domenica 22 marzo 2015

Meditazione e stress


Patanjali definisce la meditazione come “lo stato in cui la mente diventa libera dalla consapevolezza dell’esperienza soggettiva e oggettiva”. Questo è lo stato più elevato della meditazione e si riferisce agli aspiranti spirituali. Come tecnica di rilassamento, la meditazione non ha eguali nelle applicazioni terapeutiche. Diverse tecniche di meditazione sono insegnate in aggiunta o come terapia stessa.

Molti anni fa gli psicologi avevano avvertito che con l’avvento della tecnologia sarebbe sorta un’altra era – l’era dell’infelicità mentale. Una situazione simile si ebbe in India durante la sua età dell’oro. La prosperità materiale portò con sé le tensioni mentali. Fu allora che il saggio Kapila formulò il sistema del Samkhya Yoga, per portare felicità ai nevrotici e ai confusi.

Più tardi Patanjali modificò la filosofia di Kapila e i suoi Yoga Sutra definirono lo yoga come la scienza del controllo mentale, del controllo su tutti gli aspetti della personalità e del comportamento. Il pensiero dei nostri giorni è di poco differente: non c’è stato molto cambiamento nel modo di pensare dell’uomo. L’uomo oggi è assalito dallo stesso senso d’impotenza nell’affrontare il mondo.

La meditazione è dhyana, e attraverso dhyana siamo in grado di vedere i nostri problemi nella giusta prospettiva. Attraverso dhyana, possiamo renderci conto che le nostre delusioni, l’infelicità e gli altri problemi sono interni, auto-creati. Attraverso dhyana, impariamo a scoprire il nostro sé interiore per raggiungere l’armonia interiore. Questa pratica non necessita di nessun particolare sistema di credo. Il tipo di meditazione più utilizzato in ambito medico è quello noto come “meditazione concentrativa”: focalizzare la mente su un simbolo o un suono. 

I cambiamenti fisiologici durante la meditazione
Uno dei principali e profondi cambiamenti che avviene nel corpo durante la meditazione è il rallentamento del metabolismo, cioè del livello di scomposizione e costruzione del corpo. Vi è una forte riduzione del consumo d’ossigeno e della produzione di anidride carbonica. È stata misurata una riduzione di più del 20% del consumo d’ossigeno durante la meditazione, in quanto il ritmo della respirazione è più lento. La riduzione del tasso metabolico è dovuto al controllo sul sistema nervoso involontario che si sviluppa attraverso la meditazione.

La meditazione ha una notevole influenza sulla pressione del sangue, che scende molto sotto la norma, sia durante sia dopo la meditazione. La frequenza cardiaca rallenta, mentre il flusso del sangue aumenta. Una funzione del sistema nervoso autonomo è la costrizione dei vasi sanguigni che riduce il flusso del sangue. Durante la meditazione le attività del sistema nervoso simpatico sono ridotte e, quindi, la costrizione dei vasi sanguigni è automaticamente ridotta, con un conseguente maggior afflusso di sangue.

La meditazione è un metodo perfetto per ridurre il livello di lattato e, di conseguenza, per ridurre la pressione sanguigna e tutti i sintomi dell’ansia. Esami medici mostrano che il livello di lattato è più alto durante lo stress, l’ansia e le nevrosi rispetto a quando l’individuo è calmo e tranquillo. Le persone che soffrono di pressione alta hanno decisamente più lattato nel corpo rispetto alle persone con la pressione sanguigna normale.

Come la meditazione riduce il livello di lattato
Durante i periodi d’intensa attività, quando i muscoli sono impiegati in lavori eccessivi, si ha un cosiddetto debito energetico. I muscoli devono impiegare più energia rispetto all’apporto d’ossigeno a loro disposizione. In queste situazioni, viene prodotto il lattato per sopperire all’energia extra necessaria. Durante i periodi di riposo, il lattato viene lentamente suddiviso in altre sostanze, in quanto la quantità d’ossigeno disponibile per i muscoli è sufficiente.

Anche se il rifornimento totale d’ossigeno, in realtà, è minore durante la meditazione, l’aumento del flusso sanguigno assicura che l’ossigeno sia distribuito più efficacemente ai muscoli e che il lattato sia più velocemente ed efficacemente rimosso. Allo stesso tempo, l’apporto d’ossigeno alle cellule durante il processo metabolico è ridotto.

Inoltre, la produzione del lattato è stimolata dal sistema nervoso simpatico. L’inibizione di questo sistema nervoso durante la meditazione automaticamente ne riduce la produzione.

L’effetto della meditazione sul sistema limbico
La funzione del sistema limbico nel cervello è d’intensificare le risposte emozionali, nel caso in cui i dati sensitivi ricevuti non siano in armonia o in conformità con le nostre precedenti condizioni o memorie. Quando il sistema limbico analizza una sensazione, questa immediatamente crea una reazione emozionale, come ad esempio rabbia, stress, ecc. Mentre, la regione settale agisce nella direzione opposta: riduce le risposte emozionali, rilascia e crea il rilassamento in tutto il corpo e nella mente. Attraverso la meditazione, la parte settale del sistema limbico inizia ad operare per un periodo predominante o, perfino, per tutta la vita.     

