: il guru e il discepolo.
Guru mantra
Nello sviluppo della consapevolezza spirituale, il mantra sadhana è la prima iniziazione. Il discepolo accetta il guru come suo maestro con la comprensione che nel regno della spiritualità lui o lei è un novizio. Si arrende al guru per acquisire saggezza, comprensione ed esperienza attraverso la sua guida. Il mantra dato dal guru diventa il legame che intensifica questo sentimento. Collega l’individuo con la propria forza interiore.
Il mantra sadhana ricevuto dal guru è considerato definitivo perché con il guru non si usa il proprio ego, ahamkara. Si usando sentimenti, sensazioni, cuore ed emozioni. Quando andate a scuola e imparate da un insegnante, prendete le sue parole come definitive, assorbite gli insegnamenti, e al momento dell’esame usate tutte le vostre facoltà per esprimere ciò che avete assorbito. Lo stesso principio si applica con il guru, ma non a livello intellettuale ma a livello di cuore. Riponete la vostra fiducia nel guru proprio come uno studente ripone fiducia nel professore. Il mantra diventa il legame tra il guru e il discepolo; è il collegamento finale e l’unico collegamento. L’iniziazione al mantra è l’iniziazione più importante, e il guru mantra è il primo e l’ultimo.
Tuttavia, quando ricevete il guru mantra non avete bisogno di lasciare alcuna pratica che state già seguendo, che sia andare in chiesa la domenica, leggere il Corano o la Guru Grantha Sahib, o adorare diverse divinità. Alla fine di ogni cosa che fate, praticate il guru mantra. Il guru mantra non cambia il vostro sistema di credo; semmai vi apre una nuova strada per esprimervi in quel credo. Quindi, alla fine dei vostri rituali e routine, praticate il guru mantra nella forma di meditazione. Praticatelo non come un rituale, ma come una meditazione.
La pratica del mantra
La pratica del mantra è un sadhana. Se praticate due mala con assoluta concentrazione, avrete il risultato di migliaia di mala praticati senza concentrazione. Non pensate che se praticate dieci mala oggi o quindici domani la spiritualità crescerà più rapidamente. Se prendete un’aspirina che allevia il mal di tesa in dieci minuti, prendendo dieci aspirine lo farà passare in un minuto? Che pratichiamo due o duemila mala al giorno, il tempo necessario per raggiungere la crescita spirituale sarà lo stesso. Pertanto, è meglio fare meno con più intensità e concentrazione che fare di più combattendo con la mente, senza concentrazione e senza essere in grado di sperimentare l’interiorizzazione del processo meditativo. Bastano dieci minuti di pratica del mantra con il mala, né di più né di meno.
Inoltre, non identificatevi con l’esperienza della meditazione. Non vi condizionate pensando agli effetti della meditazione. Così come godiamo di un buon pasto, allo stesso modo dovremmo godere della meditazione. Se non godiamo della meditazione in un determinato giorno, possiamo pensare che sia come un giorno di digiuno, ma non siate discontinui nella pratica. Che vediamo luce, energia, demoni o inferni, ricordiamo che queste sono solo proiezioni della mente. Osserviamole e accettiamole e una volta usciti dalla meditazione, dimentichiamo ciò che abbiamo sperimentato e torniamo alla vita normale. Questo porterà un equilibrio nella vita spirituale.
Poiché non siamo abituati all’interiorizzazione, dieci minuti di interiorizzazione devono essere bilanciati con almeno cinquanta minuti di attività, di esternalizzazione. Questo è il sutra, il filo, che si dovrebbe seguire nello yoga. Chi medita otto ore al giorno dal proprio zelo non ottiene altro che mal di schiena! Il sadhana deve essere breve e dolce, qualcosa che possiamo fare rapidamente e da cui trarre il massimo beneficio. Questo è la pratica meditativa del mantra.
L’altro metodo della pratica del mantra è un modo semplice. Continuate a ripetere il mantra mentalmente mentre camminate, vi sedete, mangiate, quando siete stressati, angosciati, guardando la televisione, leggendo il giornale. Potete andare avanti a ripetere il mantra mentalmente per un minuto o per ventiquattr’ore, mentre continuate con le normali attività. L’unica restrizione è di non praticare il mantra mentre guidate.
Superare la sonnolenza
Spesso, quando iniziamo la meditazione con il mantra e la mente si interiorizza, arriva il sonno. Ci viene sonno perché la mente non ha nulla a cui aggrapparsi. Si rimane svegli perché la mente e i sensi hanno molte cose a cui aggrapparsi. Nel momento in cui si inizia a ritirare i sensi nello stato di introversione, arriva il sonno.
Quando notate che state iniziando ad avere sonno o che state perdendo il contatto con la realtà terrena, passate dalla ripetizione mentale a quella sussurrata del mantra. Con il movimento delle labbra, l’attenzione torna al mantra e si torna vigili ancora per un po’. Quando si torna vigili, si può tornare alla ripetizione mentale. Se il sonno persiste, ripetete il mantra a voce alta. La mente si collegherà con il suono e si sveglierà. Quando sarete completamente svegli, tornate alla ripetizione mentale, manasic japa.
L’uso del mala
Il mala usato durante la pratica del mantra agisce come un’ancora per la mente. Se un uccello vola sopra l’oceano alla ricerca di una terra, potrebbe usare un pezzo di legno galleggiante su cui riposare finché non trova terra. Il mala ha per la mente lo stesso scopo del pezzo di legno per l’uccello. È un’ancora. Proprio come la ripetizione sussurrata, vocalizzata e mentale vengono utilizzate per sintonizzarsi con la pratica, così il mala viene usato per rimanere focalizzati. Il movimento del mala tiene traccia del tempo e del numero delle ripetizioni. Anche il movimento trattiene la mente e non le permette di scivolare. Quindi si dovrebbe sempre usare un mala durante il mantra sadhana.
Ci sono cinque diversi tipi di mala accettati nella tradizione yogica: tulsi, rudraksha, rakta-chandan (sandalo rosso), shweta chandan (sandalo bianco) e cristallo. Tradizionalmente si ritiene che i Vaishnava usino il tulsi, gli Shaiva usino la rudraksha e gli Shakta usino il cristallo. Ma questo è un credo religioso; un aspirante spirituale può usare ogni tipo di mala per raggiungere differenti stati.
Il sadhana inizia con il mala di tulsi. Tulsi rappresenta la purezza, shuddhata, pavitrata. È un’energia curativa, la madre dei medici e della medicina. Se siamo in grado di evocare il sentimento di purezza mentre usiamo il mala di tulsi, allora le vibrazioni del tulsi ci aiuteranno anche a raggiungere quella purezza. Durante l’iniziazione al mantra viene dato un mala di tulsi perché il raggiungimento della purezza è il primo gradino della vita spirituale. Anche il dhoti bianco dato durante l’iniziazione dovrebbe essere indossato durante il mantra sadhana. Vi ricorderà che siete avvolti nella purezza, nella semplicità, nell’innocenza, liberi dai meandri tortuosi dell’intelletto, dei desideri e delle aspettative. Ogni volta che indossiamo un’identità esterna durante il sadhana, ci ricorderà ciò che dobbiamo ottenere e ciò a cui aspiriamo.
Nell’iniziazione a jignasu viene dato un mala di 27 grani di rudraksha, che può essere indossato durante il sadhana e non necessariamente ventiquattro ore al giorno. Quando indossate la rudraksha, pensate a portare equilibrio nella vita e a sviluppare le abilità intuitive, il terzo occhio. Pensate a risvegliare l’energia di buon auspicio in modo che la vita possa essere toccata dalla grazia della divinità. Ogni mala ha differenti sentimenti associati, ma il guru mantra sadhana deve essere fatto con un mala di tulsi se non diversamente specificato.
Respiro e mantra
Possiamo anche combinare il respiro con il mantra durante il japa. Ad esempio, ad ogni inspirazione possiamo ripetere il mantra una volta e con ogni espirazione un’altra volta. Un altro metodo è rimanere silenziosi durante l’inspirazione e ripetere il mantra durante l’espirazione. Se il mantra è lungo possiamo dividerlo in due parti: metà durante l’inspirazione e metà durante l’espirazione.
Potete trovare il vostro ritmo e metodo per praticare il mantra con il respiro. Inoltre, non ci sono restrizioni riguardo al tempo della pratica del mantra. Alcune donne pensano di essere impure durante il ciclo mestruale e non praticano il mantra. Questo non dovrebbe essere fatto. Praticate il mantra come volete perché è un’espressione della vostra fede e devozione, e un impegno verso voi stessi.
Mantra e ishta
È possibile che alcune persone ricevano un mantra che non corrisponde alla propria ishta devata, la divinità tutelare. Se il mantra viene dato a un bambino, non succede nulla perché lui o lei non userà l’intelletto.
Ma per una persona il cui intelletto è risvegliato e che appartiene a un sistema di credo, questo diventa un problema. Assocerà il mantra con il proprio sistema di fede, dimenticando che il vero spirito è senza forma.
Pertanto, il simbolo dato ad ogni iniziazione su cui focalizzare la concentrazione durante la pratica del mantra è lo stesso: jyoti, la fiamma di luce. Pensate a jyoti e consentite a ogni immagine di apparire in jyoti. L’immagine cambierà di propria iniziativa, e questo è lo scopo del simbolo. Anziché concentrarsi sull’ishta devata o sulla nostra associazione, focalizzatevi su jyoti che è sia sakara (avente una forma) che nirakara (senza forma). La luminosità è la natura dello spirito interiore. Nella nostra pooja, pratica ritualistica, possiamo attenerci alla nostra ishta. Nel mantra sadhana, focalizzatevi su jyoti e consentite a pratika, l’immagine, di assumere la forma dell’ishta che desidera. Usate il mantra come strumento per risvegliare questa particolare qualità di voi stessi.
Tratto da: http://www.yogamag.net/archives/2000s/2007/0708/0708ntmn.html