La meditazione agisce come un trattamento olistico, o completo, sullo stress. Poiché la meditazione riguarda l’intero complesso mente-corpo, è un vasto sistema che comprende la gestione dello stress. Il profondo stato di rilassamento raggiungibile attraverso la meditazione aiuta i processi di recupero del corpo dei normali livelli d’attività. In un certo senso, la meditazione può essere considerata come la controparte, o il bilanciamento, delle attività del sistema nervoso simpatico e delle ghiandole surrenali.

Le pratiche di meditazione
Ci sono vari stadi nella meditazione e le pratiche di meditazione iniziano con pratyahara, o ritiro dei sensi, e vanno agli stadi di dharana (concentrazione), dhyana (meditazione nel senso tradizionale del termine) e samadhi.

Pratyahara affronta i problemi legati allo stress andando direttamente alla fonte della stimolazione sensoriale, cioè proprio agli organi di senso. È tramite gli organi di senso che la nostra mente è bombardata da un flusso continuo di “dati” dal mondo esterno.

Dharana, o concentrazione, lo stadio successivo, consiste nel fissare totalmente la mente su un oggetto, escludendo tutti gli altri. Quando la mente diventa totalmente assorbita nell’oggetto della concentrazione, automaticamente raggiunge la meditazione. La pratica di dharana è essenziale per rimuovere lo stress e la radice dello stress incorporata nella mente.

Dhyana, o meditazione, è lo stadio in cui la mente non va più alla ricerca dell’oggetto della concentrazione (dharana) ma è in grado di essere continuamente assorbita nell’oggetto della meditazione. Il culmine del dhyana è il samadhi: in questo stadio l’individuo non è solo libero dallo stress ma è in uno stadio che è oltre: ha trasceso. Alcune delle pratiche di pratyahara sono: japa, ajapa japa e antar mouna.

Un mantra è il primo requisito per la pratica di japa yoga. Il mantra è un gruppo di vibrazioni sonore che hanno un effetto nella consapevolezza mentale e psichica dell’uomo. In japa vi è una rotazione continua della consapevolezza centrata sul mantra e la mente diventa concentrata e rilassata, il che tende a portare tutte le facoltà fisiche e mentali dell’uomo al loro massimo livello di efficienza lavorativa. Japa è una pratica ideale per coloro che non riescono a sedere in nessuna delle posizioni meditative o che non possono sedersi rimanendo fermi.

Japa diventa ajapa (spontaneo) japa quando il mantra si ripete automaticamente da solo, senza sforzo conscio. La pratica di ajapa japa, alla fine, porterà alla superficie della mente tutti i desideri nascosti, le paure e i complessi della mente. Ajapa japa libera la mente da tutte le tensioni e rimuove alla radice la causa della maggior parte dei disturbi fisici e mentali.

Antar mouna significa silenzio interiore. Questa pratica è usata in forma modificata nel Buddismo ed è conosciuta come “meditazione vipassana”. Alcuni dei principi di antar mouna sono usati nelle moderne pratiche psichiatriche.

Nella vita quotidiana la nostra mente è quasi sempre continuamente esteriorizzata. Vediamo e udiamo solo ciò che è esterno a noi. Abbiamo una minima comprensione degli eventi che accadono nel nostro ambiente interiore. La pratica di antar mouna è designata per invertire questo procedimento. Per almeno un breve periodo, mentre la pratichiamo e, successivamente, per periodi più lunghi e poi per tutta la giornata, possiamo vedere il lavoro della nostra mente razionale e irrazionale. Antar mouna può essere praticata spontaneamente in qualunque momento del giorno e della notte. E’ il primo passo per uno stato permanente di quiete e comprensione interiore.

Antar mouna è praticata in cinque differenti stadi. Il primo stadio coinvolge la consapevolezza di tutti i suoni esterni così come di tutte le altre percezioni sensoriali, come gli odori o il contatto sulla pelle. Nel secondo stadio, vi è il ritiro dagli stimoli esterni e si diventa consapevoli soltanto del lavoro della mente: cosa sta pensando, come sta reagendo e quali immagini vengono in superficie dal subconscio.

Nel terzo stadio si ha lo sviluppo consapevole di un particolare pensiero o immagine. Nel quarto stadio si sviluppano i pensieri spontanei. Nel quinto si sopprimono e rimuovono tutti i pensieri per divenire consapevoli del silenzio interiore. Questo stadio è seguito dallo stato di dharana, o concentrazione unidirezionale.

Le pratiche di concentrazione per dharana sono trataka, la visualizzazione, il simbolo psichico, chidakasha dharana, nada yoga, prana vidya, tattwa shuddhi e tutte quelle che portano alla concentrazione unidirezionale, che è il modo più diretto ed efficace per controllare i livelli di stress e per ristabilire l’equilibrio mentale, la chiarezza e la precisione. Queste migliorano la memoria, la potenza del pensiero e tutte le funzioni mentali. Quando dhyana e samadhi sorgono spontaneamente dopo dharana, i livelli consci profondi sono liberi da tensione e stress e sono in uno stato di risveglio. L’uomo che è in grado di fare esperienza spontanea di dhyana e di samadhi non è più soggetto a stress e tensione.